Jobs act e disoccupazione

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Online FatDanny

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Re:Jobs act e disoccupazione
« Risposta #60 il: 22 Feb 2016, 16:55 »
Re:Jobs act e disoccupazione
« Risposta #61 il: 22 Feb 2016, 17:05 »
Qui in Francia stanno preparandone una che farà epoca.
I sindacati ancora non reagiscono perché stanno ancora con le bocche aperte da quando hanno lette le prime bozze.
Manca solo ius primae noctis e poi é medioevo spinto.
I partiti di destra sono sconcertati, se lo sapevano prima c'andavano loro a sinistra.
Re:Jobs act e disoccupazione
« Risposta #62 il: 22 Feb 2016, 23:27 »
Qui in Francia stanno preparandone una che farà epoca.
I sindacati ancora non reagiscono perché stanno ancora con le bocche aperte da quando hanno lette le prime bozze.
Manca solo ius primae noctis e poi é medioevo spinto.
I partiti di destra sono sconcertati, se lo sapevano prima c'andavano loro a sinistra.

Sono convinto , pero' , magari sbaglio , che poi ci sara' la Bastiglia e qualche testa che rotola . In Francia .

MAMMMAGGARI sbaglio io .

Offline Kappa

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http://space.tin.it/scienza/decos
Re:Jobs act e disoccupazione
« Risposta #63 il: 23 Feb 2016, 13:57 »
Sono convinto , pero' , magari sbaglio , che poi ci sara' la Bastiglia e qualche testa che rotola . In Francia .

MAMMMAGGARI sbaglio io .
non sbagli, una cosa che ho sempre ammirato nei francesi è la loro forza di mobilitazione, dalla rivoluzione francese in poi. Ovviamente ha i suoi pro e contro, ma meglio della nostra proverbiale ignavia
Re:Jobs act e disoccupazione
« Risposta #64 il: 23 Feb 2016, 14:17 »
c'è bisogno di comunismo


Slavoj Zizek «Resto comunista, perché tutti possono essere socialisti, persino Bill Gates»
Pubblicato il 18 giu 2015

