Automobilismo, sessant'anni prima

0 Utenti e 25 Visitatori stanno visualizzando questo topic.

Offline Nanni

*****
6710
Automobilismo, sessant'anni prima
« il: 21 Feb 2015, 16:46 »


Una foto meravigliosa.
Anno 1956, Sebring, Florida, durante le prove della 12 Ore, prima prova del Campionato Mondiale Marche, che all'epoca rivaleggiava per importanza col Mondiale Fomula 1.
Il campionato delle vetture Sport-Prototipo, delle gare di endurance, la 12 Ore di Sebring, la 24 Ore di Le Mans, le 1000 Km di Spa-Francorchamps e del Nürburgring. Ancora esistono oggi, ma adesso corrono in equipaggi di tre (o anche di quattro). Allora si correva in due, senza dormire mai.

Sono Eugenio Castellotti e Juan Manuel Fangio, che quella gara la vinceranno insieme, al volante della Ferrari 860M.

Eugenio Castellotti, di Lodi. Giovane, Italiano, ricco, ricchissimo di famiglia, bello e famoso (notare il tacchetto sopraelevato...). Una vera pop-star, era fidanzato con Delia Scala, che in quegli anni era la numero uno assoluta della rivista e del teatro leggero Italiano (la TV ancora non era diffusissima da noi). Viveva perennemente circondato, inseguito dai fotoreporter e dai cronisti-di-rosa. Era il pilota giovane del team, arrivato nella Scuderia Ferrari da predestinato. Velocissimo, coraggioso fino all'inverosimile, aveva corso in Formula 1 per la Lancia prima di passare alla Ferrari.
Sì, la Lancia, il marchio che Marchionne ha deciso di cancellare, nei primi anni '50 presentò una F1 e una vettura Sport che sbaragliarono il campo. Poi tutto il progetto si bloccò dopo la morte del pilota di riferimento, Alberto Ascari.
Castellotti, in quel 1956 con la Ferrari, riuscì a vincere la Mille Miglia, guidando da solo per 1600 km da Brescia a Roma e ritorno, a oltre 135 di media, e nel Gran Premio di Francia a Reims finì secondo, proprio dietro a Fangio.

Quel signore un po' pienotto, un po' malmesso, dell'apparente età di cinquant'anni (in effetti, nel 1956 ne ha 45), è Juan Manuel Fangio. Argentino, di origini Abruzzesi, il più grande pilota di tutti i tempi. Uno da far impallidire Senna, Prost, Schumacher, Lauda, Mansell, non parliamo dei farfallini di oggi, Vettel, Alonso, Raikkonen... Uno venuto su nelle gare Argentine degli anni 30 e 40, roba del tutto simile per lunghezze e percorsi alla famigeratissima Dakar-Cile-Bolivia di questi tempi. Con la differenza che oggi corrono con le assistenze, i meccanici, i medici, gli elicotteri al seguito, allora correvano con catorci Americani Ford o Chevrolet più o meno legati col fil di ferro, con le carrozzerie smontate per alleggerire, e via andare a 200 sui tratturi della Pampa...
Arriva in Europa Fangio, e esordisce in F1 all'età di 39 anni. Un'età che oggi segna più o meno il ritiro dall'attività agonistica, anche per i piloti...
E non ha avversari. In Formula 1 come nel Mondiale Sport, nessuno riesce a contrastarlo. Un dominio assoluto, qualsiasi macchina si trovi fra le mani, è uno che annienta gli avversari.
All'epoca della foto, nel 1956, di Campionati Mondiali lui ne ha già vinti tre: nel 1951 con l'Alfa Romeo, nel 1954 con la Mercedes e nel 1955, guidando per Maserati e Mercedes (lui correva con tutto, con chi pagava). Rivincerà ancora, proprio in quel 1956 con la Ferrari (un rapporto problematico il loro), e ancora nel 1957, stavolta con la Maserati, prima di decidere di ritirarsi e tornarsene a casa in Argentina dove vivrà tranquillamente, fino all'età di 84 anni. Ma avrebbe potuto dominare ancora a lungo, avesse voluto continuare.

