Addio, vecchio bambino

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Addio, vecchio bambino
« il: 26 Ago 2014, 11:11 »
dalla Gazzetta.it

È morto Alfredo Martini, voleva il Nobel per la Pace assegnato alla bicicletta
È scomparso a 93 anni il testimone più affettuoso e poetico del ciclismo, da Alfredo Binda a Vincenzo Nibali. Ha dato e lasciato molto

25 AGOSTO 2014 - MILANO
Stavolta non ce l’ha fatta. Alfredo Martini ha resistito a una guerra, la Seconda guerra mondiale, vissuta anche da partigiano, e a milioni di battaglie, quelle del ciclismo. Nato a Firenze il 18 febbraio 1921, aveva compiuto 93 anni. Brillante fino a pochi mesi fa, è come se nel suo ultimo chilometro gli fosse caduto tutto addosso. Ha reagito, ha lottato, non si è mai rassegnato. Si è spento, come una candela, nella sua abitazione di Sesto Fiorentino. Con lui se ne va il testimone più affettuoso e poetico del ciclismo, da Alfredo Binda a Vincenzo Nibali. Ha dato e lasciato molto, ha trasmesso tutto, ma da adesso in poi non potrà più essere la stessa storia. Nella sala consiliare del comune di Sesto Fiorentino (Firenze) è stata allestita la camera ardente, mercoledì i funerali alle 16 nella chiesa di San Martino.

DA MAGNI AL ROSA — Allievo, uno dei suoi primi avversari è stato Fiorenzo Magni. Dilettante, il suo primo commissario tecnico è stato Binda. Professionista, ha corso dalla fine del 1945 (ma ancora indipendente, però nella Bianchi) fino al 1957, ha vinto poco ma bene (fra l’altro: una tappa al Giro d’Italia nel 1950 e una al Giro di Svizzera nel 1951, il Giro dell’Appennino nel 1947) e indossato la maglia rosa (un solo giorno, nel 1950, al traguardo di Brescia), e ha conquistato valorosi piazzamenti (terzo in quel Giro del 1950, terzo nella Cuneo-Pinerolo al Giro del 1949, e davanti a lui "soltanto" Coppi e Bartali).

E POI DS E NAZIONALE — Poi direttore sportivo (alla Ferretti, con tanto di vittoria al Giro d’Italia del 1971 con Gosta Pettersson), quindi commissario tecnico della Nazionale italiana. Dal 1975 al 1997, ha collezionato i trionfi di Francesco Moser, Beppe Saronni, Moreno Argentin, Maurizio Fondriest e, per due volte, Gianni Bugno. Senza contare argenti e bronzi. Qui Martini ha trasformato un compito in una missione, un ruolo in una figura, un personaggio, un protagonista, fino a diventare - senza volerlo, senza doverlo - l’anima del ciclismo italiano. Senza mai risparmiarsi: in chilometri, in ricordi, in intuizioni. Un gigante della strada.Il tempo gli ha dato la possibilità di moltiplicarsi: non c’è stata corsa, di esordienti o di professionisti, non c’è stato striscione, di partenza o di arrivo, non c’è stato paracarro o trattoria, non c’è stato sportivo o tifoso che lui non abbia frequentato, respirato, vissuto. Tanto che, prima con Franco Ballerini, poi con Paolo Bettini e adesso anche con Davide Cassani, Martini continuava a rappresentare il padre della patria.

"DOVEVO FARE DI PIÙ" — "C’è chi mi ha eletto ambasciatore di ciclismo, chi mi ha visto come un profeta o un guru o un missionario - ha scritto nel suo recentissimo La vita è una ruota (Ediciclo) -. Invece io ho sempre pensato che avrei potuto fare di più. Se guardo indietro, penso che la bicicletta e il ciclismo mi abbiano dato più di quello che io ho dato loro. Avrei voluto dare il doppio, ma bisogna saper accettare i propri limiti, con onestà. La bicicletta merita sempre di più. Cento anni fa era un mezzo, spesso anche di lusso, per andare a lavorare. Così si sapeva che cosa volesse dire pedalare, in salita e in discesa, sullo sterrato o fra i sassi, la mattina presto o la sera tardi. E i corridori sentivano che la gente gli era vicina, partecipe, entusiasta. Oggi, un secolo dopo, la bicicletta si sta rivelando sempre più importante. È la chiave di movimento e lettura delle grandi città. Un contributo sociale. E non ha controindicazioni. Fa bene al corpo e all’umore. Chi va in bici, fischietta, pensa, progetta, canta, sorride. Chi va in macchina, s’incattivisce o s’intristisce. La bicicletta non mi ha mai deluso. La bicicletta è sorriso, e merita il Nobel per la pace".



