(Il Fatto Quotidiano 04.05.2010)
LA FIGC INDAGA
Non si fanno queste cose a due giornate dalla fine
Lazio-Inter non finisce mai: polemiche incrociate tra Sensi, Montali e Moratti. Delio Rossi “Spettacolo deprimente”. Proiettili a Lotito. Intanto Palazzi visiona la gara
(di Malcom Pagani)
"Stiamo visionando il filmato della gara di domenica sera e acquisendo le dichiarazioni dei protagonisti della vicenda. Con estrema attenzione. Dopo averli esaminati a fondo, decideremo come agire”. Dal prudente commento della Procura federale (ultima inchiesta aperta e poi chiusa senza danni sulle immagini tv, il labiale tra Galante e Delli Carri in Torino-Bologna del 2002) fino alla fine del mondo. Lazio-Inter, il grottesco, shakespeariano spettacolo di mezza primavera, supera senza passaporto gli angusti confini nazionali. Mentre la squadra di Mourinho nel ballo di fine torneo, si trova a due passi dallo scudetto, la partita dell’Olimpico (giocata per le statistiche ma mai veramente disputata) e vinta dagli ospiti senza sudare e con un numero di falli complessivi da gita eucaristica, plana sul notiziario mattutino della Cnn. Toni duri, incredulità, straniamento per una pagina nera di sport al contrario che in serata registra anche (in differita) l’invio a Lotito di proiettili in busta con minaccia allegata “Se non vincete con l’Inter siete finiti” (versione fornita dall’Ansa) cui segue comunicato risentito volto a denunciare il clima di intimidazione. Una follia che al di là del confine non trova letture. Si indigna, senza comprendere dinamiche e finalità del tifo al contrario, mezza Europa. L’Equipe, la Bibbia francese: “Una parodia, con la Lazio che ha preferito lasciar vincere l’Inter piuttosto che rischiare di veder festeggiare la Roma”, L’Independent: “Vittoria interista bizzarramente festeggiata da entrambe le tifoserie” e il Guardian, che sul suo seguitissimo blog sportivo definisce la cornice tecnico-emotiva di domenica notte: “Un’assurdità”. L’arrendevolezza della Lazio ha fatto il giro del pianeta. Si sono stupiti tutti, tranne i romani di fede laziale. Dopo le tavolate allargate tra ultras di diversa bandiera di domenica pomeriggio nei ristoranti di Tor di Quinto, il conseguente, inevitabile (?) prodotto del campo. Novanta minuti di profondo imbarazzo in diretta tv. Li avevano avvertiti. Sui forum, a Formello e poi, direttamente nella pancia dello stadio. “Se vincete ve menamo”. Fischiando Muslera (l’ultimo a capire l’antifona) e Zarate (ghirigori inoffensivi eppure luminosi, se confrontati al silenzio intorno a sé), esponendo striscioni tra il goliardico e l’autolesionismo: “Oh nooo”, esultando senza ritegno ai gol dell’Inter. Preoccuparsi non era lecito. Non c’è stato bisogno di ulteriori stimoli. La Lazio si è fatta da parte e l’Inter è passata all’incasso. Nessuna opposizione, vittoria facile che ha spinto la Procura federale a spendere il pomeriggio di lunedì con il telecomando del videoregistratore in mano. Avanti, indietro, fermo immagine. Se nelle pause incongrue, nelle distrazioni e nel timore di offendere, Palazzi e i suoi ravviseranno il dolo, partirà l’inchiesta. Nella violazione dell’articolo 1 del Codice di giustizia sportiva: “Le società, i dirigenti, gli atleti, i tecnici e ogni altro soggetto che svolge attività di carattere agonistico (...) comunque rilevante per l’ordinamento federale, sono tenuti all’osservanza delle norme e degli atti federali e devono comportarsi secondo i principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva” non c’è traccia dei condizionamenti ambientali. E se non si è dato tutto, che il pubblico fosse d’accordo o meno, si può rischiare anche la retrocessione, come chiesto senza perifrasi da Giampiero Mughini, a un solo metro dalla blasfemia nel sacrario Mediaset di Controcampo: “Lazio-Inter è stata una vergogna, spero che la Lazio finisca a marcire in serie B”.