Meno di un anno dopo lo scatto di questa foto, Eugenio Castellotti perderà la vita, provando una Ferrari all'autodromo di Modena. All'epoca era così, morivano come agnellini. Dei 25, 30 che iniziavano una stagione di corse, a fine anno ne risultavano falcidiati almeno una decina. Circuiti inadeguati, macchine velocissime, freni, gomme, sospensioni approssimativi. Motorsport is dangerous.
Nel giro di tre anni, fra il 1955 e il 1958 una intera generazione di piloti, tutti legati alla Ferrari, sparirà: Alberto Ascari, Eugenio Castellotti, Peter Collins, Luigi Musso. E per una tragica ironia, l'Inglese Mike Hawthorn, Campione del Mondo nel 1958 con la Ferrari, che aveva deciso di ritirarsi dopo la morte di tanti suoi amici, morirà anche lui a Gennaio del 1959, in un incidente stradale.

Enzo Ferrari odiava Delia Scala. Diceva che lei non faceva concentrare il suo pilota. Enzo Ferrari era una bestia, la nascita di un figlio di un corridore, lui non l'accoglieva con gioia. No, lui diceva un figlio nella mente di un pilota "vale" due decimi più lento al giro... Figuriamoci i problemi sentimentali... A Marzo del 1957 Eugenio Castellotti era in Versilia dove la sua fidanzata aveva uno spettacolo. Ferrari lo fece chiamare per una prova delle macchine di Formula 1 a Modena. Castellotti non voleva venire, fate provare a Musso, a Collins, a Trintignant, disse abbastanza adirato. Ferrari si impuntò, e gli ordinò di essere tassativamente la mattina dopo a Modena per le prove. Non si discute, non è possibile discutere.
Eugenio assiste allo spettacolo di Delia. Poi la cena, tirano tardi. A notte alta lui si mette in macchina e attraversa l'Appennino, da Firenze a Modena, viaggiando a mille. Alle 8 e mezza è all'autodromo, puntuale. Telefonano a Ferrari e lo avvertono che Castellotti è arrivato. Tuta, casco, parte. Nemmeno due giri, alla fine del rettilineo perde il controllo e sbatte, a 200 e passa all'ora. Non c'è niente da fare.


Offline Tarallo

*****
111509
Re:Automobilismo, sessant'anni prima
« Risposta #1 il: 21 Feb 2015, 16:51 »
Che meraviglia.
Raccontacele ste storie Na', sono splendide.
Re:Automobilismo, sessant'anni prima
« Risposta #2 il: 21 Feb 2015, 17:13 »
Bel racconto.
Grazie.

Offline Nanni

*****
6710
Re:Automobilismo, sessant'anni prima
« Risposta #3 il: 30 Mar 2015, 16:42 »
Perché ami l'automobilismo (anche di meno di sessant'anni fa...)?


Nino Vaccarella con la sua faccia puntuta, gli occhialoni e il caschetto bianco con le due righe rossa e verde sfreccia in gara su una stradina della Targa Florio nel 1968. La Targa Florio quella vera, le sport-prototipo che passano a 240 all’ora in mezzo ai paesini e alle carrarecce e alle cento curve delle Madonie, centro montuoso della Sicilia, sotto ai balconi e ai panni stesi delle viuzze piene di buche a Cerda e a Caltavuturo, fra gli ulivi e le pietraie a Bonfornello. E sopra un muricciolo oltre una curva un tifoso siciliano gli ha scritto con la vernice bianca e la grafia stentata: “Nino attento”, proprio là dove un anno prima era andato a sbattere con la Ferrari 330 P4 rossa invincibile, perdendo in un colpo le speranze di conquistare la gara, lui da solo contro l’armata della Porsche. Nino Vaccarella, corridore per passione, vice-preside di un liceo femminile per professione, quando aveva bisogno di un pilota di affidamento Enzo Ferrari chiamava a sé sempre il Siciliano.