Vi proponiamo la traduzione dell’intervista al filosofo sloveno Slavoj Zizek pubblicata sul quotidiano francese Liberation lo scorso 5 giugno.
«Meno che niente» lo stravagante filosofo sloveno stronca la sinistra morale, legittima lo scherzo razzista, facendo, allo stesso tempo, di Malcolm X il proprio eroe.
Scrivere un libro di 960 pagine e intitolarlo «Meno che niente», ecco un esempio tipico della bizzarra pop-star della filosofia. Si pensava di fargli un intervista in occasione dell’uscita del suo libro presso Fayard, bocciato! Il direttore di ricerca alla Birkbeck School of Law fa le domande e le risposte, passa di palo in frasca, parla di Marx e soprattutto di Hegel, del suo comunismo e di molte altre cose. Briciole.
Il progresso, Hegel e la modernità
«Se si vuole restare di sinistra oggi, si deve assolutamente rigettare questa metafora del progresso storico. C’è forse una tendenza della storia, ma porta piuttosto verso una catastrofe. Mi piace molto questa frase di Walter Benjamin: «Oggi il nostro compito non è progredire nei tempi del progresso ma piuttosto di tirare il campanello d’allarme». E’ questo!
Hegel dice che la filosofia non può prescrivere o analizzare il futuro. E’ solo nel tempo passato che la filosofia può concettualizzare. Non era un cretino completo. Formula un’utopia possibile di quello che può formarsi dopo la rivoluzione francese. Ma c’è di più di questo, è infatti straordinariamente aperto. Per questo ritengo che si debba ritornare da Marx a Hegel, precisamente nella prospettiva della nostra situazione di oggi. Hegel è molto più materialista, nel senso di aperto alla contingenza. Il suo problema è precisamente di sapere come restare fedele alla rivoluzione francese senza ripetere il Terrore. In questo senso è beckettiano: “Try again, fail again, fail better”. Non si tratta di sapere come preparare la Rivoluzione – si è già tentato, c’è stata un insuccesso! Il nostro problema è esattamente quello di Hegel: come, dopo lo stalinismo, restare fedeli al progetto d’emancipazione, come non diventare un cinico liberale o un conservatore”
Io, comunista?
In maniera naive e stupida si potrebbe semplicemente dire: “OK, il comunismo, è finito”. Ma io resto comunista, un comunista negativo molto modesto. Io resto marxista in che senso? Non si può mai dimenticare la relazione di Marx con il capitalismo, che è stata molto ambigua, perché il capitalismo, allo stesso tempo, esercita un fascino su di lui: è il sistema più dinamico è quasi un miracolo! Io sono interamente d’accordo con lui e ciò mi crea delle difficoltà politiche.
Io dico comunista e non socialista, perché tutto il mondo può essere socialista, Bill Gates può essere socialista. Socialista, vuol dire, oh mio Dio, c’è della gente che soffre, bisogna aiutarla, bisogna essere solidale, c’è bisogno di umanitarismo, blablabla… Ma questo non è il problema. Il problema è quello della resistenza contro il capitalismo globale. Ciò che distingue il comunismo, è l’universalità”
La sinistra e la “censura dei nostri sogni”
“Io amo questa formula di Badiou che dice che si deve cominciare con la censura dei nostri sogni. È quando si abbandona il nostro mondo per immaginarne un altro che si rimane imprigionati. Si può suscitare la protesta di un uomo di sinistra, ma non posso che andare al fine: riabilitare lo Stato! Io credo che, per affrontare i nostro problemi, si avrà sempre più bisogno di una grande formazione sociale. Si dice che lo Stato perde di potere, ma non è vero. Il capitalismo d’oggi dipende di più in più dai regolamenti dello stato. Quando Hegel dice che lo Stato è l’estensione visibile di Dio, è forse vero! Il problema della sinistra, è quello che sogna a distanza invece di riappropriarsi dello stato.”
Alain Finkielkraut, mio amico?
“Io sono amico con lui perché amo i conservatori, ma non i reazionari. Marx dice che i conservatori pessimisti sono spesso meglio che i liberali, perché i primi ammettono l’antagonismo. Il problema con Finkielkraut, è che crede che si possa difendere in nome di qualche identità, mentre io sono pessimista”.
Sono obbligato ad amare il mio vicino?
“Si è creduto che il capitalismo ci avrebbe permesso di dissolvere le identità parziali… Ma, c’è una forma di capitalismo o di globalizzazione del mercato che può coesistere idealmente con una fortissima identità etnica, razzista… Lacan aveva predetto già che il mercato comune ci stava per spingere verso forme di razzismo.
