Michele e la sua lettera d'addio.

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Re:Michele e la sua lettera d'addio.
« Risposta #80 il: 10 Feb 2017, 16:39 »
Che bel topic.

Offline Kredskin

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Re:Michele e la sua lettera d'addio.
« Risposta #81 il: 10 Feb 2017, 16:43 »
Condivido molte cose lette qui, spesso anche scritte da persone con pensieri contrapposti, perché conosco e vivo la situazione da entrambi i lati della barricata e ci sono molte verità.

Michele sicuramente non si è suicidato per il lavoro in se, come non si è suicidato per nessuna ragione singola specifica, perché la depressione non funziona così.
Io sinceramente credo che solo chi è stato depresso (ma sul serio però) possa capire cosa significhi, quanto il mondo cambi, quanto ogni singola cosa diventi inaccettabile, ma soprattutto priva di valore. Un no, l'ennesimo magari, diventa un macigno sulle tue gambe, ti incastra, è un ulteriore pezzo delle macerie che ostruisce l'uscita del tunnel in cui strisci. La depressione è come essere nell'arena con una forchetta di plastica, le mani legate ed i tacchi a  spillo, mentre si è circondati da enormi mostri neri che ti circondano.

Ci si toglie la vita perché il futuro non esiste, la cosa peggiore della depressione è proprio questa, ti toglie il futuro; capisco che è difficile da immaginare, ma è come se non esistesse più. Rimane esclusivamente il momento presente, rimane solo il dolore lancinante, insostenibile, ma al contempo grigio, fermo, privo di picchi o alti e bassi, semplicemente piatto (capisco che sembra un controsenso).

A mio avviso, il lavoro è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, è stato per michele l'ultimo fallimento. A 30anni si riesce ad accettare (in qualche modo, con qualche metodo) la mancanza di amore, di affettività, di apprezzamento si fa, conosco alcune persone che hanno ufficialmente rinunciato, ma nel momento in cui non hai neanche il lavoro, davvero non hai nulla.
Perché il lavoro, soprattutto se sei cresciuto indottrinato in un certo modo, sei tu. Ti identifica, è una parte fondamentale della tua vita, nessuno pensa di poter vivere senza lavorare no? "Cosa fai nella vita?" "Cosa sei?" RIsposte ad effetto o filosofiche a parte, come rispondereste se non aveste una professione?

Io ho cambiato tanti lavori, e ad essere onesto ho sempre avuto difficoltà a rispondere a questa domanda fin quando non ho fatto il lavoro che ritenevo all'altezza dell'opinione che ho di me. Secondo me michele, probabilmente, intendeva questo, quando parlava di certe cose.

Io, e so di scrivere una cosa sbagliata, pericolosa (questa lettera è pericolosa, potrebbe portare ragazzi instabili a pensare che il suicidio sia viable), michele lo capisco. Lo capisco davvero, lo capisco perché ci sono passato, lo capisco perché ho passato del tempo con persone depresse e con tendenze suicide come lui e lo capisco perché alcune delle cose che dice sono fondamentalmente vere.

Ultimamente mi sono trovato a dover parlare con persone con patologie potenzialmente letali, con persone che stavano per perdere cari (non nonni 90enni purtroppo), con persone che avevano appena perso una persona cara, e l'unico pensiero che mi è venuto in mente è che il tempo non può avere un valore intrinseco.

Non so bene da dove guardare. Michele andava curato, andava aiutato, andava aiutata la famiglia oltre che lui (le famiglie perfette coi figli depressi non esistono) ma ha anche ragione in tanti passaggi che ha scritto. Il dover ingoiare qualunque merda per sopravvivere è un concetto che mi ha sempre lasciato perplesso.


Io non ho minimamente la preparazione professionale di Carib (o di atri) o la cultura di FD, non posso usare le terminologie giuste o esprimere i concetti con precisione, quindi please bear with me, voglio solo dare un punto di vista vicino.

Offline Kredskin

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Re:Michele e la sua lettera d'addio.
« Risposta #82 il: 10 Feb 2017, 16:58 »
MEGAOT

Ho iniziato a fotografare per lo stesso motivo, ci dobbiamo bere una birra prima o poi io e te! :beer:

Un grande aiuto me lo dette la fotografia, attraverso le immagini prese dal mondo esteriore ricreavo il mio stato emotivo ma ho dovuto fotografare cosi' tanta depressione che quando riguardo le foto da me scattate a volte mi viene da ridere per non piangere (chissa', magari un giorno ci apro un topic e le divido con voi). La nostra debolezza e' la nostra ricchezza piu' grande perche' dove c'e' dubbio c'e' ricerca e dunque possibilita' di soluzione.