Monza delle scie, praticamente un infinito rettilineo di cinque kilometri e mezzo, con a metà la frenata della Parabolica. Per oltre 30 anni un record ha resistito in F. 1: il Gran Premio più veloce della storia, il Gran Premio d’Italia del 1971, ben oltre i 251 di media! Si corre a Monza, per l’ultima volta senza le chicane, quelle varianti a zigzag che costruiranno l’anno dopo sul rettilineo dei box, poi alla Curva Ascari, poi alla Roggia, snaturando il circuito fino a renderlo simile a un serpente. Quella volta si ritrovano in cinque o sei appiccicati uno addosso all’altro a superarsi e a risuperarsi, a tutta manetta, ruote contro ruote fin dal via: due giovani ambiziosi, Ronnie Peterson e François Cevert e uno più esperto, Chris Amon con la Matra 12 cilindri celeste, poi quasi a sorpresa Mike-the-bike Hailwood, il Campione del Mondo di motociclismo semi-esordiente in F. 1 con la Surtees-Ford, e le due Brm velocissime di Howden Ganley e Peter Gethin, tutta gente che in F. 1 non ha vinto una gara. Peter Gethin viene dall’Inghilterra, dalla gavetta dura e senza gloria delle piste inglesi, già oltre i trent’anni, ha appena lasciato la McLaren che ancora naviga a metà schieramento, per un buon contratto con l’opulenta Brm. Amon, il più sfigato dei piloti a un certo punto pare in grado di andar via, ha strappato due secondi di vantaggio su tutti, ma sul rettilineo opposto gli vola via la visiera del casco e guidare col vento dentro gli occhi non è davvero una cosa semplice… Rimangono in due a contendersi la gara, Peterson e Cevert, c’è anche Gethin da presso, ma s’è affacciato in testa soltanto un paio di volte timidamente a Lesmo, gli altri Ganley e Hailwood sembrano non reggere, Amon ormai è lontanissimo. All’ultima staccata alla Parabolica arrivanoappaiati, s’infila alla corda davanti a tutti François Cevert con la Tyrrell blu, ma Peterson non molla, sfrutta la sua scia e esce molto più veloce dalla curva, lo affianca, ce la fa, passa, ma... sul traguardo ancora più all’interno dalla parte dei box, piomba come un fulmine il muso di una macchina bianca, è Gethin con la Brm 12 cilindri stressata due volte più veloce di tutti, vincitore per un centesimo di secondo, meno di un metro di vantaggio! In mezzo a questi, in disparte passa anche Joakim Bonnier nella McLaren privata arancione, doppiato lemme lemme che neanche s’è accorto della scena.



L’urlo da bestia ferita, irrefrenabile da dentro al casco, sentito in diretta da tutto il mondo attraverso il microfono di uno dei primi camera-car della storia: Ayrton Senna al traguardo del Gran Premio del Brasile del 1991, il suo primo Gran Premio di casa vittorioso, davanti ai suoi, sotto l’acquazzone che è arrivato all’improvviso nel corso degli ultimi giri, guidando l’ultimo tratto col cambio guasto, bloccato in quinta marcia. E poi ancora la sofferenza su quello stesso podio a tirar su la coppa del vincitore, che deve apparire pesantissima a quel braccio e quella spalla immobilizzati e doloranti per la cintura di sicurezza da lui tenuta per tutta la gara come sempre stretta stretta, al limite del sopportabile.

Offline Nanni

*****
6710
Re:Automobilismo, sessant'anni prima
« Risposta #4 il: 30 Mar 2015, 16:43 »

Le tre Ferrari rosse in parata al termine della 24 Ore di Daytona nel 1967, una accanto all’altra sul traguardo lungo la pista leggermente sopraelevata, proprio in faccia a quegli spocchiosi degli americani, a quelli della Ford. La numero 23 di Lorenzo Bandini-Chris Amon, la 24 di Mike Parkes-Ludovico Scarfiotti, la 26 di Pedro Rodriguez-Jean Guichet,  i numeroni neri bordati di rosso in un cerchio bianco sul muso e sulle fiancate. Un quotidiano di Daytona Beach il giorno dopo che titola, in italiano: “Ferrari, primo, secondo e terzo”. L’arrivo in parata lo aveva deciso all’ultimo momento il Direttore Sportivo della Ferrari, un ex-giornalista di nome Franco Lini, non avendo dimenticato che otto mesi prima a Le Mans quelli della Ford erano arrivati lo stesso primo, secondo e terzo al termine delle 24 Ore: avevano messo in campo uno squadrone irresistibile, con mezzi tecnici e umani illimitati e avevano battuto la Ferrari. Le tre macchine americane però erano arrivate in parata, ma non affiancate, solo una dietro l’altra. Tanto che essendo le prime due a pari giri la giuria dichiarò vincente quella di Bruce McLaren-Chris Amon (Amon, ancora lui!) solo perché al via era partita in quarta posizione, più indietro rispetto all’altra di Denny Hulme-Ken Miles, seconda sulla linea di partenza, andando a percorrere perciò di fatto circa venti metri di pista in più! Allora il via a Le Mans era dato ancora con tutte le macchine parcheggiate da un lato e i piloti schierati in piedi dall’altro lato della pista: all’abbassarsi della bandiera tutti correvano, salivano al volo in macchina e partivano. Amon, McLaren e Hulme, piloti tutti e tre Neozelandesi. Dopo di loro da laggiù così bravi non ne arrivò più nessuno.