Il limite dell’universalismo, è ciò che si chiama i modi di vita. Ciò che mi interessa, è il razzismo che si riproduce nelle piccole cose quotidiane. Ho amici che sono di sinistra, antirazzisti, ma quando un tipo asiatico o nero si avvicina, c’è un certo fastidio. Sono seccati da certi piccoli dettagli: “Io non amo quella cucina”, “questo modo di vestirsi” ecc. L’universalismo, per me, non è l’idea di un valore di universale che regna ovunque lo indicano le opere pubblicate dall’Unesco: la cultura mondiale, la visione beata di un patrimonio culturale universale… Io detesto tutto questo. Io credo che la sola universalità, è l’universalità della lotta sociale e politica, il fronte comune che permette una identificazione, una solidarietà autentica. Io non amo i liberali di sinistra, i multiculturalisti che dicono: “Si deve comprendere l’altro”. No, io non voglio comprendere l’altro, me ne frego. Il mio ideale non è di vivere in un palazzo dove c’è una famiglia vietnamita, un’altra latina, un’altra nera. Certo, ci vivrei certamente, ma come ha detto Peter Sloterdijk, c’è bisogno di un “codice di discrezione”. Questo è l’antirazzismo autentico: un’“ignoranza”, una discrezione molto gentile, un rispetto. Io voglio vivere in una città con tutte le culture, ma penso che devono mantenere una distanza e che non è una cosa malvagia.
Il locale, il globale, Malcolm X
Io sono eurocentrico, io non credo assolutamente a questa idea che le tradizioni, le culture locali, le identità parziali possano essere una resistenza contro il capitalismo globale. Malcolm X è una delle figure eroiche per me perché ha fatto una cosa geniale con quella X che, naturalmente, vuol dire: non ho cognome, ci hanno strappati la nostra identità… ma la sua genialità è consistita nel dire: non dobbiamo riscoprire le nostre radici: questa x ci dà una possibilità unica di inventare un modo di vita più autenticamente universalista che l’Occidente stesso. È la tesi fondamentale di Marx.”
Ecologie, biogenetica, apartheid… Contraddizioni contemporanee
“Solo qualche esempio del nostro tempo. L’ecologia, è una necessità, è obbligata a inventarsi un modo di azione collettiva che non è controllata dalla macchina.
Oggi il problema non è più il nucleare, ma la biogenetica, questa possibilità di controllo del cervello altrui per mezzo di campi magnetici. Si può connette già il cervello alle macchine. Lo si vede per certe protesi o sedie a rotelle, si pensa di avanzare e la macchina ci fa avanzare. Per quanto mi riguarda, ciò che mi spaventa, è che si può farlo in questa direzione, e si può fare nell’altra: dalla macchina al nostro cervello. Ci sono già degli esperimenti sui topi e si arriva a teleguidarli. Se si giunge a farlo sugli uomini, quale sarà la mia esperienza: avrò l’impressione che si è preso il controllo di me o penserò ancora di essere libero?
Ci si avvicina di nuovo a una società di apartheid. Il muro di Berlino è caduto, ma ci sono dei piccoli muri ovunque. Non ci sarà una Grande Guerra, ma una “guerra civile fredda”, implicita. Ci sono delle persone che sono incluse e delle altre escluse, fuori dai muri, e questo diviene ancora più violento che la differenza di classe di Marx. Nella sua idea, malgrado le differenze tra proprietario e proletario, c’è allo stesso tempo, a livello politico, una uguaglianza formale. Io credo che questo sta per sparire. Le tensioni, gli antagonismi si creano nel seno della stessa comunità politica, persino tra gli svantaggiati, come “una guerra tra poveri”
La molestia, la sigaretta, lo scherzo
Amo molto questa frase di Gilles Deleuze: “Non ci sono solamente delle risposte sbagliate, ci sono anche delle domande sbagliate”. Bisogna pensarci quando si parla, per esempio, come negli Stati Uniti, di molestia. Da un lato, ci sono degli stupri, del razzismo ma dall’altro, al quotidiano, quando l’altro si avvicina troppo a voi, voi lo guardate negli occhi… vi si dice che è violenza visiva! Ciò che mi rende triste, è questa paura della prossimità dell’altro. Quando si parla di molestia, il vero bersaglio, sono in fondo i poveri, che sono sempre volgari ecc.
Io trovo davvero profondamente problematica tutta questa campagna sul tabagismo passivo. Siamo già in una crisi finanziaria, perché non fare un gioco stalinista del genere: se tu puoi provare che fumi almeno un pacchetto di sigarette al giorno, è formidabile, aiuti lo stato con le tasse, forse morirai pure prima e risolverai il problema della pensione. Tu puoi avere una medaglia per la stabilizzazione finanziaria. È uno scherzo, ma lo scherzo, il Witz, ha una forza. In Yugoslavia, negli anni 80, con l’ondata del nazionalismo, le menzogne razziste, ciò ha funzionato come lo strumento più forte di solidarietà. Non sono arguzie contro le altre ma contro la propria identità ogni nazione è identificata e si identifica con un tratto razzista: gli Sloveni sono avari, i montenegrini sono pigri. Invece di criticare, ci si identifica volentieri con piacere, si raccontano dei Witz e, e questo ha funzionato in una modo liberatorio. Quando le cose sono realmente orribili, la tragedia non funziona più, perché suppone una certa dignità. Per esempio, se si immagine una tragedia a Auschwitz, un ebreo che si confronta in modo eroico con un nazista concede già troppo al nazista. La situazione è talmente orribile che ciò non è possibile per la vittima. Tutti i bei film sull’Olocausto sono delle commedie!

