DJ il problema è che in realtà non è vero che cambia così tanto la filosofia di fondo e dunque i risultati sono non così dissimili. Il punto è che spesso non ci rendiamo conto come alcuni assunti nelle scienze sociali siano derivati di una sorta di "tirannia epistemologica" e non come un dato della realtà.
L'esempio perfetto è l'economia e i suoi assunti base (a partire dal concetto di "razionalità economica", ma anche la definizione di povertà, distribuzione, reddito, ecc.), dove si registra un vero e proprio assolutismo derivato più dall'antropologia di fondo dell'economia capitalista che dalla realtà concreta. Più Weber che l'effettiva storia dell'umanità.
Attenzione a dire "
non dandone una lettura ideologica non li trovo dati risibili".
L'ideologia è insita in qualsiasi dato, QUALSIASI. Perché qualsiasi dato parte da alcuni presupposti di valore di chi li sviluppa. Così come qualsiasi persona che li legge parte da un'ideologia.
Non darne una lettura ideologica significa mancare di comprendere o l'ideologia su cui quel dato si basa o la propria, a prescindere da cosa voglia dire.
L'ideologia dominante ha come grande merito quella di risultare assente. Citando un celebre film
"
La beffa più grande che il diavolo abbia mai fatto è stato convincere il mondo che lui non esiste"
Inoltre non è vero che la metodologia sia quella da te descritta.
Sono andato a cercarmi la fonte del primo, è la seguente:
piketty.pse.ens.fr/files/BourguignonMorrisson2002.pdfCome immaginavo il metodo per ricavare i dati dei paesi del sud del mondo è raccapricciante sul piano statistico. In alcuni casi si prendono i paesi vicini e si teorizzano dati simili (come dire che l'Italia del 1600 possa utilizzare i dati della francia perché confinanti), non si concepiscono economie specifiche e difformi dal modello europeo, ma si suppone un'omogeneità universale nel tempo e nello spazio in tema di bisogni, rapporti di produzione, distribuzione.
Esattamente i classici errori che oggi si fanno negli studi economici.
Ribadisco: grafici come questi non descrivono nulla, se non la trasformazione (e non la dimostrazione) di un'ipotesi in tesi.
Ti porto un altro articolo che parla di un tema diverso e pone il problema dei dati.
E' in topic perché anche qui si parla di dati e della loro interpretazione, ma in questo caso sottolineo in primo luogo la premessa (pur restando anche l'articolo in sé molto interessante) perché rimanda a un tema a me caro, quello della tirannia del metodo scientifico, che ormai impera al mondo d'oggi.
http://www.wumingfoundation.com/giap/2017/01/femminicidio-non-esiste-dice-negazionista/Questo è il passaggio che trovo estremamente interessante:
corretto o meno che sia un modello statistico dal punto di vista matematico, la statistica non è in grado di dimostrare l’esistenza o meno di un fenomeno come il femminicidio, né che abbia o meno determinate radici sociali, psicologiche, antropologiche, culturali, genetiche o quant’altro. La sua esistenza e le sue radici vanno indagate utilizzando strumenti specifici delle scienze umane. L’analisi qui presentata è anche una critica radicale al feticismo dei numeri intesi come indicatori obiettivi: essi lo sono (con buonissima approssimazione) per fenomeni fisici o chimici come il moto di un pianeta o la combustione di un idrocarburo. Quando invece si parla di fenomeni sociali, i numeri non possono catturarne in ogni aspetto e sfumatura le motivazioni e la natura profonda.Nelle scienze sociali i numeri spesso sono fuorvianti.
Perché nascondono fenomeni inafferrabili sul piano quantitativo, ma solo su quello qualitativo.
I quali per essere compresi hanno bisogno di competenze diverse da quelle matematiche.