Processi di formazione del calcio europeo

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Offline gesulio

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19406
Processi di formazione del calcio europeo
« il: 14 Apr 2010, 15:28 »
Allora, vedo che su laziotalk si parla molto di calcio giovanile e di vivai calcistici, a seguito del caso Faraoni.
Spulciando qui e là tra il quintale di materiale che periodicamente mi arriva a casa (grazie alla mia tesserina di allenatore iscritto al settore tecnico e all'aiac, che mi fa ricevere gli aggiornamenti, le riviste e i documenti del Settore Tecnico figc e rivista Allenatore), ho ritrovato questo quaderno del Centro Studi e Ricerche del Settore Tecnico, che parla appunto del processo di formazione del calciatore nei 5 panorami calcistici europei più importanti, Italia, Inghilterra, Germania, Francia e Spagna...

E' un documento molto interessante, soprattutto perché datato 2008, quindi molto recente. La situazione "fotografata" infatti è presumibilmente abbastanza simile all'attuale.

Sono riuscito a trovare una copia pdf di questo documento, per cui posso finalmente condividerlo con voi: il quaderno completo è di una 30ina di pagine, corredato di tabelle e illustrazioni che non potrò proporvi qui dentro, così come gran parte del paragrafo dedicato allo studio dei Centri di Formazione Francesi, i corrispettivi delle nostre Scuole Calcio, ma che attualmente sono giudicati come i laboratori calcistici giovanili più all'avanguardia nel mondo...

Insomma, quello che vi propongo è una serie di stralci abbastanza significativi di questo lavoro. Un lavoro secondo me molto illuminante, sul quale farsi davvero un'idea congrua su come funzionano le cose in Italia e nel resto d'Europa per quanto riguarda questo particolare tema.
Spero possiate attingere a piene mani da questo topic per una discussione per una volta basata non sui si dice e i potrebbe, ma su dati di fatto concreti e studi condotti da specialisti del settore e non da perfetti dilettanti allo sbaraglio...

buona lettura.

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(la fonte di tutto il materiale è il Centro Studi Settore Tecnico FIGC)
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[...]

TAVOLA 1: Età media dei giocatori schierati in campionato
Competizione Età media

FRANCIA - Ligue 1 26,06
GERMANIA - Bundesliga 26,61
INGHILTERRA - Premiership 26,97
SPAGNA - Liga 27,44
ITALIA - Serie A 27,65


Capitolo 1
L’ANALISI DEI CINQUE PRINCIPALI CAMPIONATI EUROPEI

[...]

1.1 L’utilizzo dei giocatori
Giudicato unanimemente il campionato più ricco del mondo, la Premiership si piazza al primo posto anche per numero di calciatori utilizzati (vedi Figura 2). Sono ben 535 i giocatori che, nella stagione 2006-07, hanno giocato almeno un minuto in campionato.

La Premiership sopravanza di tre sole unità la nostra Serie A e di 14 la Liga spagnola.
Minor numero di protagonisti, invece, per Ligue e Bundesliga, quest’ultima, comunque, a 18 e non a 20 squadre come gli altri campionati.
Se il dato della Liga appare congruo, in relazione all’andamento del campionato, che è stato incerto fino all’ultima giornata, “costringendo” gli allenatori ad affidarsi ai giocatori che avevano giocato nel corso dell’intera stagione, piuttosto che lanciare giovani nelle ultime giornate, appare incongruo - anche in considerazione dello sviluppo interno dei due campionati, con la competizione inglese che si è mantenuta notevolmente più incerta rispetto a quella francese - l’enorme differenza fra il dato inglese e quello francese (28 calciatori in meno utilizzati in Ligue 1.), anche se una chiave di lettura a questa statistica si può facilmente fornire in relazione alla calendarizzazione, nei due diversi Paesi, dei campionati.