Offline Thorin

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Re:Jobs act e disoccupazione
« Risposta #65 il: 23 Feb 2016, 14:26 »
Secondo me i comunisti dovrebbero essere più sintetici. :D
Re:Jobs act e disoccupazione
« Risposta #66 il: 23 Feb 2016, 14:33 »
Secondo me i comunisti dovrebbero essere più sintetici. :D

il comunista.2 lo sarà  :D

Online FatDanny

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Re:Jobs act e disoccupazione
« Risposta #67 il: 31 Mar 2016, 14:50 »
http://www.repubblica.it/economia/2016/03/31/news/lavoro_francia-136614917/?ref=HREC1-2

Vedi che succede?
Oggi Hollande starà dicendo "e' l'Europa che ce lo chiede"
"anche in Italia l'hanno fatto. Non possiamo restare indietro".

Così funziona la comunicazione oggi. L'Europa come autogiustificazione dei propri crimini politici.
E intanto gli imprenditori esultano giustamente, dinanzi a questi regali forniti al Profitto a danno di chi lavora.

L'unico aspetto positivo e che lì, a differenza nostra dove non c'è più uno straccio di sinistra, sono scesi in strada con le mazze a far capire la grammatica degli oppressi.
I quali di fronte alla violenza oscena dello Stato che precarizza vite e condizioni di lavoro non si fanno problemi a rispondere con la violenza minimale di un innocuo pezzo di legno.

Un pezzo di legno fa male, un lavoro senza sicurezze uccide.
3 persone al giorno solo in Italia. Questa è violenza. Il Jobs Act è violenza oscena.
E non si può sempre subire.

Offline Thorin

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Re:Jobs act e disoccupazione
« Risposta #68 il: 31 Mar 2016, 18:25 »
http://www.repubblica.it/economia/2016/03/31/news/lavoro_francia-136614917/?ref=HREC1-2

Vedi che succede?
Oggi Hollande starà dicendo "e' l'Europa che ce lo chiede"
"anche in Italia l'hanno fatto. Non possiamo restare indietro".

Così funziona la comunicazione oggi. L'Europa come autogiustificazione dei propri crimini politici.
E intanto gli imprenditori esultano giustamente, dinanzi a questi regali forniti al Profitto a danno di chi lavora.

L'unico aspetto positivo e che lì, a differenza nostra dove non c'è più uno straccio di sinistra, sono scesi in strada con le mazze a far capire la grammatica degli oppressi.
I quali di fronte alla violenza oscena dello Stato che precarizza vite e condizioni di lavoro non si fanno problemi a rispondere con la violenza minimale di un innocuo pezzo di legno.

Un pezzo di legno fa male, un lavoro senza sicurezze uccide.
3 persone al giorno solo in Italia. Questa è violenza. Il Jobs Act è violenza oscena.
E non si può sempre subire.
Domanda seria: qui in Italia ci sono state manifestazioni serie contro il Jobs Act?

Online FatDanny

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Re:Jobs act e disoccupazione
« Risposta #69 il: 01 Apr 2016, 11:30 »
Non ci sono state manifestazioni e molti a sinistra, anche qui dentro, addirittura affermavano che la proposta aveva aspetti buoni, che era di sinistra (?!?!?!).

In francia hanno fatto il panico.
1,2 mln di persone in piazza in tutto il paese, tutte le città principali bloccate, scontri più o meno ovunque.

Considerazioni sparse:

- per una legge che è una versione sbiadita del Jobs Act hanno fatto il panico mentre qui abbiamo cincischiato e addirittura in molti casi giustificato la legge. Vergogna Italia. E soprattutto vergogna a chi in Italia si ritiene di sinistra.

- il PSE non può essere considerato di sinistra, ma partito organico agli interessi della controparte.
Alcuni di noi lo dicono da tempo. Avevamo decisamente ragione.
Re:Jobs act e disoccupazione
« Risposta #70 il: 01 Apr 2016, 11:36 »
basta con l'inglese

questo è il giobat (giobbare con un atto)

Offline Tarallo

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Re:Jobs act e disoccupazione
« Risposta #71 il: 01 Apr 2016, 11:41 »
Un grazie di cuore a chi manifesta in difesa anche di chi urla e strepita perche' sfasciate vetrine. Magari sono anche loro dei poveracci, ma voi mette, la violenza gratuita contro un negozio o una macchina? Inconcepibile. Mentre le leggi che fanno masturbare in asfissia i capi d'azienda non sono violente, no. E' la democrazia.

Offline anderz

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Re:Jobs act e disoccupazione
« Risposta #72 il: 01 Apr 2016, 13:10 »
Grazie francesi, grazie.

