Uno scudetto che si può sognare: intervista a Lucileia

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Uno scudetto che si può sognare: intervista a Lucileia
« il: 31 Dic 2013, 16:19 »
http://www.laziopolis.it/il-mondo-di-l%C3%B9-il-brasile-roma-e-lo-scudetto-con-la-lazio.aspx

Lucileia Renner Minuzzo. O semplicemente Lù. Semplice come un respiro, come un dribbling, come uno dei suoi gol, come il sorriso di una giovane brasiliana che ha 30 anni e ne dimostra dieci di meno. Che in patria è considerata un fenomeno, coi quattro mondiali di fila portati a casa. E che fa stropicciare gli occhi al mondo Lazio: sembra incredibile averla qui, bella e fortissima. E' un lunedì piovoso qui al Pala Gems. In piene feste.

Non proprio una manna per chi soffre di saudade, vero Lù?
“Vero, ma io sono una professionista. E’ un sacrificio stare lontano dalla mia famiglia, ma ho scelto io di venire in Italia, ho scelto io per passione. Loro mi seguono in streaming, io mando video e foto per sentirli vicini”.
Perché l’Italia?
“Mi ha aiutato a venire qui un collega brasiliano che gioca a Pescara. L’euro vale tre volte la nostra moneta: conta, no? E così esattamente due anni fa sono arrivata al Sinnai, in Sardegna. Un paese piccolino, di campagna. E in campagna è stata la mia adolescenza vicino Santo Angelo, Rio Grande do Sud: lì fa un freddo, scordatevi le spiagge di Copacabana”.
Scelta economica, la chiamiamo così?
“Scelta di vita anche. Perché volevo assolutamente viaggiare e confrontarmi con altre culture, realtà diverse. Sono curiosa”.
Come nasce la calciatrice Lù?
“Calciatrice di calcetto, prego” (ride) Lo dico perché sono due discipline completamente diverse, specie in Brasile. Allora: da piccola con i cuginetti, poi l’ho praticato come sport scolastico. Non avrei mai pensato di diventare famosa per questo, anche perché allora era ancora uno sport in embrione. La mia prima allenatrice era anche la mia professoressa. A 17 anni giocavo nella squadra della città”.
Poi il primo salto?
“Di cinquecento chilometri. Nello stato di Santa Caterina. Scuola e sport, come nei campus americani. Mi sono laureata in scienze motorie. La squadra si chiama Kinderman e lì in sei stagioni ho vinto vari titoli nazionali. Dovete sapere che da noi si giocano otto campionati l’anno, per cui non si può parlare propriamente di scudetti. E che le squadre non sono le stesse del calcio: non esiste una versione calcetto del Santos, del Cruzeiro, del Vasco da Gama ”.
Da lì la nazionale: tra le dieci migliori del mondo. E’ arrivata anche la fama?
“In Brasile mi riconoscono per strada, questo sì. La nazionale di calcio a 5 poi è seguitissima. E in certe partite decisive gli spalti sono stracolmi. I maschi sono famosissimi: il mio idolo è stato Lenisio, che ora ha smesso; e poi Falcao, no, non quello della Roma…Il calcio, l’ho detto, è tutta un’altra cosa”.
Ma a lei il calcio piace?
“Per la verità, quando sono a casa, preferisco guardarmi una bella partita di calcetto maschile. Cerco di imparare sempre il più possibile, il modo di calciare specialmente”.
Eppure adesso arriva il Mondiale a casa sua.
“Dalle parti mie però non si giocherà… Credo che sarà una bella festa ma io sono preoccupata”.
Di cosa?
“Se la Selecao non vincerà il Paese vivrà momenti di disperazione. C’è troppa pressione. Speriamo bene”.
Torniamo al calcio a 5. E’ proponibile un confronto maschi contro femmine?
“No, è una questione di fisico prima che di tecnica. Noi siamo campionesse del mondo, anche la Spagna che abbiamo battuto 2-1 in finale davanti a seimila spettatori è una buona squadra. Ma non avremmo chance in un campionato maschile. Ci alleniamo contro i maschi under 17 perché altrimenti in patria non avremmo avversari: ma quasi sempre perdiamo perché in Brasile il calcio a 5 maschile è eccelso”.
E in Italia?
“E’ una questione di approccio. Siamo in un periodo ancora di transizione. Per noi è una professione, in Brasile ci alleniamo due volte al giorno sempre. Qui tutti hanno un altro lavoro, ci si vede quattro volte alla settimana. Non basta. Io allora mi alleno per conto mio, palestra, pesi, corsa. Qui i campionati più bassi sono under 21, da noi si comincia dalle under 13”.
I brasiliani del calcio, per esempio Felipe Anderson in una recente intervista, si lamentano che in Italia il gioco è troppo fisico, ci si allena poco sulla tecnica.
“Nel calcetto brasiliano è l’opposto. Da noi si fatica molto, a ritmi serratissimi, e si lavora sulla tattica. La tecnica diciamo che è solo la base”.
Parliamo della Lucileia privata.
“Casa e allenamento. Vivo con due mie compagne brasiliane, il massimo è una passeggiata in centro. Conosciamo anche ragazzi ma siamo professioniste. A letto presto, sveglia presto. Un po’ di tv al massimo, il sabato solo concentrazione”.
Vita monacale. Niente fidanzato?
“No. Ma non credo che potrò giocare ancora a lungo. Vorrei sposarmi e mettere su famiglia in Brasile. E fare l’insegnante di sport, qualunque sport. Magari l’allenatrice di calcetto. Sono Evangelica praticante, questo sì. Ho la Bibbia sul comodino. La mia famiglia mi ha insegnato valori importanti”.
Ha fratelli futuri campioni?
“Solo una sorella, Tais. Ha 16 anni e vuole fare la biologa non la calciatrice. Aveva iniziato anche lei, era brava, ma sbagliò un rigore e la sua allenatrice le disse: Lù avrebbe fatto gol. Lei smise in quel momento e io l’ho capita: non si può vivere nel confronto perenne con una sorella già celebre”.
Un pregio di Lucileia?
“Semplicità e concretezza. Gioco per la squadra e questo è la chiave del calcetto”.
Il difetto maggiore?
“Sono un attaccante, non difendo bene. E invece devo riuscirci”.
Il valore più prezioso?
“L’amicizia che c’è nel nostro mondo. Ogni giorno sento al telefono le mie ex compagne del Sinnai, con loro ho vinto una coppa Italia. Ora vivo con Cely Gayardo: da avversaria le ho rotto il naso e lei mi ha provocato una lussazione alla spalla. Ma siamo sempre state amiche per la pelle”.
Un episodio che ricorda con particolare emozione?
“Il primo autografo che ho firmato a una bambina. Mi venivano le lacrime agli occhi perché avevo capito di essere diventata una professionista”.
E di questi primi mesi a Roma?
“E’ la prima grande città della mia carriera. Vorrei vincere qui. Una coppa in Italia l’ho già conquistata, ora voglio lo scudetto e basta. Con la Lazio”.

Vincenzo Cerracchio


 

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