Per dovere di cronaca
https://www.corriere.it/sport/21_novembre_13/astutillo-malgioglio-l-ex-portiere-premiato-mattarella-la-mia-vita-deboli-sono-loro-che-hanno-aiutato-me-b701a444-4495-11ec-b1e5-ba5a56353c9e.shtmlAstutillo Malgioglio, l’ex portiere premiato da Mattarella: «La mia vita per i deboli. Sono loro che hanno aiutato me»di Guido De Carolis
Corriere della Sera - 13 nov 2021
Dal Presidente della Repubblica riceverà l’Ordine al Merito «per l’impegno a favore dei bambini affetti da distrofia». L’ex interista: «Sono i ragazzi che hanno dato la vita a me»Una carezza. Astutillo Malgioglio è la carezza del calcio. In carriera un affidabile secondo portiere, nella vita un fuoriclasse di semplice umanità. A 63 anni il presidente Sergio Mattarella lo ha insignito il 13 novembre del premio di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.«Per il suo costante e coraggioso impegno a favore dell’assistenza e dell’integrazione dei bambini affetti da distrofia», dice la motivazione. Non un premio alla carriera, ma un riconoscimento a una vita spesa per gli altri. «No, questo non è vero. Sono loro i ragazzi, le famiglie, le mamme che hanno dato la vita a me, che mi hanno aiutato a capirne il suo significato. Il premio mi fa molto piacere, ma sono sconvolto: non mi meritavo nulla. Lo dedico ai ragazzi sono loro che mi hanno fatto vivere bene la mia vita, che hanno aiutato me».
Il dialogo con Tito Malgioglio è ad altissimo rischio lacrime, la commozione quasi naturale. L’ex portiere di Bologna, Brescia, Pistoiese, della Roma di Nils Liedholm finalista di coppa dei Campioni e di Eriksson, della Lazio e dell’Inter di Trapattoni con cui ha vinto scudetto e coppa Uefa, prima di chiudere all’Atalanta, in tanti se lo ricordano con i baffoni, in posa a braccia incrociate sulle figurine Panini, da fine anni 70 fino agli inizi degli anni 90. Le mani le ha usate per parare e sorreggere i più fragili. Accompagnati con l’associazione Era77, un nome non scelto a caso: la E della figlia Elena, la R della moglie Raffaella, la A di Astutillo.
Un viaggio nel passato nel 1977, in un tempo difficile, quando la disabilità faceva paura, veniva derisa, diventava una colpa anche per chi quei ragazzi cercava di aiutarli, come Malgioglio. Con una palestra attrezzata o usando quella della Roma, concessa dal barone Liedholm. I tifosi non capivano, non perdonavano, accusavano. Quelli della Lazio, dopo un errore nel match contro il Vicenza, gli esposero striscioni crudeli: «Torna dai tuoi mostri», «Vai a giocare al Cottolengo». Malgioglio, mite e schivo, un uomo buono, perse le staffe, si tolse la maglia, ci sputò sopra, se ne andò dalla Lazio. «Non ho più sentito nessuno dalla società».
Era77 ha chiuso nel 1995, l’ex portiere non ha mai smesso di aiutare i più deboli, di farsi compagno di famiglie e bambini. La mancanza di fondi non gli ha impedito di continuare a far del bene, casa per casa, nella sua Piacenza. «In casa nostra è entrato in tuffo, da vero portiere. Ha appena finito di dar mangiare a mia figlia Ester. Quando è arrivato si è inchinato davanti alla mia bambina. Entra con normalità e umanità», racconta la signora Marianna. Tito i ragazzi li sostiene con le parole, con gli esercizi, ascoltandoli, passando le giornate con loro. Fondendo la sua vita con le vite degli altri.
Chiusa la storia con la Lazio lo accolse l’Inter di Trapattoni. «Mi allungò la carriera, senza di lui avrei smesso cinque-sei anni prima, dopo quello che era successo alla Lazio non ne valeva più la pena, gli attacchi nei miei confronti erano pesanti, oggi si parla tanto di razzismo… vabbé lasciamo stare va. Trap mi diceva che gli ero indispensabile, ma ero io che non potevo fare a meno di lui. Ci scambiavamo degli sguardi, bastava per intendersi e trasmettersi umanità. Aveva creato un grande ambiente nello spogliatoio, tirato fuori il meglio del lato tecnico e soprattutto umano. I miei compagni erano brave persone». Con Riccardo Ferri e Jurgen Klinsmann si sente ancora. «Finito l’allenamento passavo il tempo con i miei ragazzi. Klinsmann un giorno venne e mi chiese dove andavo. “Vieni e vedi”, gli risposi. Quell’incontro gli ha cambiato la vita, sono contento per lui: è diventato qualcosa di più grazie a quell’esperienza. Quando torna in Italia ancora mi telefona».
Malgioglio non ha mai smesso di fare del bene, di stare accanto ai ragazzi disabili. Con i soldi guadagnati nel calcio ha aperto Era77, ha dovuto chiuderla quando non ha più potuto mantenere la palestra con attrezzature speciali. «Non ci sono più i muri, un luogo fisico, ma ci sono le case delle persone. Continuo a fare quel che ho sempre fatto». Il calcio non l’ha certo aiutato. A Brescia, l’allenatore Marino Perani, lo mise fuori squadra dicendogli «pensi più a quelli là che a parare».
Tito non si è mai abbattuto, il presidente Mattarella gli ha riconosciuto un premio che il calcio non gli ha mai dato. «Ma è anche colpa mia, non ho mai chiesto nulla. L’ho fatto perché me lo sentivo, è sempre stato il progetto di Dio per me. Non posso giudicare gli altri, non è giusto. Non faccio parte del mondo, sono nel mondo che è effimero, è attento a guardare tutto quello che non è realtà, senza curarsi di quel che vale davvero, senza gratuità e pensando di ricevere qualcosa in cambio che poi magari dura un giorno o una settimana . Qui invece è tutto serenamente vero. Ho sempre guardato agli altri come a un’ancora di salvezza, volevo aiutare chi non ha voce, chi urla di sofferenza: un’assistenza amorosa ai ragazzi, cui do tutto quello che ho». Sembra mistica, è umanità.
Malgioglio non chiede soldi per sé o i suoi ragazzi. «La gente che mi può aiutare ce l’ho tutti i giorni, la trovo in continuazione. Non c’è un’urgenza economica, non va ridotto tutto solo a quello, non voglio. Entro nelle case dei ragazzi, delle famiglie, sto con loro e loro con me: il bello della vita è questo». Il riconoscimento del Presidente Mattarella magari smuoverà un po’ le coscienze e la solidarietà del calcio. «La speranza in un cambiamento c’è sempre. Mi piacerebbe che le persone trovassero nella sofferenza un modo per ribaltare la vita e trasformarla in gioia. La mia volontà è dare la vita per altri, perché così io ho trovato la mia». Andrà a Roma il 29 novembre per ritirare il premio. Non un riconoscimento alla carriera. Ma a un uomo che la vita l’ha avuta tra le mani, l’ha capita, vissuta e fatta vivere meglio agli altri.