In Francia, infatti, tra la prima e la seconda parte della stagione viene effettuato un lungo stop, che permette ai calciatori di “ricaricare le pile” ed alle squadre di effettuare praticamente due sessioni di preparazioni pre-campionato, una per la prima parte della stagione e una per la seconda.
In Inghilterra, invece, la stagione non si ferma mai, neppure nel periodo natalizio dove, al contrario, per attirare più pubblico, il calendario si infittisce.
Appare quindi chiaro che i calciatori partecipanti al campionato inglese abbiano meno occasioni per recuperare da eventuali acciacchi o cali di forma, favorendo in maniera automatica un maggiore turnover nelle squadre di Premiership.
Nonostante le peculiarità del calcio inglese però, il ben più significativo dato della media dei giocatori utilizzati per squadra (vedi Figura 3), vede in testa la serie A italiana, confermando l’assioma che vuole un utilizzo maggiore di giocatori nei campionati a bassa incertezza di risultati.
Come possiamo notare, infatti, i campionati di Liga e Bundesliga, rimasti in bilico fino all’ultimo minuto, presentano il dato medio più basso.
Per quanto riguarda il dato italiano, è importante sottolineare come, nonostante il dato assoluto sull’utilizzo dei giocatori sia più basso di quello inglese - 532 contro 535 - il dato dei calciatori medi per squadra è di mezzo punto superiore a quello della Premier League.

Questo fatto è dovuto all’elevata mobilità interna del campionato di Serie A dove 20 giocatori hanno vestito nella stagione 2006-07 la casacca di due squadre diverse. Mobilità elevata anche per Francia e Inghilterra, bassa in Germania e quasi nulla in Spagna.
Come vedremo successivamente la mobilità nelle squadre tedesche e spagnole è maggiormente “interna” di quelle degli altri campionati visto che le squadre ricorrono alle proprie “filiali” (squadre dilettanti o squadre “B”) per rinforzare periodicamente il proprio organico.
Concludiamo con un dato storico (vedi Figura 4) che evidenzia come, nell’arco di 14 anni, sia aumentato il numero medio di giocatori impiegati, aumento medio pari a 3,8 giocatori all’anno in più nei cinque campionati considerati. L’incremento maggiore in Italia con 5,21 giocatori (da considerare che il campionato in questo periodo è passato da 18 a 20 squadre).

L’incremento minore in Inghilterra con 2,05 (non a caso nel periodo considerato il campionato è passato da 22 a 20 squadre…).
Certo, sono lontani i tempi in cui si poteva vincere un campionato con soli 15 giocatori impiegati come successe alla Juventus, campione d’Italia nel 1976-77. All’Inter 2006-07 ne sono serviti 10 in più.

1.2 Località e globalità

Il nostro campionato è il più autoctono dei cinque studiati ed è l’unico in controtendenza con una diminuzione nel numero di stranieri. Secondo i dati raccolti, oltre il 70% dei giocatori scesi in campo nell’ultima stagione in serie A può essere convocato nella nostra squadra nazionale. Come da tradizione, anche la Liga spagnola e la Ligue francese si confermano campionati a vocazione indigena, con oltre il 60% di giocatori locali schierati, mentre raggiungono risultati sotto il 50% la Bundesliga e la Premiership, che, addirittura, registra una percentuale di stranieri che sfiora il 60%. Il dato ottenuto conferma il trend storico di questi ultimi anni (vedi Figura 5) che hanno visto l’Italia sorpassare Francia e Spagna.
Nel 1992-93, invece, dopo quello inglese, il nostro rappresentava il campionato più esterofilo.
Questo cambiamento di rotta è in parte figlio del “blocco” regolamentare al tesseramento degli extracomunitari, conseguenza della precoce eliminazione dell’Italia dai Mondiali 2002.


[...]

(segue...)


Offline gesulio

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19406
Re:Processi di formazione del calcio europeo
« Risposta #1 il: 14 Apr 2010, 15:31 »
[...]

Passiamo ora ad analizzare l’indice indigeni, per il quale riscontriamo un distacco ancora maggiore tra il nostro torneo e gli altri campionati nazionali, con le squadre della nostra serie A che hanno schierato mediamente quasi 8 giocatori su 11 di nazionalità italiana, contro appena 4 giocatori locali schierati mediamente dai club di Bundesliga e Premiership (vedi Figura 6).
Il dato del campionato italiano è molto interessante. Prescindendo dall’Inter, squadra che si piazza al secondo posto in esterofilia nella classifica generale europea - dove nei primi 12 posti, tolti i nerazzurri, compaiono solamente club inglesi e tedeschi (vedi Tavola 2) -, tutte le squadre partecipanti al nostro campionato hanno avuto, in media, almeno 5 giocatori italiani in campo, per ogni partita.
Allargando la nostra analisi constatiamo che l’indice indigeni di ben 15 squadre della nostra serie A è superiore a 7, contro i risultati molto meno incoraggianti di Germania ed Inghilterra, che invece possono vantare complessivamente solo 2 club così autoctoni.

