La Dacia Arena modello per l’Italia (Il Tempo)
L’Udinese ha restaurato il suo stadio con 35 milioni Una strada più veloce rispetto al progetto della Roma
RAPIDO E INDOLORE
Un impianto piccolo ma funzionale - 25mila spettatori la capienza massima - adatto al bacino d’utenza di una città da 100mila abitanti che spera di tornare presto «la provinciale d’Europa» grazie al business rinvigorito dallo stadio di proprietà. Si è partiti dal vecchio Friuli, una delle sedi di Italia 90 con l’inutile pista d’atletica attorno al campo, e nel giro di cinque anni è stato trasformato nella Dacia Arena, anche se il percorso completo è durato dieci anni, tanti quanti ne ha impiegati la Juventus per il suo Stadium.
La società di Pozzo ha iniziato a progettare la nuova «casa» nel 2006, il 14 novembre 2011 ha firmato con il Comune di Udine l’accordo per la cessione del diritto di superficie, il 23 giugno 2014 ha posato la prima pietra e dal 17 gennaio scorso tutte le strutture utilizzate per le partite sono complete, con i suoi seggiolini colorati per farlo sembrare pieno di spettatori anche quando non lo è.
Il progetto guidato da Alberto Rigotto ha creato una situazione inedita all’interno: la partita si vede meglio dai Distinti, lontani appena sei metri e mezzo dal campo senza alcuna barriera, piuttosto che dalla Tribuna Ovest Coperta. Tutte le fasce di spettatori possono accedere ai ristoranti di vario livello, da quello guidato da uno chef stellato in giù fino ai punti vendita nei settori popolari. Entro il 31 dicembre, a 540 giorni dall’apertura dei cantieri, saranno terminati i lavori per i 20mila metri quadri di spazi commerciali coperti e dedicati ai servizi: oltre a un centro «wellness» e alle sale business, la famiglia Pozzo ha deciso di costruire ai piani superiori dello stadio una clinica. L’idea è quella di tenere aperto l’impianto tutti i giorni, tra partite, conferenze, convegni ed eventi vari. Il tutto grazie alla collaborazione con la casa automobilistica del gruppo Renault, partner dell’Udinese dal 2009: la Dacia Arena è il primo impianto in Italia che prende il nome da un brand dell’automobile.
UNA GUIDA PER TUTTI
L’impianto friulano è una stella polare per i club italiani: ristrutturare gli stadi esistenti è un’idea che si sta allargando a macchia d’olio, una strada più veloce ed economica rispetto a chi insegue opere nuove di zecca, vedi Roma, Frosinone e Cagliari. Il Bologna ha già avviato insieme al Comune un progetto di restyling del Dall’Ara, anche se potrà rifare solo una parte dell’impianto, ed è la società di Serie A più avanti nell’iter. De Laurentiis litiga da anni con il sindaco De Magistris per concordare i lavori da eseguire al San Paolo che cade a pezzi, Inter e Milan hanno rinunciato alle rispettive idee di costruirsi i propri stadi da capo e stanno ragionando insieme su come cambiare San Siro. Troppi vincoli, invece, al Franchi di Firenze, così i Della Valle ragionano su una cittadella viola nell’area Mercafir e ovviamente i costi salgono: si parla di un’operazione da 320 milioni di euro.
AMERICANI A RILENTO
Per lo stadio della Roma ne servono addirittura il quadruplo, 1.2 miliardi di euro, anche se parliamo ovviamente di una partita ben più ampia comprensiva delle opere pubbliche, business center e convivium. Basti pensare che il solo progetto del mega-impianto di Tor di Valle è costato più di quanto l’Udinese ha investito in tutto per la Dacia Arena: la stessa cifra di 35 milioni è infatti pari alle spese di progettazione finora a carico di Pallotta, ai quali vanno aggiunte quelle che si è sobbarcato il costruttore Parnasi.
La sostenibilità finanziaria dell’operazione è il vero nodo che sta rallentando la Roma: i 320 milioni necessari per costruire strade, ponti, stazioni, etc., come da accordi sanciti dalla delibera di pubblica utilità, sono a «fondo perduto» e la strada per recuperarli attraverso il business è lunga. Alcuni errori di valutazione nel business plan sono costati la «testa» del Ceo di Stadio della Roma Mark Pannes, sostituito dall’altro americano David Ginsberg, segnalato di ritorno in Italia insieme al suo team. Il progetto va avanti e dovrebbe portare alla consegna del dossier definitivo il prossimo mese, per poi passare al vaglio della Regione Lazio. Siamo ormai in una fase tecnica mentre quella politica è stata teoricamente superata, al netto delle «minacce» di far saltare tutto mosse dalla candidata sindaco Virginia Raggi, comunque di difficile attuazione visto il rischio di procurare una causa miliardaria contro il Comune di Roma. Sono altri i timori dalle parti di Boston: servono soldi. Tanti, maledetti e non subito, ma comunque presto.
Alessandro Austini