In molti avevano ipotizzato un successo romano dell’Inter, ma nessuno si era spinto ad immaginare l’assoluta evanescenza confinante con il divieto di produrre pericoli della Lazio. Nel secondo tempo, con il risultato messo in sicurezza da Samuel a un amen dalla fine del primo tempo, gli uomini di Reja (squalificato e sostituito da Lopez) provvedevano a una proficua (?) melina a distanza di sicurezza da Julìo Cèsar. Un’agonia senza giustificazioni che a teatrino concluso, provoca durissime reazioni. Inizia Giampaolo Montali, responsabile delle risorse umane della Roma, abituato a contesti ludici più sani: “Lazio-Inter? Una delle pagine piu' brutte della storia del calcio in generale”. Montali si dice preoccupato per l’ordine pubblico prossimo venturo: “A Roma potrebbe succedere qualcosa di molto grave”, assolve l’Inter: “Deve essere stato imbarazzante anche per loro” e in una piena sintonia di vedute lancia l’accusa più dura a Rosella Sensi, il presidente che a caldo parla di “vergogna”, incassa senza replicare la freddezza di Moratti “Vergognarmi? E di che cosa?” e rimanda analisi più compiute a fine campionato, quando Lazio-Inter avrà segnato lo spartiacque tra un torneo perduto sul campo e l’indecenza. I tifosi dunque, quelli celebri come Carlo Verdone che parlano di “spettacolo miserabile”, quelli di stanza a Montecitorio schierati trasversalmente tranne rare eccezioni (La Russa, Lainati) nel denunciare lo scandalo e tutti gli altri, che nell’analisi telefonica di Gigi Cagni sono l’ago della bilancia decisivo di tutta la vicenda: “I giocatori erano condizionati da una situazione oggettivamente anomala. Ho sentito che sono stati minacciati dai tifosi. Se fosse vero, sarebbe gravissimo. Ai calciatori non mi sento di gettare la croce addosso. In passato, misi la faccia affrontando gli ultras. Oggi non lo farei più. Non sai mai, in un degrado calcistico generale che parte dalle fondamenta per arrivare ai piani alti, se dopo le parole possa arrivare una coltellata. A Torino sono entrati in un ristorante e hanno picchiato gli atleti mentre erano a cena. Mi sono spiegato?”. Sembra di sentire Capello e il suo sermone sul calcio in mano agli ultras o Delio Rossi, che il suo campionato siciliano l’ha invece santificato senza risparmio fino a sfiorare il Paradiso, ma che nonostante la lunga e rimpianta esperienza alla guida della Lazio, ha l’onestà per dire alcune, chiarissime cose: “Lo spettacolo di Lazio-Inter non è stato certo edificante, né bello. E non fatico a comprendere lo stupore per chi non conosce la realtà romana. Ma io a Roma ho vissuto. È un ambito del tutto differente dagli altri e per giudicare con cognizione, bisogna esserci passati”. Quello che Rossi non dice, lo racconta il campionato 2007-08. Il 29 Marzo 2008, a Roma va in scena Lazio-Inter. La Lazio è a metà classifica, per il titolo lottano Roma e Inter. Anche in quell’occasione, il consiglio a mezza voce è di scansarsi. Crespo segna subito e per un tempo, sembra che ogni cosa vada al proprio posto. Però la Lazio di Rossi lotta, pareggia con Rocchi, sfiora la vittoria. La Roma gioca a Cagliari. Domina ma pareggia. Anche quella volta, il risultato è inclinato dal portiere già decisivo in Roma-Sampdoria, il romano e romanista, Marco Storari. A fine torneo, il titolo, per tre soli punti, andrà a Milano. In un calcio che destina ai tifosi, tutto il peso delle responsabilità, spostando il binocolo, non si può non riflettere sulla professionalità dei calciatori. Non ragazzi alle prime armi, ma atleti strapagati, che in omaggio al codice di giustizia sportiva, dovrebbero dare tutto a prescindere da motivazioni municipalistiche. A Roma, si sospetta, non è accaduto. Nonostante la rabbia preventiva di Lotito: “Si sta montando strumentalmente un’azione nei confronti della Lazio per caricarla di responsabilità che non ha, perché ha sempre giocato nel rispetto dei ruoli e dei valori dello sport. Io mi preoccuperei più di Parma-Roma, ma nessuno ne parla e si dà per scontato che il Parma soccomba”. In effetti, in Emilia, il Parma ha messo tutto ciò che aveva per sbarrare la strada alla Roma. Agonismo, bel gioco, eccessi verbali del portiere Mirante (50 metri di corsa per redarguire Totti, quasi rissa) al dg Leonardi (che in settimana aveva definito autolesionistico interessarsi ancora di Calciopoli) in bilico tra sacro e profano e intenzionato a dedicare gli eventuali tre punti al padre scomparso (laziale di stretta osservanza). La stessa cattiveria agonistica, non si è vista a Roma e gli esegeti più attenti, riportano al finale da velocisti dei laziali, capaci senza soffrire di piegare in trasferta Parma, Cagliari e Genoa. Preziosi aveva parlato di motivazioni mancanti. Sembra contino solo quelle. Ma all’Olimpico non si correva per gioco. Danzavano milioni di euro. Si cercava una pagina di credibilità e dietro la curva delle peggiori intenzioni, si è affacciata la vergogna. Come dice Cagni: “Sono arrivato a 60 anni e denoto un’attitudine drammatica, quasi una malattia della nazione: la rassegnazione”. Non è un Requiem, ma alle esequie definitive, manca poco.