Risultati migliori, in questa statistica, raggiungono i club di Francia e Spagna, dove la maggioranza dei club schiera almeno 6 giocatori indigeni sugli 11 che manda in campo, ma i dati complessivi rimangono molto lontani da quelli italiani, visto che i nostri club monopolizzano la classifica dei club più autoctoni (7 squadre nei primi 10), dietro solamente all’Athletic Bilbao, che non solo non tessera stranieri ma neanche spagnoli! Solo
baschi, naturalmente, anche se di nazionalità francese come l’ex terzino della Nazionale Lizarazu (vedi Tavola 3).

TAVOLA 2: Le squadre più esterofile
nr. Squadra Nazione Indice Indigeni

1. ARSENAL Inghilterra 0,63
2. INTER Italia 1,43
3. BLACKBURN ROVERS Inghilterra 2,25
4. BOLTON WANDERERS Inghilterra 2,40
5. ENERGIE COTTBUS Germania 2,49
6. LIVERPOOL Inghilterra 2,99
7. CHELSEA Inghilterra 3,18
8. AMBURGO Germania 3,29
9. SCHALKE 04 Germania 3,76
10. FULHAM Inghilterra 3,93
11. WOLFSBURG Germania 3,96
12. NORIMBERGA Germania 3,97
13. BARCELLONA Spagna 3,98
14. BORUSSIA M. Germania 4,15
15. BAYERN MONACO Germania 4,22
16. ATLETICO MADRID Spagna 4,26
17. SIVIGLIA Spagna 4,40
18. HANNOVER 96 Germania 4,43
19. CELTA VIGO Spagna 4,47
20. BOCHUM Germania 4,53

TAVOLA 3: Le squadre più autarchiche

nr. Squadra Nazione Indice Indigeni
1. ATHLETIC BILBAO Spagna 11,00
2. SAMPDORIA Italia 10,56
3. REGGINA Italia 10,45
4. TORINO Italia 10,30
5. EMPOLI Italia 10,22
6. CHIEVO Italia 9,62
7. OSASUNA Spagna 9,38
8. CAGLIARI Italia 8,98
9. CATANIA Italia 8,97
10. VALENCIA Spagna 8,89
11. PALERMO Italia 8,81
12. MESSINA Italia 8,62
13. ESPANYOL Spagna 8,60
14. NIZZA Francia 8,51
15. VALENCIENNES Francia 8,32
16. LIVORNO Italia 8,31
17. REAL SOCIEDAD Spagna 8,19
18. RECREATIVO HUELVA Spagna 8,17
LORIENT Francia 8,17
20. ASCOLI Italia 8,17


(segue...)

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19406
Re:Processi di formazione del calcio europeo
« Risposta #2 il: 14 Apr 2010, 15:42 »
Ad una prima lettura, questi dati dovrebbero rallegrare gli operatori del calcio italiano, attestando l’alta qualità del nostro “Prodotto Nazionale Calciatori”. È indubbio, però, che la situazione del nostro campionato è frutto, oltre che della ottima qualità dei giocatori italiani, anche dell’intreccio di alcune cause normative ed economiche.
Una prima considerazione da fare è di carattere puramente tecnico: le nostre squadre di vertice hanno indici molto bassi. Infatti analizzando la graduatoria del nostro campionato scopriamo che, agli ultimi 4 posti come valore dell’indice indigeni, ci sono Fiorentina, Roma, Milan ed Inter, ossia i club che nell’ultimo campionato hanno totalizzato più punti 3, grazie soprattutto alla capacità (ed alla voglia) di investimento delle rispettive proprietà.
I grandi club, come accennato in precedenza, hanno percentuali di stranieri più elevate rispetto ai medio-piccoli club e questo dipende sicuramente dal maggior peso economico di tali società che possono permettersi gli ingaggi di grossi campioni dall’estero.