Online FatDanny

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Re:Jobs act e disoccupazione
« Risposta #73 il: 01 Apr 2016, 14:04 »
ma ndo so finiti tutti quelli che "il Jobs Act è di sinistra?"

Dissolti assieme all'idea che questo governo potessere essere minimanete utile a chi lavora?
Evaporati con tutte quelle chiacchiere su cosa avrebbe fatto Hollande in francia una volta eletto?
Peccato non poter recuperare quel topic.
Si perché qui si potrà pure dire che il PD da Prodi fino a Renzi non ha mai avuto la maggioranza necessaria a governare da solo, ma in Francia che scusa hanno i seguaci del PSE?
Come mai lì che i numeri ce li hanno propongono le stesse porcate?
Sarà forse che questa è esattamente la linea politica di un partito che ormai non ha più nulla di sinistra se non la truffa di un nome senza contenuto?

Il rammarico nostro è che con la ragione ci si fa poco.
Baratterei senza problemi la ragione con una bella massa critica assieme a cui scatenare l'inferno in questo paese assopito.
Abbiamo bisogno di uno scossone. Abbiamo bisogno delle barricate per le strade, metafora di un limite non più valicabile a costo dell'ordine pubblico e della pace sociale. A metafora di una misura ormai colma.
Abbiamo bisogno di tornare alla vita da questo coma farmacologico in cui c'hanno ridotto.
Re:Jobs act e disoccupazione
« Risposta #74 il: 01 Apr 2016, 15:48 »
ma ndo so finiti tutti quelli che "il Jobs Act è di sinistra?"

Guarda: mejo che nse fanno piu' vede' senno' te riattaccano la pippa co i 5 stelle e bersani che insieme
avrebbero fatto il socialismo
Re:Jobs act e disoccupazione
« Risposta #75 il: 01 Apr 2016, 15:55 »
qui alcune cose interessanti, da Internazionale


Il lavoro ai tempi del jobs act

Christian Raimo, giornalista e scrittore

Di recente sono usciti un paio di interessanti dati che raccontano il mondo del lavoro in Italia. Il primo è il numero di voucher usati nel 2015: 115 milioni circa, più del 64 per cento rispetto all’anno precedente. I voucher sono dei “buoni lavoro”, dei biglietti del valore di dieci euro per pagare il cosiddetto lavoro accessorio, quello non riconducibile a contratti di lavoro perché effettuato in modo saltuario.

I voucher hanno il vantaggio per il committente di includere una copertura assicurativa, e lo svantaggio per chi lavora di non accedere a disoccupazione, maternità, malattia, assegni familiari, eccetera. L’intento – a detta del governo – era di far emergere il lavoro nero. Il risultato sembra quello di aver reso legale e diffusissimo il cottimo anche per lavori che non avevano alcuna caratteristica di “accessorietà”.

Il secondo dato interessante riguarda il piano nazionale garanzia giovani, rivolto a tutte le persone tra 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono impegnate in nessun percorso formativo (i cosiddetti neet – not in education, employment or training) e finanziato in maniera molto generosa dalla comunità europea (più di 1,5 miliardi di euro).

Confini labili

In quasi due anni di attività – è partito nel maggio 2014 – al piano si sono iscritte più di 850mila persone, di queste finora ha trovato lavoro circa il 3,7 per cento, come riporta La Stampa. La maggior parte dei fondi è stata spesa per tirocini (pagati in gran parte sempre dal piano) che non si sono trasformati in contratti, per corsi di formazione che in molti casi sono stati considerati non qualificanti e che spesso non hanno avuto iscritti, senza contare che spesso – negli ultimi mesi – ci sono stati lunghi ritardi o mancanze nei pagamenti. Lo strumento che doveva servire a contrastare la disoccupazione giovanile sembra essersi trasformato in una scuola di precariato.

Quanto questi piani indicano semplicemente lavoro non pagato e sfruttamento non formativo?

La maggior parte delle persone che sono pagate con i voucher o sono inserite nel piano garanzia giovani è sfruttata o precarizzata. Probabilmente nessuna di loro potrebbe affermare di avere un lavoro, forse qualcuna potrebbe dire di lavorare ogni tanto, o di avere “un lavoretto”.