FINE MEGAOT

Offline Buckley

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Re:Michele e la sua lettera d'addio.
« Risposta #83 il: 10 Feb 2017, 17:02 »
MEGAOT

Ho iniziato a fotografare per lo stesso motivo, ci dobbiamo bere una birra prima o poi io e te! :beer:

FINE MEGAOT
Extra time Mega Off topic
Se passi per le lande ungheresi te la pago volentieri, pure a Vienna va bene, e' qua vicino  :beer: :ssl
Re:Michele e la sua lettera d'addio.
« Risposta #84 il: 10 Feb 2017, 17:17 »
Carib, io sono d'accordo con te su molto di cio' che hai scritto ma non condivido assolutamente l'ultima riga. Sono stato studente di psicologia alla Sapienza prima e paziente in terapia dopo. L'interesse nella psicanalisi al punto di volerne fare una professione cui dedicare una vita, a mio modestissimo avviso e' gia' di per se' un indizio. Ma sono cose che si capiscono in un secondo tempo. Da come scrivi si evince che tu ne sappia parecchio sull'argomento e probabilmente quanto sto dicendo ti sembrera' la scoperta dell'acqua calda o il frutto di una testa bacata. Secondo me non ci si interessa alla sofferenza mentale per caso o per curiosita' culturale, lo si fa tendenzialmente perche' si vuole capire se stessi e trovare gli strumenti per aiutarsi. Mi ricordo bene le persone che frequentavano la facolta', moltissimi cercavano attraverso gli studi di conseguire la patente di sanita': Se curo gli alltri vuol dire che sono sano. Quelli piu' in buona fede cercavano risposte alle proprie domande, un numero altissimo di iscritti lasciavano perdere al primo anno. Io crollai al secondo quando capii che piu' che aiutare gli altri avrei dovuto prima aiutare me stesso. Me ne andai in terapia e da li' iniziai il mio percorso per cercare di uscire fuori dalla mia depressione, quella cosa che finalmente riuscivo a chiamare per nome dopo averla considerata a lungo inadeguatezza al mondo e alla vita. La mia analista veniva da un tentativo di suicidio quasi portato a termine. Cazzo se lo sapeva cos'era una depressione. Non mi ha mai dato una scadenza, mi disse che poteva durare da uno a cento anni, dipendeva dal livello della botta che avevo preso e dalle mie capacita' individuali di ritrovare fiducia in me stesso e stimoli per uscirne. La mia fortunatamente non era depressione da anaffettivita', era piu' di tipo essenziale, tipo un mantra appreso dalla nascita dove tutto era grigio, senza luce, senza sbocchi. Praticamente, la lettera di Michele. Se non credi in te stesso, se non hai la possibilita' di crederci, cerchi sollievo nella politica e nel sociale, tendi ad esternalizzare quello che hai dentro perche' assumertene la responsabilita' ti porta ancora piu' a fondo, almeno in apparenza, e dico questo perche' in realta' quello e' il momento in cui cominci ad acquisire consapevolezza e compi i primi passi verso l'uscita.
Bene, quando iniziai a muovermi alla ricerca di un senso, il mio senso interiore, persi completamente interesse nella sofferenza mentale, iniziai su consiglio della mia analista, a muovere un passo alla volta, senza cercare il tutto e subito. Un buon analista sa a che punto stai, sa cosa stai passando. C'era passata lei per prima. Ancora oggi sono convinto non avesse risolto tutti i suoi problemi ma ci conviveva alla grande, e sapeva usare le sue magagne per curare gli altri. Secondo me la guarigione non esiste, indietro non si torna ma sai chi sei, conosci te stesso, ti conosci cosi' bene che in certi casi ti basta una frase, una parola detta in un certo modo che riesci a capire anche chi ti sta davanti, siamo tutti umani e nessuno ha un passato glorioso. Sai pero' come reagirai a determinati stimoli e impari a non metterti piu' in condizioni che possano affligerti.
La politica, la disoccupazione, c'entrano assai poco. Se molti individui patiscono una condizione mentale di anaffettivita', il mondo che tenderanno a costruire, i loro rapporti umani, saranno ad essa improntati. Ecco perche' l'unica possibilita' e' cambiare se stessi, se cambi te stesso cambi anche il mondo. Il sogno e' collettivo, la strada, lo sforzo, sono individuali.
Un grande aiuto me lo dette la fotografia, attraverso le immagini prese dal mondo esteriore ricreavo il mio stato emotivo ma ho dovuto fotografare cosi' tanta depressione che quando riguardo le foto da me scattate a volte mi viene da ridere per non piangere (chissa', magari un giorno ci apro un topic e le divido con voi). La nostra debolezza e' la nostra ricchezza piu' grande perche' dove c'e' dubbio c'e' ricerca e dunque possibilita' di soluzione. Mi dispiace molto per tutti i Michele di questo mondo, come umani abbiamo dentro tanta grandezza da sbatterci al cazzo tutti i Poletti di questo mondo.
Concludo dicendo che a Roma ho preso solo porte in faccia cercando lavoro, trovavo solo lavoretti manuali sottopagati e al nero. Me ne sono andato in Inghilterra, mi sono laureato mantenendomi agli studi lavando i piatti la sera. Dal lavare i piatti sono riuscito a lavorare persino come fotografo per l'Universita' di Oxford, eppure a Roma credevo che il mondo ce l'avesse con me. Lo sforzo e' individuale ripeto, purtroppo di gente acciaccata molto peggio di quanto lo fossi io, ce n'e' tanta. E scusatemi se vi ho rotto i [...] :-)

Bel post, grazie, mi ha fatto riflettere.