Quando sento di gente parlare a sproposito che lo sport è spettacolo, evento, prestazione, che quello che conta è il risultato, ebbene, per me a costoro manca qualcosa. Manca la gioia, la gioventù, l'entusiasmo di essere ragazzini, di misurarsi e di competere, certamente, ma non colgono l'allegria e la bellezza dello Sport. Con la maiuscola. Con una palla o in sella ad una bicicletta.

Alfredo Martini, cui una lunga vita ha dato la possibilità di attraversare tutte le epoche dell'italico pedale, era un uomo di Sport. Una persona bella, gentile, con un carattere meno aspro dei toscanacci alla Bartali, ma acuto e sensibile. Non dire cazzate, Alfredo. Tu hai dato allo Sport più di quanto lui ti abbia dato. Sei stato un maestro ed un padre per tanti, forse per tutti i pedalatori italiani. Lucido fino alla fine, un esempio per tutti, uomo d'altri tempi ma anche in questo tempo, dove i "vecchi" sono considerati inutile ciarpame economicamente negativi per la società, hai distribuito la tua saggezza da innamorato, in cui tutti hanno saputo riconoscersi.

Gli Uomini di Sport, quelli veri, i Renzo Nostini, gli Edoardo Mangiarotti, i Vittorio Pozzo, i Nereo Rocco, ti stanno aspettando.

Addio, vecchio bambino.


Offline Nanni

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6710
Re:Addio, vecchio bambino
« Risposta #1 il: 15 Set 2014, 14:26 »
Vero, ben detto.
E di qua, il senso di solitudine diventa sempre più forte.

Sono gli anni che passano, maledetti, e quindi è inevitabile che tutti i Grandi (dello sport e della vita) debbano invecchiare e prima o poi andarsene via.

Alfredo Martini era uno di quelli con i quali eri contento di respirare la stessa aria, di vedere lo stesso sole sorgere. Eri contento che ci fosse, tanta grandezza era racchiusa in quel nome.

Come Edoardo Mangiarotti, appunto, come Renzo Nostini. Come Pietro Mennea, o per rimanere nel ciclismo, come Laurent Fignon, come Franco Ballerini e... perché no, da Laziali, come Aldo Donati.

A fine agosto è scomparso un pilota di rally. Il più grande di tutti, stando al parere di chi se ne intende: Bjorn Waldegaard. Svedese, alto e grosso, biondo e forte come un toro, aveva poco più di 71 anni, manco a dirlo per tumore.
Per chi conosce e ama l'automobilismo e i rally in particolare, Waldegaard è stato quello che è stato Agostini per le moto, o Merckx per il ciclismo. Uno capace di vincere con qualsiasi macchina, dalla Porsche 911 alla Lancia Stratos, ma anche alla gigantesca Mercedes 450SLC e addirittura a una Ferrari 308GTB che tutto erano meno che macchine da sterrati. E in qualsiasi condizione, neve, ghiaccio, sassi, fango, anzi più era dura e più lui si esaltava.
Uno che ha vinto quattro volte il Safari Rally in Kenya e il Bandama Rally in Costa d'Avorio, due volte il Rallye de Monte-Carlo, infinite volte il rally di casa sua in Svezia, e i rally di Gran Bretagna e Finlandia, l'Acropolis in Grecia, il Sanremo in Italia, uno che è stato Campione del Mondo Rally nel 1979, correndo contro una decina dei più grandi della storia, da Munari a Röhrl, da Mikkola a Therier, Vatanen, Andruet e Kankkunen, per una carriera di oltre vent'anni. Un mito, un mito assoluto.

E di qua, il senso di solitudine diventa sempre più forte.

Offline gesulio

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19406
Re:Addio, vecchio bambino
« Risposta #2 il: 29 Set 2014, 08:48 »
bellissimo l'omaggio da parte dell'italia di ciclismo ai mondiali su strada in Spagna terminati ieri: la dedica "per sempre! Alfredo" non ha portato bene, però ieri pomeriggio abbiamo ammirato una bella prova dei nostri, di quelle battagliere come sarebbero sicuramente piaciute al grande CT azzurro. 


(certo, non aver previsto un marcatore singolo su Kwiatkowski, dopo che la Polonia ha tenuto la testa della gara fino ai meno 4 giri...  :s vabbe', lasciamo perdere. altro topic)
 

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