La Tavola 4 è molto esemplificativa.
TAVOLA 4: Media indice indigeni per i club di vertice
Campionato Indice Indigeni
LIGUE (Lione, Marsiglia, Tolosa e Rennes) 6,69
LIGA (Real Madrid, Barcellona, Siviglia e Valencia) 5,64
SERIE A (Inter, Roma, Milan e Fiorentina) 4,86
BUNDESLIGA (Stoccarda, Schalke 04, Werder Brema e Bayer Monaco) 4,80
PREMIERSHIP (Manchester United, Chelsea, Liverpool ed Arsenal) 2,87


Una seconda ragione dell’innalzamento del numero di italiani nel nostro campionato è quella relativa alla già ricordata normativa nazionale in materia di tesseramento di calciatori extracomunitari.

[...]

1.3 L’utilizzo dei giovani nei diversi campionati

Il dato medio riguardante i giocatori under 22 presenti nei nostri club è inferiore a
quello di Francia, Germania ed Inghilterra (vedi FIGURA 9) e superiore soltanto alla Liga
spagnola.

[...]

Ormai da anni, periodicamente, gli organi di informazione del nostro Paese ci offrono resoconti di alcuni rapporti statistici, in cui si indica la nostra popolazione come la più “vecchia” d’Europa, in cui la speranza di vita è più elevata rispetto agli altri Paesi continentali e in cui l’incidenza del numero degli anziani sulla popolazione è il più alto fra i Paesi della Ue 13.

[...]

Analizzando la Figura 10, riferita ai giocatori schierati nei cinque campionati, divisi per nazionalità e fasce d’età, vediamo che i dati relativi ai giocatori italiani hanno una tendenza crescente man mano che si innalza la classe di età di riferimento. I dati relativi ai nostri giocatori over 30, infatti, sono i maggiori - unico caso tra le 5 nazioni studiate - sia se confrontati con le altre classi di età, sia, soprattutto, se confrontati con i pari età degli
altri Paesi, che offrono tutti un dato notevolmente inferiore a quello italiano. Una lettura positiva di questa statistica è sicuramente quella relativa alla longevità agonistica dei nostri calciatori, ottenuta soprattutto grazie all’elevato grado di professionalità raggiunto dal nostro calcio nel settore atletico e sanitario. Solo negli ultimi anni, invece, negli altri Paesi europei - Inghilterra in testa - si è giunti a considerare indispensabile, nella gestione di un club calcistico di vertice, l’inserimento di figure come i preparatori atletici e gli specialisti nel recupero degli infortunati.
D’altro canto, però, la lettura di questi risultati non può esimerci dal considerare leggermente preoccupante la situazione dell’inserimento dei giovani nel nostro calcio di vertice. Nella graduatoria relativa agli under 22 il nostro Paese infatti si piazza infatti al penultimo posto, sopravanzando la sola Inghilterra, ma ben più preoccupante, secondo la nostra opinione, è il rapporto tra giocatori under 22 e over 30 utilizzati, con i secondi che doppiano il numero dei primi, ponendo quindi il problema, almeno in termini numerici, del ricambio generazionale.
Il confronto fra il numero di giocatori under 26 e quelli che hanno già superato questo scoglio “medio” di carriera, ci indica il probabile ricambio generazionale di una nazione a breve termine. Secondo questa logica il rapporto 1:1 sarebbe quello ottimale per garantire la produzione e lo sviluppo uniforme del talento dei calciatori impiegati, ed i rapporti superiori a 1 come quelli migliori in prospettiva, con il numero di giocatori giovani maggiore rispetto a quello dei “maturi”.

Tabella 11: Il rapporto under/over 26 per nazione di appartenenza
Inghilterra 1,31
Spagna 0,94
Francia 1,04
Germania  1,48
Italia 0,65

Come possiamo vedere, la Francia e la Spagna vivono una situazione che potremmo dire ottimale, visto il dato prossimo a 1. Il consistente numero di giocatori totali utilizzati, poi, aumenta il valore positivo di questo dato, che restituisce valori molto elevati per Germania ed Inghilterra, inducendoci a pensare in un maggior impiego futuro di giocatori indigeni nei propri campionati e in una maggiore “produzione” di giocatori di vertice per le rispettive nazionali. In ogni caso, l’inserimento di giovani calciatori dipende dall’utilizzo che ne fanno gli allenatori nei vari campionati, e quindi appare molto significativo il dato relativo alle varie competizioni, considerato nel paragrafo precedente, che incorona la Ligue 1. come il campionato in cui hanno più spazio i giovani. Se ci limitassimo, però, al solo dato numerico la nostra analisi potrebbe essere distorta e non si
spiegherebbe l’ultimo posto della Liga, campionato che, a detta di molti, privilegia e favorisce il lancio di giovani talenti in prima squadra.
Analizzando più a fondo le informazioni raccolte, notiamo che in Spagna si punta più sulla qualità che sulla quantità nell’impiego dei giovani (che comunque trovano molto spazio nelle seconde squadre dei club di massima divisione). Se valutiamo, infatti, non il numero totale di giocatori under 22 schierati per campionato, ma bensì il loro reale utilizzo in termini di minuti giocati, il quadro cambia radicalmente (vedi Figura 12). In Spagna i giovani giocano di più: ognuno dei 75 under 22 impiegato ha giocato 32 minuti a gara, 2,5 volte quanto giocano mediamente i nostri. Buon minutaggio anche per inglesi e francesi, meno buono per i tedeschi.