Offline TomYorke

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Re:Michele e la sua lettera d'addio.
« Risposta #85 il: 10 Feb 2017, 20:14 »

Offline carib

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Re:Michele e la sua lettera d'addio.
« Risposta #86 il: 10 Feb 2017, 21:43 »
Carib, io sono d'accordo con te su molto di cio' che hai scritto ma non condivido assolutamente l'ultima riga. Sono stato studente di psicologia alla Sapienza prima e paziente in terapia dopo. L'interesse nella psicanalisi al punto di volerne fare una professione cui dedicare una vita, a mio modestissimo avviso e' gia' di per se' un indizio. Ma sono cose che si capiscono in un secondo tempo. Da come scrivi si evince che tu ne sappia parecchio sull'argomento e probabilmente quanto sto dicendo ti sembrera' la scoperta dell'acqua calda o il frutto di una testa bacata. Secondo me non ci si interessa alla sofferenza mentale per caso o per curiosita' culturale, lo si fa tendenzialmente perche' si vuole capire se stessi e trovare gli strumenti per aiutarsi. Mi ricordo bene le persone che frequentavano la facolta', moltissimi cercavano attraverso gli studi di conseguire la patente di sanita': Se curo gli alltri vuol dire che sono sano. Quelli piu' in buona fede cercavano risposte alle proprie domande, un numero altissimo di iscritti lasciavano perdere al primo anno. Io crollai al secondo quando capii che piu' che aiutare gli altri avrei dovuto prima aiutare me stesso. Me ne andai in terapia e da li' iniziai il mio percorso per cercare di uscire fuori dalla mia depressione, quella cosa che finalmente riuscivo a chiamare per nome dopo averla considerata a lungo inadeguatezza al mondo e alla vita. La mia analista veniva da un tentativo di suicidio quasi portato a termine. Cazzo se lo sapeva cos'era una depressione. Non mi ha mai dato una scadenza, mi disse che poteva durare da uno a cento anni, dipendeva dal livello della botta che avevo preso e dalle mie capacita' individuali di ritrovare fiducia in me stesso e stimoli per uscirne. La mia fortunatamente non era depressione da anaffettivita', era piu' di tipo essenziale, tipo un mantra appreso dalla nascita dove tutto era grigio, senza luce, senza sbocchi. Praticamente, la lettera di Michele. Se non credi in te stesso, se non hai la possibilita' di crederci, cerchi sollievo nella politica e nel sociale, tendi ad esternalizzare quello che hai dentro perche' assumertene la responsabilita' ti porta ancora piu' a fondo, almeno in apparenza, e dico questo perche' in realta' quello e' il momento in cui cominci ad acquisire consapevolezza e compi i primi passi verso l'uscita.
Bene, quando iniziai a muovermi alla ricerca di un senso, il mio senso interiore, persi completamente interesse nella sofferenza mentale, iniziai su consiglio della mia analista, a muovere un passo alla volta, senza cercare il tutto e subito. Un buon analista sa a che punto stai, sa cosa stai passando. C'era passata lei per prima. Ancora oggi sono convinto non avesse risolto tutti i suoi problemi ma ci conviveva alla grande, e sapeva usare le sue magagne per curare gli altri. Secondo me la guarigione non esiste, indietro non si torna ma sai chi sei, conosci te stesso, ti conosci cosi' bene che in certi casi ti basta una frase, una parola detta in un certo modo che riesci a capire anche chi ti sta davanti, siamo tutti umani e nessuno ha un passato glorioso. Sai pero' come reagirai a determinati stimoli e impari a non metterti piu' in condizioni che possano affligerti.
La politica, la disoccupazione, c'entrano assai poco. Se molti individui patiscono una condizione mentale di anaffettivita', il mondo che tenderanno a costruire, i loro rapporti umani, saranno ad essa improntati. Ecco perche' l'unica possibilita' e' cambiare se stessi, se cambi te stesso cambi anche il mondo. Il sogno e' collettivo, la strada, lo sforzo, sono individuali.
Un grande aiuto me lo dette la fotografia, attraverso le immagini prese dal mondo esteriore ricreavo il mio stato emotivo ma ho dovuto fotografare cosi' tanta depressione che quando riguardo le foto da me scattate a volte mi viene da ridere per non piangere (chissa', magari un giorno ci apro un topic e le divido con voi). La nostra debolezza e' la nostra ricchezza piu' grande perche' dove c'e' dubbio c'e' ricerca e dunque possibilita' di soluzione. Mi dispiace molto per tutti i Michele di questo mondo, come umani abbiamo dentro tanta grandezza da sbatterci al cazzo tutti i Poletti di questo mondo.
Concludo dicendo che a Roma ho preso solo porte in faccia cercando lavoro, trovavo solo lavoretti manuali sottopagati e al nero. Me ne sono andato in Inghilterra, mi sono laureato mantenendomi agli studi lavando i piatti la sera. Dal lavare i piatti sono riuscito a lavorare persino come fotografo per l'Universita' di Oxford, eppure a Roma credevo che il mondo ce l'avesse con me. Lo sforzo e' individuale ripeto, purtroppo di gente acciaccata molto peggio di quanto lo fossi io, ce n'e' tanta. E scusatemi se vi ho rotto i [...] :-)