Del resto, che cos’è lavoro e cosa non lo è? Sarebbe interessante contare quante volte nella giornata usiamo espressioni come “sto lavorando”, “sono al lavoro”, “devo lavorare”, eccetera. Molte delle occasioni in cui si pronuncia una frase del genere non corrispondono a un’attività regolata da un contratto. Io stesso dico “sto lavorando” quando sono a insegnare ai ragazzi a scuola (contratto), quando sto scrivendo un pezzo per il mio blog (non contratto), quando sto leggendo un libro che forse mi servirà per aggiornarmi (contratto?). Lo stesso riguarda situazioni di lavoro meno definibili, tipo le casalinghe che escono per la spesa, chi dà ripetizioni al nipote, lo studente che sta facendo una ricerca di gruppo.

È altrettanto indefinibile quell’universo che sta tra il lavoro e la formazione. Ecco allora che ci si chiede quanto servono a formarsi, quanto sono lavoro, questi dispositivi “frankensteiniani” tipo garanzia giovani, i voucher per il lavoro “accessorio” e pagati in ritardo, gli stage per lavori che già sappiamo fare, i tirocini da 40 ore settimanali, l’alternanza scuola lavoro. Quanto alle volte sono semplicemente lavoro non pagato e sfruttamento non formativo?

Invece di tutelare forme di lavoro meno definibili si è pensato di indebolire le tutele già esistenti

L’autorappresentazione dei confini del lavoro è molto labile: è un insieme ovviamente molto più grande di ciò che è contrattualizzato, ma è un insieme che non coincide nemmeno con ciò che può portare reddito.

Faccio un esempio: quando devo spiegare il marxismo ai miei studenti a scuola, gli parlo di Facebook. Quanto vale Facebook in borsa? Mettiamo per approssimazione cento miliardi di dollari. Quanti iscritti ci sono su Facebook? Mettiamo per approssimazione un miliardo. Questo cosa vuol dire? Che ogni iscritto a Facebook produce di media un valore di cento dollari.

Se – poniamo caso – metà degli iscritti a Facebook domani decidesse di migrare su un nuovo più strabiliante social network, ecco che di colpo, probabilmente, il valore di Facebook si dimezzerebbe. Questo vuol dire che il tempo che passiamo su Facebook, su Google, su Twitter, eccetera, è un tempo che produce reddito che non ci viene riconosciuto – è plusvalore dato dal nostro pluslavoro, per usare categorie un po’ desuete.

Chi volesse mettere mano a una nuova legislazione sul lavoro dovrebbe tenere conto di queste trasformazioni. Dovrebbe capire come ridistribuire questo reddito, e come allargare il più possibile a tutti le forme di tutela che oggi sono appannaggio di una parte. Malattia, maternità, aspettative, eccetera.

E non si può dire che il jobs act non si sia confrontato con questo paesaggio così mutato. Il punto è che invece di capire come tutelare quelle forme di lavoro più plastico e meno definibile attraverso delle chiare forme contrattuali, si è scelta la strada opposta: si è pensato di rendere più deboli le tutele che già esistevano – riducendo quello che finora abbiamo considerato lavoro a una specie di “attività”, di “prestazione” occasionalissima.

Il sol dell’avvenire è sorto senza che ce ne accorgessimo, e si chiama flessibilità in uscita

Se la riforma Treu aveva provato con molti obbrobri concettuali e linguistici a venire incontro a una frammentazione delle forme di lavoro, creando dei mostri come i contratti di collaborazione a progetto (cocopro), il jobs act ha eliminato l’articolo 18 e trasformato la possibilità di licenziamento in un inconveniente da gestire con un po’ di indennizzo. Di fatto ha scelto di liberarsi di un senso di colpa, che almeno aveva mascherato la diminuzione dei diritti in una specie di tentativo rabberciato di difenderne il valore almeno sul piano formale.

Semplice prestazione

Il jobs act no: Renzi e Poletti hanno sostenuto senza più pudore che la vecchia normativa era ideologia, e che il sol dell’avvenire che non avevamo voluto inseguire finora è invece sorto senza che ce ne accorgessimo, e si chiama flessibilità in uscita.

