Meno male che V. scrive quello che non riesco a scrivere io.
Arenati in visioni esangui, appunto la rohrwacher ne è paradigma, schiantati sotto il peso di tre-variabili-tre: la sussurromania teatrale e problematica, la patina finto problematica e buonista e buona per un film per la tv (già prenotati sabato e domenica), le frociate.
Ogni Sorrentino lo paghiamo cogli interessi (Crialese, Ozpetek...).
Riflettere sulla scrittura, il vero nodo semantico ed estetico della questione.
Credo che si possa lavorare sugli attori, molto meno sulle schiere di registi, sceneggiatori e autori italiani contemporanei.
Si scrive senza orizzonte, in modo piatto e bidimensionale. La profondità manca ed è figlia della fame e del coraggio.
Instant movies, verrebbe da dire, social (network) movies forse. Il mondo è piatto, lo scorri come una pagina facebook, ma non ci entri dentro, col rischio di farti male. Scorri l'elenco delle cose, come fossero post.
Ma quelle cose (post) non diventano mai materia di una storia; ci si ferma un passo prima della sofferenza (scrivere una storia fa soffrire), nel malinteso, avallato dalla paura-pigrizia, che elencare sia raccontare.
Tempo fa ascoltavo per radio un'intervista a uno scrittore giovanissimo. Tutto giulivo, quasi furbetto, annunciava che il suo romanzo d'esordio raccontava una storia di vampiri ambientata in Svezia o giù di lì. Cioè, questo benedetto figliuolo, aveva preso i due principali topic della letteratura pop contemporanea (vampirismo patinato-adolescenziale e giallismo nord-europeo) e li aveva combinati insieme... Addirittura oltre il concetto di instant book.
Quella dichiarazione (di resa alla creatività) mi è sembrata una sintesi perfetta dello stato dell'arte culturale italiano. Cinema compreso.
Probabilmente qualcuno tra gli attori delle nuove generazioni citati avrebbe la forza per strapparsi dal flusso della contemporaneità, posizionandosi là dove il Tempo è scandito dalle Storie e non dalle cronache.
Dietro Sordi, Tognazzi, ecc. c'era chi sapeva raccontare. Loro sono stati straordinari interpreti, è vero, ma avevano alle spalle sceneggiatori che usavano il cinema come uno strumento narrativo.
Oggi il cinema è, mi sembra, uno strumento replicativo, uno specchio che riflette una brutta Italia senza realmente raccontarla.
E quando una forma espressiva si limita a riprodurre la realtà, in scala 1:1, che bisogno c'è di fruirne?
Spero che qualcuno tra i 20 e i 30 anni, possibilmente sociopatico e che usi facebook soltanto per agganciare le sue prossime vittime, ci salvi (parlo di manico e scrittura, ovviamente).