No tranqui



 :=)) :beer:

E sto a scherza', grazie per quello che hai scritto. Grazie un miliardo di volte. Edit: e grazie anche a kredskin e a tutti gli altri.

ps. L'ultima riga del mio post in un certo senso è l'unica che non è "mia". Ci sono almeno cinque sentenze della Corte di Cassazione che derubricano la psicoanalisi a quel che è una filosofia qualsiasi, a un'opinione insomma. Non è cioè una scienza medica e chi la esercita alludendo a una possibilità di cura per il "paziente" commette il reato di esercizio abusivo della professione medica. A meno che non vi sia ANCHE una specializzazione in psicoterapia. Va detto che per esercitare la psicoterapia bisogna essere laureati in medicina o in psicologia e aver frequentato una scuola quadriennale o una scuola di specializzazione universitaria. Solo in questo modo si ottiene l'abilitazione a svolgere una professione che ha finalità di cura per la guarigione.

Offline carib

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Re:Michele e la sua lettera d'addio.
« Risposta #87 il: 10 Feb 2017, 21:56 »

Questo approccio secondo cui la salute sarebbe una cosa neutra che prescinde dal mondo circostante e dalle relazioni sociali ( ed economiche in quanto di potere e di dominio )che ogni persona vive a me spaventa, posso avere un'opinione diversa dalla tua o il principio nazista della Scienza come unica Verità me lo proibisce?
Poiché ho scritto esattamente il contrario di quello che mi attribuisci - e cioè, sintetizzo, che la malattia che sfocia nel suicidio si origina e si sviluppa nel rapporto (deludente) con l'ambiente umano circostante - ne deduco che sei d'accordo con me. Tutto è bene quel che finisce bene  :beer:

Offline Buckley

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Re:Michele e la sua lettera d'addio.
« Risposta #88 il: 10 Feb 2017, 21:58 »
No ragazzi, sono io che ringrazio tutti voi per questo topic bello e profondo. L'analisi e' un processo che non si interrompe mai e a volte sei cosi' impegnato in mille cose che non ci pensi piu', ti dimentichi della strada che hai fatto e ripiombi nella routine. Ci sono continui avanzamenti e continue regressioni, bisogna prendersi cura di se' per potersi prendere cura degli altri. I vostri commenti hanno rimesso in moto tantissime cose questi ultimi giorni. Mille di questi topic a tutti noi, ci fanno bene.

Offline Kredskin

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Re:Michele e la sua lettera d'addio.
« Risposta #89 il: 11 Feb 2017, 01:42 »
No ragazzi, sono io che ringrazio tutti voi per questo topic bello e profondo. L'analisi e' un processo che non si interrompe mai e a volte sei cosi' impegnato in mille cose che non ci pensi piu', ti dimentichi della strada che hai fatto e ripiombi nella routine. Ci sono continui avanzamenti e continue regressioni, bisogna prendersi cura di se' per potersi prendere cura degli altri. I vostri commenti hanno rimesso in moto tantissime cose questi ultimi giorni. Mille di questi topic a tutti noi, ci fanno bene.
Un grande maestro di arti marziali cinese che ho avuto la fortuna di conoscere, diceva sempre che la mente non si deve mai sedere, bisogna sempre spingere (nei limiti delle possibilità, quello è il difficile), sempre accelerare, quando si sta bene.
Ed aveva perfettamente ragione, bisogna sempre amarsi di più, sempre un pezzettino in più, lavorare per essere migliori.

L'ultima riga del mio post in un certo senso è l'unica che non è "mia". Ci sono almeno cinque sentenze della Corte di Cassazione che derubricano la psicoanalisi a quel che è una filosofia qualsiasi, a un'opinione insomma. Non è cioè una scienza medica e chi la esercita alludendo a una possibilità di cura per il "paziente" commette il reato di esercizio abusivo della professione medica. A meno che non vi sia ANCHE una specializzazione in psicoterapia. Va detto che per esercitare la psicoterapia bisogna essere laureati in medicina o in psicologia e aver frequentato una scuola quadriennale o una scuola di specializzazione universitaria. Solo in questo modo si ottiene l'abilitazione a svolgere una professione che ha finalità di cura per la guarigione.

