I due concetti non sono per forza in contraddizione.
La scuola e l'università, con i loro diversi gradi, hanno il complicato compito di insegnarti ad essere qualcuno (nel senso più ampio del termine) e a saper fare qualcosa.
Perché le due cose definiscono te stesso e ti rendono libero
Per questo servono docenti preparati e programmi rivisti. Ma serve pure che i bambini/ragazzi siano messi di fronte (ad un certo punto) al come "concorrere" (e uso questo verbo copiando lo dalla costituzione) alla ricchezza, sempre in senso lato, del paese e di loro stessi.
Ps. Però mi so pure rotto il kaiser di sentire che devi per forza saper fare qualcosa che SERVE.
Che serve e basta perché se non sai fare qualcosa che serve sei inutile.
Ma forse non serve a un'industria. E potrò pure dire a me che mi frega?
concordo in toto.
Trax il punto è che la "parità di condizioni" di partenza è un'illusione come ben dimostrano i dati.
Viviamo in una società che tende a riprodurre le classi sociali uguali a se stesse ma a mostrare il contrario in forma ideologica (attraverso la narrazione dei pochi che "ce l'hanno fatta" che aiuta ad accettare la propria condizione che evidentemente si "merita" e sbandierando la possibilità formale di farcela la cui assenza causerebbe rivolte).
Tuttavia con l'apertura dell'università di massa un minimo di mobilità sociale si era prodotta. L'università garantiva questa possibilità tanto da divenire sempre più frequentata.
Questo trend è stato interrotto da una serie di riforme (dai '90 in poi) che hanno ridefinito il perimetro dell'alta formazione ed escluso i più.
Tanto che intorno a dieci anni fa dopo circa quarant'anni il trend è cambiato e le iscrizioni universitarie sono tornate a scendere dinanzi ad un'università svalorizzata e non più utile se non potevi permetterti i poli d'eccellenza o corsi aggiuntivi, master, stages all'estero. Obiettivo raggiunto.
D'altronde era uno scandalo che anche l'operaio volesse il figlio dottore.