Jack O'Malley, 17.1.2017 (blog "That win the best")
(...) La squadra cinese è ormai un alibi, un modo abile di pararsi il culo: basta dire ho un’offerta dalla Cina che subito ti raddoppiano lo stipendio. Oppure dire ho rifiutato un’offerta dalla Cina e farti applaudire per la coerenza e l’attaccamento alla maglia e far dimenticare così che in questo periodo stai giocando abbastanza di merda. Resta un fatto: il motivo per cui un calciatore di 26 anni voglia lasciare la Premier League, o anche solo la serie A, per andare a scomparire dietro la muraglia cinese è per me un mistero. Va bene i soldi, ma vuoi mettere la figa che c’è in Europa?
Il ritorno di Paolo Di Canio su Sky è un’ottima notizia per gli amanti del calcio e per gli antagonisti dei luoghi comuni, ma anche per i cultori della pratica della riabilitazione pubblica. Qualche mese di silenzio, paghetta sospesa, indignazione diffusa, un’intervista riparatrice al Corriere dove l’interessato ripete cose già dette, e tutto torna come prima. Son tatuaggi, in fondo. Ma se la rappacificazione è così semplice, non si poteva ancora più semplicemente evitare la rottura?
Bastava una cosa simbolica: mezz’ora dietro la lavagna e via. Il politicamente corretto, però, ha un tempo di cottura preciso, per servire la pietanza al pubblico occorre seguire la ricetta, e questo si sapeva già. Il fatto strano è che il tempo del necessario purgatorio sta diventando talmente breve da rendere insensata la cacciata dal paradiso, chi ci perde sono soltanto gli spettatori, privati per qualche mese di uno dei migliori commentatori di calcio su piazza (...)