Ora che la metti così, poiché la tua ultima frase mi trovava in fortissimo disaccordo, hai un bel 100% approved sul tuo post in questione.

Altrimenti, come dici te, è fondamentalmente una truffa.
Re:Michele e la sua lettera d'addio.
« Risposta #90 il: 11 Feb 2017, 19:47 »
Il precariato non uccide. Uccide l'insoddisfazione, uccide il dolore, uccide la paura.

Scusa ma trovo questa tua tesi di una inconsistenza e di un cinismo incredibili.

Come se il precariato non fosse causa primaria di insoddisfazione , di dolore, di paura, di impossibilità a pianificare/progettare un futuro per giovani che non hanno (e forse non avranno mai) un lavoro stabile nè una pensione.

Onore a Michele.

Vergogna a chi ha rubato il futuro non a una ma, ormai possiamo dirlo, a due generazioni.

Offline pentiux

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18582
Re:Michele e la sua lettera d'addio.
« Risposta #91 il: 11 Feb 2017, 19:54 »
Scusa ma trovo questa tua tesi di una inconsistenza e di un cinismo incredibili.

Come se il precariato non fosse causa primaria di insoddisfazione , di dolore, di paura, di impossibilità a pianificare/progettare un futuro per giovani che non hanno (e forse non avranno mai) un lavoro stabile nè una pensione.

Onore a Michele.

Vergogna a chi ha rubato il futuro non a una ma, ormai possiamo dirlo, a due generazioni.
Onore. Ok.

Scusa ma trovo questo il tuo commento di una banalità incredibile.

Buon proseguimento.

P.S. sono precario e non avrò mai una pensione.
Re:Michele e la sua lettera d'addio.
« Risposta #92 il: 11 Feb 2017, 21:53 »
Onore. Ok.

Scusa ma trovo questo il tuo commento di una banalità incredibile.

Buon proseguimento.

P.S. sono precario e non avrò mai una pensione.

Evidentemente hai altre forme di sostentamento perchè a mio avviso non è razionalmente giustificabile accettare una condizione di vita che riporta indietro di cento anni le lancette dell'orologio senza provare un sentimento di ribellione che in casi estremi (come quello di Michele) può portare anche al suicidio.

Per il resto non posso che ringraziarti per avermi dato solo del "banale". Mi sarei aspettato di essere etichettato come "populista", termine molto di  moda in questi giorni e che credo lo diventerà ancor di più nei prossim i mesi/anni.
Re:Michele e la sua lettera d'addio.
« Risposta #93 il: 11 Feb 2017, 23:30 »
Evidentemente hai altre forme di sostentamento perchè a mio avviso non è razionalmente giustificabile accettare una condizione di vita che riporta indietro di cento anni le lancette dell'orologio senza provare un sentimento di ribellione che in casi estremi (come quello di Michele) può portare anche al suicidio.

Per il resto non posso che ringraziarti per avermi dato solo del "banale". Mi sarei aspettato di essere etichettato come "populista", termine molto di  moda in questi giorni e che credo lo diventerà ancor di più nei prossim i mesi/anni.

e se questa condizione di vita che dici di cento anni fa, fosse l'unica possibile a livello condiviso sulla terra?
oggi chi non è "precario" lo è sulle spalle dei precari.
ieri lo erano sulle spalle del "terzo mondo".

in realtà l'uomo è precario, sempre. lo è sempre stato, e sempre lo sarà.
chiunque si costruisce delle "sicurezze", comunque precarie, lo sta facendo sulle spalle di qualcun altro.

al netto delle speculazioni finanziarie e delle rendite che sono una vera ingiustizia, però talmente diffusa nel nostro occidente che se provi a parlarne ti guardano proprio storto.

da un punto di vista sociale, e per tornare alla lettera di michele, è evidente che ciò che dici cozza con quanto statistiche, sociologia e psicologia hanno sempre sostenuto: è il benessere che toglie senso alla vita, i poveri non hanno tempo per deprimersi perché deve sopravvivere.

e infatti il punto è che al contrario di quanto sostenga nella lettera, sto michele non doveva davvero "sopravvivere" perché comunque veniva da una famiglia buona.

ecco, questa è la vera condanna delle nostre generazioni, il rapporto con le due generazioni precedenti. questa la vera causa della nostra insoddisfazione generazionale, è che siamo cresciuti con tutto e pensavamo che ce lo saremmo preso anche da noi.
Re:Michele e la sua lettera d'addio.
« Risposta #94 il: 12 Feb 2017, 00:34 »
e se questa condizione di vita che dici di cento anni fa, fosse l'unica possibile a livello condiviso sulla terra?
oggi chi non è "precario" lo è sulle spalle dei precari.
ieri lo erano sulle spalle del "terzo mondo".

in realtà l'uomo è precario, sempre. lo è sempre stato, e sempre lo sarà.
chiunque si costruisce delle "sicurezze", comunque precarie, lo sta facendo sulle spalle di qualcun altro.