L’incredulità e l’impotenza dei soccorritori attorno alla Shadow di Tom Pryce sfasciata sul terrapieno in fondo al rettilineo di Kyalami in Sudafrica nel 1977: lui è già morto un kilometro prima, lassù proprio davanti ai box, quando ha investito un incosciente commissario di percorso, un ragazzo del posto, in sandali e maglietta che voleva attraversare la pista con in mano un estintore con l’intento di andare a spegnere un principio d’incendio divampato su un’altra F. 1 parcheggiata per un guasto un minuto prima là davanti, la macchina di Renzo Zorzi l’altra Shadow, proprio il compagno di squadra di Pryce. E il poveretto è stato preso in pieno e sbattuto in aria, è morto all’istante, l’estintore gli è volato via di mano andando a cozzare proprio contro il casco di Pryce, devastandolo. La macchina senza più nessuno alla guida ha proseguito la sua corsa fino alla curva, zigzagando, portandosi fuori senza frenare la Ligier di Jacques Laffite che s’era affiancato. Sembrava che Pryce potesse essere uscito incolume da quell’impatto.



La faccia di Damon Hill a Hockenheim nel 1993, sceso dalla Williams col numero 0 inchiodata all’ultimo giro di un Gran Premio condotto tutto in testa, lui che ancora non è riuscito a vincerne uno di Gran Premio. E Alain Prost che gli è passato davanti e s’è ritrovato per la centomillesima volta vincitore, un’abitudine per lui quasi senza più emozione.



E la faccia di Gilles Villeneuve sul podio a Imola, Gran Premio di San Marino 1982, col mondo che gli è caduto addosso dopo che Didier Pironi, il suo compagno di squadra alla Ferrari, gli ha tirato il pacco, lo ha superato e gli ha resistito davanti oltre ogni limite, in chiara malafede, fuori dal patto concordato coi box: mantenete le posizioni. Una faccetta da uccellino imbronciato, un presagio cupo, quattordici giorni mancano a Zolder, al suo tragico 8 di Maggio.

Offline Nanni

*****
6710
Re:Automobilismo, sessant'anni prima
« Risposta #5 il: 30 Mar 2015, 16:44 »

Michael Schumacher che è arrivato secondo, durante il giro d’onore ancora a Hockenheim ma nel 1997, saluta la gente guidando la Ferrari con una mano sola, con uno in tuta gialla appollaiato dietro, seduto sul cofano con le gambe sulle fiancate, che invece sembra non avere nessuna voglia di sorridere: Giancarlo Fisichella con il casco in mano, il vento negli occhi, serra i denti rabbioso e si tiene forte forte con le mani alla presa d’aria per non scivolare a terra, e Schumacher s’è fermato lungo la pista dove lui ha lasciato la sua Jordan in panne, a raccoglierlo e a riportarlo ai box, forse per rendergli omaggio con questa estemporanea passerella dentro lo stadio. Secondo era stato lui, il ragazzino esordiente Fisichella, attaccato a Gerhard Berger primo e davanti alla Ferrari di Michael Schumacher per tutta la corsa, resistendo fino a due giri dalla fine.



Vic Elford a Le Mans nel 1972 che ferma di colpo la sua corsa con l’Alfa Romeo da primato, accosta la macchina, sblocca le cinture e scende per andare di corsa a soccorrere un pilota cappottato oltre il guard-rail con un Ferrari Daytona che comincia a bruciare. Arriva, apre lo sportello affannato e trova lo svizzero Florian Vetsch, pilota gentleman neanche dei più assidui, incolume. Impaurito ma incolume. Poco più in là Jo Bonnier, il più vecchio e il più esperto, il fratello maggiore di tutti i piloti del mondo, uno dei più grandi di ogni tempo, s’è schiantato con la Lola-Ford dopo aver urtato quella Ferrari di Vetsch e per lui già non c’è più niente da fare.