I minuti giocati in media per gara dagli under ’22 nei diversi campionati
Inghilterra 24
Spagna 32
Francia 23,5
Germania  19
Italia 13


(segue)

Offline gesulio

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19406
Re:Processi di formazione del calcio europeo
« Risposta #3 il: 14 Apr 2010, 15:49 »
CAPITOLO 2:
MODELLI DI ECCELLENZA NELLA FORMAZIONE DEI CALCIATORI

Cercheremo di approfondire in questo capitolo il discorso legato alle scuole nazionali di formazione identificando i club che più investono nei settori giovanili. Anche in questo caso ci affidiamo ai numeri, presentando i dati di una ricerca del Centro Studi del Settore Tecnico che, dal 2000-01, analizza le rose delle squadre partecipanti ai campionati di prima divisione dei principali campionati per verificare la provenienza calcistica dei giocatori, per ognuno dei quali viene associato un Settore Giovanile di provenienza. Per motivi evidenti di semplicità consideriamo solo il club formatore che ha lanciato il giovane nel calcio professionistico, cioè quello per il quale era tesserato all’età di 17-18 anni.

Ovviamente questo criterio non considera l’intero percorso formativo del giovane ma può comunque essere considerato un buon elemento di valutazione per identificare i club che, nel corso degli anni, hanno meglio investito sui giovani.

2.1 I vivai più prolifici
Secondo i risultati della ricerca (vedi TAVOLA 6), il club che ha cresciuto il maggior numero di giocatori fra quelli che hanno giocato nella stagione 2006-07 nei cinque principali campionati europei, è il Real Madrid con 36 calciatori (da segnalare Raul, Casillas, Guti, Raul Bravo ma soprattutto Eto’o centravanti camerunese dei rivali storici del Barca che il Real Madrid non considerò comunque “da Real”…). La squadra conferma il primo posto già conseguito nelle stagioni 2002-03 2 e 2004-05, mentre sale sorprendentemente al secondo posto la Roma con 31 giovani cresciuti nel proprio vivaio a “scorrazzare” nei massimi campionati europei.

Per sottolineare l’exploit di questi ultimi anni della società capitolina basti pensare che, nelle tre precedenti edizioni della ricerca, era rispettivamente: 42esima con 11 giocatori (2000-01 4), 23esima con 15 (2002-03) e settima con 22 (2004-05).
Terzo gradino del podio per il Barcellona che era primo nel 2000-01 e secondo sia nel 2002-03 che nel 2004-05. Quarta l’Atalanta (che migliora il sesto posto delle stagioni 2000-01 e 2002-03 e il quinto di due anni fa) e quinto il Milan (progressione ancora più netta dal 14esimo delle prime due edizioni al sesto della terza).

(la Lazio non è nelle top 50, ndges)

[...]