al netto delle speculazioni finanziarie e delle rendite che sono una vera ingiustizia, però talmente diffusa nel nostro occidente che se provi a parlarne ti guardano proprio storto.

da un punto di vista sociale, e per tornare alla lettera di michele, è evidente che ciò che dici cozza con quanto statistiche, sociologia e psicologia hanno sempre sostenuto: è il benessere che toglie senso alla vita, i poveri non hanno tempo per deprimersi perché deve sopravvivere.

e infatti il punto è che al contrario di quanto sostenga nella lettera, sto michele non doveva davvero "sopravvivere" perché comunque veniva da una famiglia buona.

ecco, questa è la vera condanna delle nostre generazioni, il rapporto con le due generazioni precedenti. questa la vera causa della nostra insoddisfazione generazionale, è che siamo cresciuti con tutto e pensavamo che ce lo saremmo preso anche da noi.

Stai dicendo che Michele si è tolto la vita perchè troppo felice senza sapere di esserlo?

Offline Kredskin

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Re:Michele e la sua lettera d'addio.
« Risposta #95 il: 12 Feb 2017, 01:10 »
da un punto di vista sociale, e per tornare alla lettera di michele, è evidente che ciò che dici cozza con quanto statistiche, sociologia e psicologia hanno sempre sostenuto: è il benessere che toglie senso alla vita, i poveri non hanno tempo per deprimersi perché deve sopravvivere.
Hai scritto una stupidaggine PZ, ma grossa proprio.

Il senso alla vita non lo toglie il benessere, altrimenti solo i ricchi sarebbero depressi, ed è una cosa talmente ridicola e falsa che non saprei neanche come confutarla.

E' ovvio che alcuni istinti possono prevaricare le domande esistenziali, ma dipende sempre da cosa è causata la depressione, perché non è che ci sia solo quella di tipo esistenziale.

Un uomo che perde moglie e figli in un incidente stradale non può entrare in depressione se non arriva a fine mese con le bollette?

Guarda PZ, te lo dico veramente da amico e senza polemica, con il cuore in mano: non sai di cosa stai parlando.

P.S. Non sapere se il mese prossimo potrai campare, potrai mangiarti una pizza, non poter fare programmi di alcun tipo, non poter considerare di fare figli (che gli do da mangiare?)... dimmi te se questo non è un dramma.
Re:Michele e la sua lettera d'addio.
« Risposta #96 il: 12 Feb 2017, 01:38 »
Hai scritto una stupidaggine PZ, ma grossa proprio.

Il senso alla vita non lo toglie il benessere, altrimenti solo i ricchi sarebbero depressi, ed è una cosa talmente ridicola e falsa che non saprei neanche come confutarla.

E' ovvio che alcuni istinti possono prevaricare le domande esistenziali, ma dipende sempre da cosa è causata la depressione, perché non è che ci sia solo quella di tipo esistenziale.

Un uomo che perde moglie e figli in un incidente stradale non può entrare in depressione se non arriva a fine mese con le bollette?

Guarda PZ, te lo dico veramente da amico e senza polemica, con il cuore in mano: non sai di cosa stai parlando.

P.S. Non sapere se il mese prossimo potrai campare, potrai mangiarti una pizza, non poter fare programmi di alcun tipo, non poter considerare di fare figli (che gli do da mangiare?)... dimmi te se questo non è un dramma.

e invece è proprio così. perché alla fine la maggior parte di noi è ricco, vive in un paese ricco con tanta ricchezza da non saperla neanche riconoscere. ci riteniamo poveri e senza futuro, come se vivessimo in un paese disperso del bangladesh dove arriva l'acqua una volta a settimana. perché nel mondo c'è tanta gente che vive così, eh, e non è retorica. è semplicemente relativizzare le nostre difficoltà.

la depressione è una malattia da ricchi. poi sopraggiungono anche altri fattori, come ad esempio la "perdita", la perdita di affetti, di stabilità, di ricchezza, di benessere.

che è infatti quello che sostengo alla fine: noi oggi non soffriamo l'assenza di benessere, perché non è vera, ma la perdita di "quel" benessere che avevamo 30 anni fa.

ma la depressione è la malattia della perdita di senso che deriva dal benessere.
Re:Michele e la sua lettera d'addio.
« Risposta #97 il: 12 Feb 2017, 01:48 »


P.S. Non sapere se il mese prossimo potrai campare, potrai mangiarti una pizza, non poter fare programmi di alcun tipo, non poter considerare di fare figli (che gli do da mangiare?)... dimmi te se questo non è un dramma.