La smorfia ridicola di disappunto sulla bocca di Jack Brabham, quello che passava per essere una pietra, addosso al guard-rail alla curva del Gasometro (laggiù non hanno ancora costruito quel ridicolo budello che è la Rascasse) del Gran Premio di Monaco nel 1970. Una curva a U, e lui dritto come un fuso addosso alla barriera, con la telecamera che lo riprende di faccia, con le ruote davanti bloccate e lo sterzo girato a fondo inutilmente a destra. Un errore idiota, da principiante, andarsi a infilare sullo sporco per superare un doppiato proprio all’ultima curva del Grand Prix. E dopo qualche secondo, neanche il tempo che lui scenda dalla macchina accartocciata, ecco comparire là dietro la Lotus rossa e oro di Jochen Rindt: rallenta questo, butta un’occhiata beffarda verso quella Brabham, riprende la curva e se ne va bellamente a vincere la corsa, nemmeno il tempo di un sorriso, il traguardo a meno di trecento metri e il direttore di corsa non gli dà la bandiera a scacchi quando passa perché proprio non lo aspettava, doveva arrivare Brabham... Erano giri e giri che premeva l’austriaco, mordeva, il giro più veloce a ogni tornata, ma Black-Jack Brabham non era mai apparso tipo da farsi intimidire (il vantaggio è tanto, riuscirà a gestirlo... e poi uno con la sua esperienza, tredici anni di F. 1 figuriamoci...). Brabham a quarantaquattro anni che non son pochi, Jochen Rindt a ventotto.



Vittorio Brambilla è stato in vita soprattutto un meccanico. Pilota lo diventa tardi, quasi trentacinquenne, sulle orme di suo fratello Tino, del suo stesso carattere pratico e focoso, forse solo più stilista al volante. Vittorio gli americani per spregio lo chiameranno The Monza’s Gorilla, più per il suo aspetto fisico ruvido che per il suo modo di guidare istintivo, grintoso e disarmante: sul bagnato sembra insuperabile, vince a Zeltweg in Austria nel 1975 volando sotto un diluvio universale, uno dei rari successi ottenuti in F. 1 da quel fenomeno che fu la March, addirittura appena passato il traguardo lui per esultare non riesce più a tenerla e finisce fuori strada! Quando è ancora quasi un esordiente e corre in Formula 3 si presenta a Monaco per la gara di contorno nel weekend del Grand Prix di Formula Uno, con la sua Birel-Alfa Romeo semiartigianale che si gestisce e si prepara da solo. Problemi quasi insormontabili durante tutte le prove libere, la smonta e la rimonta, le sospensioni e il cambio, resta sveglio tutta la notte con le mani fra gli ingranaggi, niente: qualificazione mancata. A Monaco le prove ufficiali della Formula 3 si tengono il giovedì, c’è ancora il tempo di ricaricare tutto in fretta sul furgone e di volare a Hockenheim, 850 kilometri, dove domenica c’è in programma una gara del Campionato Tedesco: arriva in tempo Brambilla, ha guidato lui per tutto il tempo il camion, scarica, sistema la macchina, la mette in pista e vince la corsa.

Offline Nanni

*****
6710
Re:Automobilismo, sessant'anni prima
« Risposta #6 il: 30 Mar 2015, 16:45 »

A Hockenheim nel 1981 è primo in completa solitudine Nelson Piquet con la Brabham, il secondo è dietro, lontanissimo chissà dove. E’ passata la metà gara, un altro giro, basta gestirla fino alla fine, concentrati. Un altro giro. Arriva alla seconda chicane e trova da doppiare Eliseo Salazar, ragazzo cileno facoltoso e ostinato, ha acquistato una Ensign-Ford vecchia di un anno, mezza rabberciata. Quello lo vede dagli specchietti, rallenta, cerca di tenersi a destra con ordine, rallenta ancora ma la curva si avvicina, mica si può fermare… patatrac, provano a entrare in due dentro quella strozzatura dove non è possibile! Piquet smonta e si avventa come un forsennato sul cileno che ha appena rimesso i piedi a terra e gli appioppa un cazzottone sul casco, urlandogli tutta la sua rabbia, Salazar sembra stordito, gli arriva un altro uppercut sul collo, non reagisce. Brutta scena, Piquet può già permettersela, non c’è nessuno ad ammonirlo né a tirargli le orecchie.