Tre italiane nella Top Five: un dato sicuramente interessante e meritevole di attenzione, ma frutto probabilmente più delle capacità dei singoli club citati piuttosto che di un vero progetto nazionale che sembra, invece, potersi individuare per Francia e Spagna.
La presenza di club come Barcellona, Real Madrid, Lione, Milan, Bayern Monaco e Manchester United nelle posizioni di vertice smentisce l’assioma che vorrebbe i grandi club disinteressati ad investire sui giovani. Molti di questi club pensano anche e soprattutto a se stessi (basti pensare a Raul, Guti e Canizares nel Real Madrid; Xavi, Iniesta e Puyol nel Barcellona; Ben Arfa, Benzema e Govou nel Lione; Scholes, Giggs e Brown nel Manchester United, senza dimenticare i fratelli Neville e Beckam in un recente passato; Lahm, Ottl e Schweinsteiger nel Bayern).
Questa tendenza sembra, però, più europea visto che i nostri club molto spesso producono per il mercato e, vedi Milan con Oddo e Brocchi, devono poi ricomprarsi i giocatori a distanza di anni e a peso d’oro… Questo è un fenomeno recente visto che i Baresi, i Collovati, i Maldini e i Costacurta venivano, nel passato, invece, prodotti per la prima squadra.
In tal senso è molto significativa la recente dichiarazione del Direttore del Settore Giovanile dell’Inter Piero Ausilio che, a proposito del commento di Liam Brady, direttore dell’Accademy dell’Arsenal (nei miei giri alla ricerca di nuovi talenti inciampo sempre più spesso negli osservatori dell’Inter. Stanno diventando competitivi anche nel reclutamento dei giovani) così ha risposto: Brady ci ha fatto un bel complimento perché nel mondo i migliori sono sempre loro. Però l’Arsenal per essere dappertutto investe cifre incredibili mentre noi non sforiamo una budget di 3 milioni e mezzo. Eppure la scorsa estate abbiamo finanziato l’acquisto di Ibrahimovic ….
Attraverso, appunto, la cessione di Martins, Potenza, Quadri, Eliakwu, Della Fiore e Pandev.
Se scorriamo le prime quindici posizioni della classifica, troviamo sei club francesi (Nantes - sempre fra i primi dieci anche se in leggero calo rispetto al podio del 2001 e ai quarti posti del 2003 e del 2005 - Lione, Auxerre - sempre nella Top Ten - Rennes, Lille e Tolosa), a fronte di quattro spagnoli (oltre a Barca e Real anche Osasuna e Betis Siviglia), tre italiani (già ricordate), uno tedesco (Bayern Monaco, solo 21esimo due anni fa) e un inglese (Manchester Utd). Scorrendo la classifica da sottolineare il 18esimo posto di Empoli (Di Natale, Montella, Galante, Dainelli e Coda fra gli altri) ed Inter (Martins, Pasquale, Andreolli, Ferrari, etc.) con 18 giocatori e quelli delle argentine Boca Juniors e River Plate 28esime con 14 giocatori. Tutti di alto livello: Tevez, Mascherano, Riquelme e Gago per il Boca; Saviola, Crespo, Solari, Higuain ed Aimar per il River. Quattordici giocatori anche per l’Ajax (Van de Vaart, Seedorf, Van de Sar, Kanu, etc.) che, se considerassimo anche i circa 30 giocatori cresciuti nel proprio vivaio che giocano nel massimo campionato olandese, sarebbe al primo posto di questa particolare classifica.
A fronte di una situazione di vertice complessivamente buona, emerge dall’indagine un dato - come già sottolineato - molto significativo per quanto riguarda il nostro campionato: le società italiane non privilegiano l’ingresso in prima squadra delle risorse cresciute nel proprio vivaio. In proposito nella TAVOLA 7 riportiamo la classifica delle società che più producono per sé stesse.

TAVOLA 7: Le società che più utilizzano il proprio Settore giovanile

Squadra Nazione Totale

1 OSASUNA Spagna 14
2 NANTES Francia 13
3 REAL SOCIEDAD Spagna 13
4 HERTA BERLINO Germania 13
5 NANCY Francia 13
6 EMPOLI Italia 12
7 RENNES Francia 12
8 ASTON VILLA Inghilterra 11
9 BETIS SIVIGLIA Spagna 11
10 EINTRACHT FRANCOFORTE Germania 11
11 MIDDLESBROUGH Inghilterra 11
12 TOLOSA Francia 11
13 AUXERRE Francia 10
14 ESPANYOL Spagna 10
15 VALENCIA Spagna 10
16 MONACO Francia 10
17 BAYERN MONACO Germania 9
18 LILLE Francia 9
19 BORUSSIA MOENCHGLADBACH Germania 9
20 MANCHESTER CITY Inghilterra 9
21 MANCHESTER UNITED Inghilterra 9
22 WATFORD Inghilterra 9
23 NEWCASTLE UNITED Inghilterra 8
24 REAL MADRID Spagna 8
25 ROMA Italia 8
26 LIONE Francia 8
27 BORUSSIA DORTMUND Germania 8
28 MILAN Italia 8

(segue)