e mi soffermo su questa stupidaggine che hai scritto tu: no, non è un dramma. non realmente.
ma sai quanta gente non possiede neanche il concetto di "potersi mangiare una pizza"?
se ciò che tu dici fosse vero in senso assoluto per gli uomini, sapresti spiegarmi perché sono proprio i più poveri e insicuri (rom, comunità rurali, africani) a fare più figli? perché con l'aumentare del benessere e della ricchezza sono diminuite le nascite?
se a mio nonno elencassi queste cose che tu dici come "dramma", si metterebbe a ridere. quando lui aveva la tua età non era neanche sicuro che Roma il mese successivo sarebbe stata ancora in piedi (oddio, non che ora...  :) )

guarda che non è che me lo sto inventando io, eh. non so quanti anni abbia tu, ma io sono cresciuto negli anni '90 con tutta una letteratura che ci spiegava bene la depressione come malattia del benessere.

l'unico motivo per cui non consideri di fare figli è perché hai davanti agli occhi un modello di vita ricca che non sei sicuro di poter garantire a te e ai tuoi figli, ma il punto critico è quel modello, che non è assoluto ma relativo alle tue aspettative.
come se non poter andare in vacanza, o a mangiare una pizza, rendesse una vita meno degna di essere vissuta (perché alla fine tra le righe stai sostenendo questo, ma è normale, purtroppo, è il modello con cui siamo cresciuti e che ci è tutt'oggi proposto).

in questo senso le parole di michele sul massimo e il minimo risuonano ancora di più.

perché non è vero in assoluto che la timidezza o la lentezza non sono accettate, è vero in relazione a questo modello per cui potremmo sentirci inadeguati. il punto è percepire come inadeguato il modello e non noi.

Offline Kredskin

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Re:Michele e la sua lettera d'addio.
« Risposta #98 il: 12 Feb 2017, 05:18 »
e invece è proprio così. perché alla fine la maggior parte di noi è ricco, vive in un paese ricco con tanta ricchezza da non saperla neanche riconoscere. ci riteniamo poveri e senza futuro, come se vivessimo in un paese disperso del bangladesh dove arriva l'acqua una volta a settimana. perché nel mondo c'è tanta gente che vive così, eh, e non è retorica. è semplicemente relativizzare le nostre difficoltà.

la depressione è una malattia da ricchi. poi sopraggiungono anche altri fattori, come ad esempio la "perdita", la perdita di affetti, di stabilità, di ricchezza, di benessere.

che è infatti quello che sostengo alla fine: noi oggi non soffriamo l'assenza di benessere, perché non è vera, ma la perdita di "quel" benessere che avevamo 30 anni fa.

ma la depressione è la malattia della perdita di senso che deriva dal benessere.
Guarda quello che dici è parzialmente vero e lo penso anche io, poiché il contesto è TUTTO, ma appunto è parzialmente vero.
Non a caso ho parlato di depressione esistenziale. Quella si è da ricchi, quella da Siddharta.

Ma non esiste solo quella, ed infatti vedo che non hai risposto alla mia domanda sull'uomo che perde moglie e figli in un incidente stradale, o un fulmine, o quel che ti pare.
e mi soffermo su questa stupidaggine che hai scritto tu: no, non è un dramma. non realmente.
ma sai quanta gente non possiede neanche il concetto di "potersi mangiare una pizza"?
se ciò che tu dici fosse vero in senso assoluto per gli uomini, sapresti spiegarmi perché sono proprio i più poveri e insicuri (rom, comunità rurali, africani) a fare più figli? perché con l'aumentare del benessere e della ricchezza sono diminuite le nascite?
Certo che te lo so spiegare: si chiama istinto di sopravvivenza (della specie). Più la sensazione di morte imminente è forte, più si tende a figliare.
Non vedo cosa c'entri con il potersi mangiare la pizza.

Come ho scritto, il contesto è tutto.

Citazione
se a mio nonno elencassi queste cose che tu dici come "dramma", si metterebbe a ridere. quando lui aveva la tua età non era neanche sicuro che Roma il mese successivo sarebbe stata ancora in piedi (oddio, non che ora...  :) )
Anche mio nonno se è per questo, ma credo che fosse più una questione di tempra. No, non ha a che fare coi soldi la tempra, perché io e mia sorella siamo cresciuti con gli stessi soldi e siamo persone totalmente opposte.

Citazione
guarda che non è che me lo sto inventando io, eh. non so quanti anni abbia tu, ma io sono cresciuto negli anni '90 con tutta una letteratura che ci spiegava bene la depressione come malattia del benessere.
Eh, che ti devo dire, letture sbagliate e con dentro scritte cose non vere :)

Secondo me dovresti modificare la tua teoria, perché il punto non è avere soldi o meno, ma le tue aspettative rispetto al contesto in cui le applichi.
Ho avuto modo di avere a che fare con persone depresse povere sul serio, altro che pizza.