A Spa in Belgio piove, non è una novità. Nel 1998 li fanno partire lo stesso sotto il nubifragio, al primo via succede il finimondo, se ne distruggono una decina, miliardi di danni. Ripartono dopo un’ora e al tornante Hakkinen con la McLaren è già fuori gara. Va in testa Michael Schumacher con la Ferrari che sembra un off-shore, non può fermarlo nessuno. Ha raggiunto e sta addirittura per doppiare David Coulthard, proprio il compagno di team di Hakkinen, che è il suo antagonista nella corsa al Titolo Mondiale, ma quello lo tiene dietro. Come nel calcio i terzini quando la palla dell’attaccante se ne va piano piano a balzelloni verso la linea di fondo, e loro la difendono senza toccarla, si piegano, allargano la gambe, non si levano di mezzo, il più delle volte costringono l’attaccante a spingerli da dietro e a fare fallo. Così fa Coulthard, e Schumacher l’attaccante fa fallo. Lo tampona e perde la ruota anteriore destra, Damon Hill vince quel Gran Premio, Hakkinen il Campionato del Mondo.




Graham Hill è un simpatico. Dinoccolato, baffo ammaliatore, lo sguardo e le rughe del quarantenne fascinoso. Ha con sè sua moglie Bette e i tre figlioli, il più grande è (il futuro Campione del Mondo 1997) Damon di sette, otto anni, che stanziano dentro ai box: lui dentro ai box impera, gli corrono tutti appresso: “Correttori d’assetto, minigonne, alettoni, turbo-compressori… Boys… vincere cinque volte il Gran Premio di Monaco, è solo questione di classe!” Quasi un predestinato. Racconta che da ragazzo quando non se la passava davvero bene, adoperava il tempo libero a truccare e a mettere a punto una Austin esausta, per renderla un poco più brillante. Ma non si fidava tanto di sè come meccanico, e allora durante i giri di prova era solito portarsi dietro una bicicletta infilata sul sedile posteriore, per tornare a casa nel caso la vecchia Austin si fosse rifiutata di proseguire… E ad un incrocio una volta uno con un camioncino lo prese in pieno facendolo rovesciare in un fosso. E su di lui, rialzatosi da là miracolosamente indenne, quello si avventò che non riusciva a calmarsi: agitatissimo, continuava a guardarsi intorno con le mani fra i capelli, alla ricerca disperata del povero ciclista…


Le ruote di Mansell in diretta televisiva...  una, quella posteriore destra di una Lola bianca che a Indianapolis nel 1993, a tre giri dalla fine è ancora in lizza per la vittoria, lui esordiente in quel rognosissimo catino d’alta velocità. E va a strusciare pesantemente il muro esterno alla curva numero quattro, ripresa in primissimo piano dalla suggestiva telecamera affogata nel cemento. E il cerchione sfrega a 300 km orari contro il muro cacciando scintille, sembra di sentire addirittura il fragore del metallo, e lui, Mansell non ci pensa nemmeno a togliere il piede. Forse quella manovra gli varrà il terzo posto in gara e a fine stagione la vittoria del Titolo della Formula Indy, campione al primo tentativo.



Le ruote di Mansell in diretta televisiva... due, ancora quella posteriore destra stavolta della Williams F. 1 al Gran Premio d’Ungheria nel 1986. Dalla ripresa frontale si nota all’improvviso in un breve rettilineo in salita volare via un detrito dietro la macchina. Arriva la curva a sinistra e tutti noi scopriamo che cos’è stato: il dado che fissa il cerchione al mozzo s’è allentato, se l’è perso per strada e Nigel Mansell con tre ruote non può andare lontano, gara finita, peccato era primo, il sogno del Campionato del Mondo che ancora una volta sfuma.



Le ruote di Mansell in diretta televisiva... tre. Tutt’e due quelle di sinistra stavolta, ancora della Williams bianca e blu nel 1992, affiancate acrobaticamente a quelle di destra della McLaren bianca e rossa di Senna in pieno rettilineo a Barcellona. Procedono appaiati vicino ai duecentosettanta all’ora per centinaia di metri e nessuno che cede, a un certo punto si muovono i due caschi, i due si voltano per guardarsi, scrutarsi, quasi a cercarsi negli occhi con un ghigno come a dire, vediamo chi molla. E in tutta quella scena le ruote di sinistra di Mansell e e quelle di destra di Senna che si sfiorano, questione di millimetri, una, due volte ancora, entrano una dentro l’altra prima di bloccarsi quasi all’unisono nella frenata tirata al limite.