Offline gesulio

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19406
Re:Processi di formazione del calcio europeo
« Risposta #4 il: 14 Apr 2010, 15:59 »
Solamente tre società italiane (Empoli, Roma e Milan) accolgono nei propri roster un numero consistente di giocatori cresciuti nel proprio vivaio. Alla luce delle recenti normative Uefa e Figc, sull’obbligatorietà di avere in rosa un certo numero di giocatori cresciuti nel proprio settore giovanile, il dato ci sembra allarmante.
Complessivamente il numero medio di giocatori in rosa cresciuti nel proprio vivaio è molto elevato in Francia, dove i club di Ligue 1. hanno in media 6,7 giocatori cresciuti in casa nella rosa di prima squadra, contro i 6 delle squadre spagnole. A seguire i club inglesi (5,2), quelli tedeschi (5,0) ed infine le squadre italiane (3,7).

Dati in apparenza impietosi per i nostri club tenendo tuttavia in debita considerazione il fatto che il divario si è notevolmente ridotto rispetto a due anni fa quando la media francese era di 8,9 a fronte dei soli 3 italiani (3,9 per i tedeschi in forte ripresa, 5,1 per gli inglesi rimasti stabili e 7,8 per gli spagnoli anch’essi in calo). Quasi a voler sottolineare che le Nazioni non in regola con i parametri Uefa si stanno affrettando a recuperare la situazione.

2.2 I modelli organizzativi nazionali


Facciamo ora un passo indietro tornando alla tabella e al dato che vi viene raffigurato:

I minuti giocati in media per gara dagli under ’22 nei diversi campionati
Inghilterra 24
Spagna 32
Francia 23,5
Germania  19
Italia 13

l’utilizzo - in termini di minutaggio - di un giovane nel campionato spagnolo è praticamente doppio rispetto a quelli della nostra serie A, che si piazza, in questa speciale graduatoria, all’ultimo posto.
La spiegazione di questo dato ci sembra piuttosto semplice: gli under 22 italiani quando escono dai settori giovanili non sono assolutamente pronti per affrontare il campionato di serie A. Il numero di giocatori utilizzati - o per meglio dire “provati - è alto, il che vuol dire che ai nostri allenatori non manca il “coraggio” di far esordire un giovane nella massima serie, ma gli manca, forse, il coraggio di dargli fiducia.

Come già accennato, l’alto dato di utilizzo della Spagna, in relazione al basso numero di calciatori under 22 schierati, è facilitato dalla struttura dei club iberici, che prevede la possibilità di schierare le squadre “B” nei campionati inferiori a quello di appartenenza così da preparare e monitorare i giovani, scegliendo quelli da inserire in prima squadra tra quelli più pronti e fornendo una formazione agonistica di alto livello per quei giocatori non ancora in grado di giocare nella massima categoria.
Non a caso, questo processo di maturazione, porta la Spagna ad avere il più alto numero di giocatori tra
23 e 26 anni impiegati nei cinque campionati considerati.

La prontezza dei nostri giovani ad affrontare il massimo campionato dipende anche dalla stessa struttura dei nostri tornei, soprattutto se paragonati agli analoghi degli altri Paesi. Un punto in comune che possiamo trovare tra l’organizzazione ed il funzionamento dei campionati minori esteri è che la “mission” dei tornei di seconda e terza fascia in Francia, Spagna e Germania, oltre che ad incarnare i principi sportivi di una qualsiasi competizione, presenta delle caratteristiche “formative” o “di sviluppo” ben definite.
La possibilità, infatti, di schierare le seconde squadre di società partecipanti ai campionati di vertice, permette ai giocatori di confrontarsi con campionati dal buon livello tecnico ed agonistico, senza avere la pressione del risultato da ottenere a tutti i costi. Si tratta, quindi, di vere e proprie squadre “serbatoio” in cui i giovani crescono in un contesto tecnico di buon livello affinando la propria preparazione in vista del salto in prima squadra.

Partiamo dalla GERMANIA in cui solo le prime due divisioni - quelle organizzate dalla Bundesliga - sono a carattere professionistico. Dalla terza divisione in poi i campionati sono a carattere dilettantistico (Regionalliga, Oberliga, etc.), composti anche dalle squadre amatoriali dei club professionistici di prima e seconda divisione, sorta di squadre satelliti dalle quali i club professionistici possono prelevare giocatori durante la stagione o nelle quali possono far riprendere l’attività ai giocatori di prima squadra reduci da gravi
infortuni. Appositi meccanismi regolano questo interscambio di giocatori fra prima squadra e squadra “amateur”. Prevista in terza serie la figura dei c.d. “amatori salariati”.