Con gli sgravi fiscali, la possibilità di licenziare senza giusta causa e la trovata dei voucher, è facile vedere come non sia stato cambiato semplicemente l’aspetto legislativo, ma sia stato trasformato lo stesso contesto in cui si parla di lavoro. Il lavoro è una semplice prestazione – posso fruirne, poi posso smettere di fruirne: la prospettiva di cui tengo conto non è mai quella del lavoratore, ma quella dell’azienda che si serve di questa prestazione.

Questa concezione che toglie al lavoro l’aspetto identitario (il lavoro non è più ciò che struttura la mia identità di persona, ma una prestazione tra le altre, meno di un cottimo) fa sua la plasticità della definizione di ciò che è lavoro e ciò che non lo è, ma si sottrae dall’immaginare un mondo diverso in cui pensare tutela e dignità anche per chi non è contrattualizzato, è in formazione oppure è disoccupato.

Queste sono le gravi responsabilità di chi ha concepito questa legge. Dall’altra però ci sono anche quelle di chi in questi anni ha pensato che tra le reliquie del novecento ci fosse anche il sindacato. Può essere paradigmatico che Paola Regeni, madre di Giulio Regeni, qualche giorno fa alla conferenza stampa in senato, abbia ricordato: “Giulio era andato in Egitto per fare ricerca sul sindacato. Oggi se uno dice sindacato, sembra quasi che dica una brutta parola”.

Con un po’ di spietata tenerezza uno alle volte si chiede perché esista una generazione di persone che, in nome di una parvenza di riconoscimento sociale, accettano di scrivere per un giornale a tre euro al pezzo, diinsegnare a centinaia di studenti all’università per un euro al semestre, si dannano l’anima per un dottorato senza borsa, oppure non battono ciglio di fronte alla proposta di pagarsi di tasca loro un tirocinio.

È anche questa allucinazione di massa ad aver fatto sì che oggi la rivendicazione di diritti, la sindacalizzazione, siano pratiche obsolete, se non inimmaginate. Quello che si vuole, spesso, non sono né soldi né diritti, ma uno status. Il feticcio dello status è ciò che ha compensato l’assenza di una forma di coscienza di classe seppure embrionale. È incredibile come questa generazione di lavoratori precari, iperflessibili, sfruttati e senza futuro, condivida una condizione così comune – una condizione che è quasi un tono emotivo per quanto è specifico: un basso depressivo di rassegnazione – e non riesca a trovare il modo di organizzarsi politicamente.

Online FatDanny

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Re:Jobs act e disoccupazione
« Risposta #76 il: 02 Apr 2016, 14:07 »
Meraviglioso come giornali del calibro di Repubblica o Corriere dedichino alla vicenda giusto lo spazio di un articolo di terz'ordine.
La Francia, il nostro vicino, è in rivolta su un tema importante come quello del lavoro, con una legge che si ispira al nostro Jobs Act, e qui facciamo quasi finta che non stia accadendo nulla.

Il re è nudo.
Anzi, ad essere spogliati dagli avvenimenti d'oltralpe so' evidentemente in parecchi...

Online FatDanny

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Re:Jobs act e disoccupazione
« Risposta #77 il: 04 Apr 2016, 10:52 »
Chissà perchè questa Place de la Republique, a differenza di quella post-attentati, non viene mostrata dai media italiani...
Non si parla minimamente di una mobilitazione mastodontica che sta facendo tremare la Francia intera.
Ognuno ne tragga le proprie conclusioni.

Online FatDanny

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Re:Jobs act e disoccupazione
« Risposta #78 il: 05 Apr 2016, 11:09 »
http://ilmanifesto.info/jobs-act-il-piu-costoso-flop-di-renzi-ha-sbancato-il-bilancio-statale/

Miliardi regalati alle imprese.
Perché se si parla di redistribuzione a chi lavora c'è la crisi e non ci sono i soldi.
Quando si parla invece di padroni 22 miliardi in tre anni si trovano facile.

Pensate a tutto quello che si può fare in termini di welfare con 22 miliardi.
E adesso cari amici del PD sentitevi pure alla stregua di un elettore di Forza Italia.

Offline Rorschach

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Re:Jobs act e disoccupazione
« Risposta #79 il: 05 Apr 2016, 11:40 »
Il PIL italiano è stabile.

La domanda di lavoro è diminuita.

Quindi che facciamo?

Facciamo lavorare di più chi il lavoro già ce l'ha, no?
 

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