Citazione
l'unico motivo per cui non consideri di fare figli è perché hai davanti agli occhi un modello di vita ricca che non sei sicuro di poter garantire a te e ai tuoi figli, ma il punto critico è quel modello, che non è assoluto ma relativo alle tue aspettative.
come se non poter andare in vacanza, o a mangiare una pizza, rendesse una vita meno degna di essere vissuta (perché alla fine tra le righe stai sostenendo questo, ma è normale, purtroppo, è il modello con cui siamo cresciuti e che ci è tutt'oggi proposto).
No, non intendevo quello, assolutamente. Ma anche questo, se non ci sei mai passato, è difficile da spiegare.
Ci sei mai stato senza lavoro, frustrato ed umiliato continuamente, sfruttato ad ogni occasione, con la certezza di non avere una speranza di dignità?

Citazione
perché non è vero in assoluto che la timidezza o la lentezza non sono accettate, è vero in relazione a questo modello per cui potremmo sentirci inadeguati. il punto è percepire come inadeguato il modello e non noi.
PZ io non so che vita hai avuto, se ti sei mai trovato in una posizione simile a quella di michele (invero di moltissimi ragazzi della sua età), se hai mai lavorato con o avuto amici depressi (seriamente) di cui ti sei preso cura per diverso tempo, ma è un argomento che da fuori è impossibile da trattare.

La depressione non può essere una malattia da ricchi, non in assoluto, ci sono eventi che ti atterrano e basta, pure se ti stanno bombardando casa.

Offline Thorin

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Re:Michele e la sua lettera d'addio.
« Risposta #99 il: 12 Feb 2017, 09:14 »
Condivido molte cose lette qui, spesso anche scritte da persone con pensieri contrapposti, perché conosco e vivo la situazione da entrambi i lati della barricata e ci sono molte verità.

Michele sicuramente non si è suicidato per il lavoro in se, come non si è suicidato per nessuna ragione singola specifica, perché la depressione non funziona così.
Io sinceramente credo che solo chi è stato depresso (ma sul serio però) possa capire cosa significhi, quanto il mondo cambi, quanto ogni singola cosa diventi inaccettabile, ma soprattutto priva di valore. Un no, l'ennesimo magari, diventa un macigno sulle tue gambe, ti incastra, è un ulteriore pezzo delle macerie che ostruisce l'uscita del tunnel in cui strisci. La depressione è come essere nell'arena con una forchetta di plastica, le mani legate ed i tacchi a  spillo, mentre si è circondati da enormi mostri neri che ti circondano.

Ci si toglie la vita perché il futuro non esiste, la cosa peggiore della depressione è proprio questa, ti toglie il futuro; capisco che è difficile da immaginare, ma è come se non esistesse più. Rimane esclusivamente il momento presente, rimane solo il dolore lancinante, insostenibile, ma al contempo grigio, fermo, privo di picchi o alti e bassi, semplicemente piatto (capisco che sembra un controsenso).

A mio avviso, il lavoro è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, è stato per michele l'ultimo fallimento. A 30anni si riesce ad accettare (in qualche modo, con qualche metodo) la mancanza di amore, di affettività, di apprezzamento si fa, conosco alcune persone che hanno ufficialmente rinunciato, ma nel momento in cui non hai neanche il lavoro, davvero non hai nulla.
Perché il lavoro, soprattutto se sei cresciuto indottrinato in un certo modo, sei tu. Ti identifica, è una parte fondamentale della tua vita, nessuno pensa di poter vivere senza lavorare no? "Cosa fai nella vita?" "Cosa sei?" RIsposte ad effetto o filosofiche a parte, come rispondereste se non aveste una professione?

Io ho cambiato tanti lavori, e ad essere onesto ho sempre avuto difficoltà a rispondere a questa domanda fin quando non ho fatto il lavoro che ritenevo all'altezza dell'opinione che ho di me. Secondo me michele, probabilmente, intendeva questo, quando parlava di certe cose.

Io, e so di scrivere una cosa sbagliata, pericolosa (questa lettera è pericolosa, potrebbe portare ragazzi instabili a pensare che il suicidio sia viable), michele lo capisco. Lo capisco davvero, lo capisco perché ci sono passato, lo capisco perché ho passato del tempo con persone depresse e con tendenze suicide come lui e lo capisco perché alcune delle cose che dice sono fondamentalmente vere.

Ultimamente mi sono trovato a dover parlare con persone con patologie potenzialmente letali, con persone che stavano per perdere cari (non nonni 90enni purtroppo), con persone che avevano appena perso una persona cara, e l'unico pensiero che mi è venuto in mente è che il tempo non può avere un valore intrinseco.

Non so bene da dove guardare. Michele andava curato, andava aiutato, andava aiutata la famiglia oltre che lui (le famiglie perfette coi figli depressi non esistono) ma ha anche ragione in tanti passaggi che ha scritto. Il dover ingoiare qualunque merda per sopravvivere è un concetto che mi ha sempre lasciato perplesso.


Io non ho minimamente la preparazione professionale di Carib (o di atri) o la cultura di FD, non posso usare le terminologie giuste o esprimere i concetti con precisione, quindi please bear with me, voglio solo dare un punto di vista vicino.

Io sono completamente d'accordo con te.
 

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