Lella non è proprio una bellezza, non è quel che si dice una pin-up: piccoletta, culo basso, i capelli da maschiaccio, un concentrato indimenticabile di volontà, di rabbia, di grinta. Lella Lombardi la invitano in Australia a correre con le Formula 5000, monoposto mastodontiche, telai quasi da F. 1 e motori 8V americani rudi e pesanti, a guidarle ci vogliono bicipiti da operaio. E Lella va, sale più volte sul podio dove trova quella facciaccia di Peter Gethin (ancora lui...), fascinoso pilota giramondo che per congratularsi invece di stringerle la mano la bacia, ma non un bacetto sulla guancia, baci veri. E Lella per Peter il fatale perde la testa. Nel 1975 lei esordisce in F. 1, nel 1976 arriva sesta al Gran Premio di Spagna, in un Gran Premio disgraziato, bloccato a metà corsa dopo un incidente terribile in cui morirono quattro spettatori, assegnano punteggio dimezzato. E mezzo punto lo conquista lei, Lella Lombardi la tigre, sesta, la prima donna a marcare punti in F. 1. Muore a neanche 50 anni, portata via da un cancro.
Re:Automobilismo, sessant'anni prima
« Risposta #7 il: 31 Mar 2015, 14:45 »
ti prego tira fuori altre perle!!! :beer:

P.S. ancora oggi quando penso all'incidente tra Schumy e Coulthard a SPA rosico come una bestia.

Offline fish_mark

*****
15968
Re:Automobilismo, sessant'anni prima
« Risposta #8 il: 31 Mar 2015, 15:12 »
Provaci ancora Derek!

Gran Premio di Montecarlo 1980. In prima fila scattano Pironi su Ligier e Reutemann su Williams, ma la cosa grossa avviene dietro. Nel gruppone che si avvicina alla Saint Devote cerca di farsi largo un irlandese di nome Derek Daly che nel tamponare l’Alfa di Bruno Giacomelli vola su su tutti planando sull’altra Tyrell del suo compagno di squadra, il francese Jean-Pierre Jarier. Nell’incidente rimangono coinvolti anche la McLaren del giovane Alain Prost e la Brabham di Nelson Piquet che però continua. Insomma, dopo neanche 200 metri quattro macchine sono out.
Furente il presidente della FISA Jean-Marie Balestre, euforico il patron della Candy, la ditta italiana produttrice di elettrodomestici per gli innumerevoli passaggi dell’incidente sui telegiornali di mezzo mondo (anche questa è pubblicità). 
Intanto la gara continua. All’epoca non c’erano le pastoie burocratiche come le safety car: bastava un commissario che sventolava la bandiera gialla del pericolo e si continuava.

Vinse Reutemann su Williams, mentre Fish_Mark (lo scrivente) completava la sua Prima Comunione con parenti e amici in un prestigioso locale di San Polo dei Cavalieri. Bei tempi.


PS Caro Nanni. Lo potevi dire che sei appassionato!

Offline fish_mark

*****
15968
Re:Automobilismo, sessant'anni prima
« Risposta #9 il: 31 Mar 2015, 15:14 »

A Hockenheim nel 1981 è primo in completa solitudine Nelson Piquet con la Brabham, il secondo è dietro, lontanissimo chissà dove. E’ passata la metà gara, un altro giro, basta gestirla fino alla fine, concentrati. Un altro giro. Arriva alla seconda chicane e trova da doppiare Eliseo Salazar, ragazzo cileno facoltoso e ostinato, ha acquistato una Ensign-Ford vecchia di un anno, mezza rabberciata. Quello lo vede dagli specchietti, rallenta, cerca di tenersi a destra con ordine, rallenta ancora ma la curva si avvicina, mica si può fermare… patatrac, provano a entrare in due dentro quella strozzatura dove non è possibile! Piquet smonta e si avventa come un forsennato sul cileno che ha appena rimesso i piedi a terra e gli appioppa un cazzottone sul casco, urlandogli tutta la sua rabbia, Salazar sembra stordito, gli arriva un altro uppercut sul collo, non reagisce. Brutta scena, Piquet può già permettersela, non c’è nessuno ad ammonirlo né a tirargli le orecchie.



Perdonami.
Una precisazione, importante.
Questo fatto accadde a Hockenheim, ma nel 1982, anno della introduzione della chicane sulla Ostkurve.
peraltro, mi ricordo nitidamente l'incidente davvero sorprendente (Salazar un vero cretino). Appena ferme le macchine dissi tra me e me: "mo je mena", riferito a Piquet che era un tipo abbastanza fumantino (a Montecarlo nel 1981, dopo essere stato in testa per una ventina di giri ed essersi fatto buttare fuori da Tambay al Tabaccaio - è una curva, non un bar - strattonò una giornalista che gli chiedeva conto dell'incidente). Ed infatti accadde esattamente questo.

Nel 1981 vinse Jones su Williams (mentre Fish_mark inaugurava la sua villetta nel reatino).

Offline fish_mark

*****
15968
Re:Automobilismo, sessant'anni prima
« Risposta #10 il: 31 Mar 2015, 15:22 »

A Hockenheim nel 1981 è primo in completa solitudine Nelson Piquet con la Brabham, il secondo è dietro, lontanissimo chissà dove. E’ passata la metà gara, un altro giro, basta gestirla fino alla fine, concentrati. Un altro giro. Arriva alla seconda chicane e trova da doppiare Eliseo Salazar, ragazzo cileno facoltoso e ostinato, ha acquistato una Ensign-Ford vecchia di un anno, mezza rabberciata. Quello lo vede dagli specchietti, rallenta, cerca di tenersi a destra con ordine, rallenta ancora ma la curva si avvicina, mica si può fermare… patatrac, provano a entrare in due dentro quella strozzatura dove non è possibile! Piquet smonta e si avventa come un forsennato sul cileno che ha appena rimesso i piedi a terra e gli appioppa un cazzottone sul casco, urlandogli tutta la sua rabbia, Salazar sembra stordito, gli arriva un altro uppercut sul collo, non reagisce. Brutta scena, Piquet può già permettersela, non c’è nessuno ad ammonirlo né a tirargli le orecchie.



Perdonami.
Un paio di precisazioni importanti.
Questo fatto accadde a Hockenheim, ma nel 1982, anno della introduzione della chicane sulla Ostkurve.
La macchina guidata da Salazar era una ATS, munita del classico Ford cosworth DFV. L'altra era guidata da Manfred Winkelhock, un pilota tedesco famosissimo per un epico volo alla Pflanzgarten del Nurburgring da cui ne uscì illeso, salvo la visiera del casco)

Not a valid youtube URL[/youtube]

Tornando a Piquet, mi ricordo nitidamente l'incidente davvero sorprendente con il cileno Salazar un autentico cretino. Appena ferme le macchine dissi tra me e me: "mo je mena", riferito a Piquet che era un tipo abbastanza fumantino (a Montecarlo nel 1981, dopo essere stato in testa per una ventina di giri ed essersi fatto buttare fuori da Tambay al Tabaccaio - è una curva, non un bar - strattonò una giornalista che gli chiedeva conto dell'incidente). Ed infatti accadde esattamente questo.

Nel 1981 vinse Jones su Williams (mentre Fish_mark inaugurava la sua villetta nel reatino).

Offline Nanni

*****
6710
Re:Automobilismo, sessant'anni prima
« Risposta #11 il: 01 Apr 2015, 11:45 »
Vero, 1982, memoria fallace  :((
Ho anche mischiato i ricordi, assegnando a Salazar una Ensign (che lui guidava appunto nel 1981) invece che la ATS del 1982.

A proposito di Manfed Winkelhock, lui è rimasto nella storia proprio per quel volo pazzesco durante una gara di Formula 2 nel 1980, più che per i suoi successi nel Mondiale Endurance. Purtroppo perderà la vita cinque anni dopo, correndo con una Porsche a Mosport, in Canada. Un ex-meccanico, Manfred Winkelhock era nato in una famiglia da corsa, suo fratello Joachim era fortissimo con le Turismo, suo figlio Markus arrivò anche lui in F.1 (se ricordate, nel 2007 fece addirittura un giro in testa al GP di Germania al Nurburgring, quando venne giù il nubifragio e tutti si fermarono ai box a cambiare le gomme)
Nel 1980 Manfred Winkelhock aveva urtato al via col muso il posteriore di un'altra macchina e le ali anteriori della sua March si erano allentate e si storcevano, tanto che giro dopo giro erano diventate "portanti". Al salto del Flugplatz, in piena velocità, la macchina di fatto decollò!
Fatalmente, Sabato scorso proprio nello stesso punto, al salto sul dosso del Flugplatz durante una gara GT, una Nissan GT/R ha spiccato il volo allo stesso modo, rimbalzando oltre le reti e finendo in mezzo al pubblico. Uno spettatore è morto. A guidare la Nissan era l'inglese Jann Mardenborough, un ragazzo fortissimo che è diventato pilota professionista dopo aver vinto un concorso, organizzato dalla Nissan e dalla Sony, fra milioni di partecipanti che si sfidavano alla Playstation. Ma questa è un'altra storia.

 

Powered by SMFPacks Alerts Pro Mod