In SPAGNA tutti i club professionistici possono avere clubs “satelliti”, in ognuna delle categorie inferiori rispetto a quella dove militano. Il regolamento della Lega spagnola prevede un numero chiuso di giocatori iscrivibili nella rosa della prima squadra, ai quali si possono aggiungere solo gli elementi “prelevati” nel corso della stagione dalle squadre “B” o “C”. Le squadre minori possono retrocedere o essere promosse, purché la prima squadra delle società di riferimento, giochi in una divisione superiore. Può accadere, quindi, che i giocatori schierati nella formazione “B” giochino campionati di altissimo livello, come la Segunda Division (l’anno scorso per esempio vi militava la seconda squadra del Real Madrid) o la Segunda B, paragonabili alle nostre Serie B e C1. Un giocatore può giocare indifferentemente in qualsiasi squadra della catena dei “satelliti” purché questa militi in un campionato di categoria superiore rispetto a quello per cui è tesserato.
Tuttavia il giocatore non può tornare a giocare nella categoria inferiore se ha disputato dieci partite in una delle serie superiori; norma non valida per i giovani. Norme particolareggiate regolano poi altri molteplici casi.

Anche in FRANCIA i campionati professionistici sono solamente i primi due, organizzati dalla Lega Professionisti. Il campionato di terza divisione, chiamato National, è a carattere dilettante, ma i club retrocessi dalla seconda divisione possono mantenere lo status di professionisti per due anni. Nei campionati di quarta e quinta divisione - che sono invece a carattere esclusivamente dilettantistico - possono partecipare le squadre “B” delle società di prima e seconda divisione. Sono composte dai migliori giovani del vivaio più qualche giocatore che non trova posto in prima squadra. Possono retrocedere ma non salire in terza serie (fino a una decina di anni fa potevano militare fino a questo campionato).
Durante la stagione il passaggio di giocatori fra le due squadre è possibile a determinati vincoli, stabiliti periodicamente da Lega e Federazione (di regola non più di tre giocatori possono tornare indietro nel corso dell’anno). Spesso gli incontri delle squadre B attirano un buon numero di telespettatori soprattutto quando la seconda squadra delle “grandi” di Francia gioca a casa di una piccola società di provincia. Secondo Guy Roux, storico allenatore dell’Auxerre, un ragazzo capace a 23 anni deve aver giocato un centinaio di volte in quarta serie e una cinquantina in serie A. Un 16-17enne deve giocare con i più grandi in campionati competitivi, ma disputare 2-3 gare all’anno in serie A. La filosofia che sta a monte é che il giovane deve giocare. E così, per esempio, mnell’anno del debutto (1990-91), Liliam Thuram - anche se negli almanacchi risultava con una sola presenza nel Monaco - in realtà aveva anche oltre 20 presenze nella seconda squadra del Principato, militante nell’equivalente della nostra serie C2. L’organizzazione francese permette al giovane di giocare già in tenera età in un campionato competitivo non confrontandosi solamente con campionati “giovanili”, come succede ai giovani delle nostre Primavera. E ciò avviene in un contesto dove tutto non é in funzione solo del risultato immediato.

Come giustamente sottolineano Antonio Rocca, ct delle Nazionali under 15 e 16: sono 20 anni che faccio questo lavoro e non ho mai visto trasformarsi in realtà il fantomatico rischio che un ragazzo si bruci. Questa è una frase fatta che fa comodo soprattutto agli allenatori per mettersi al riparo da eventuali critiche. In realtà il talento, per sbocciare compiutamente, ha bisogno di misurarsi in contesti di qualità superiore

E G. Gasperini allenatore del Genoa: Se uno è bravo, non ci sono problemi a farlo giocare. Poi i ragazzi hanno un grande pregio: ti fanno capire quando sono pronti. Lo vedi da come s allenano, da come stanno in campo. Certo è più facile lasciare fuori loro che un elemento di esperienza, magari per conservare un clima sereno nello spogliatoio.… non so quanto il campionato Primavera favorisca una formazione completa. Io seguirei l’esempio di quei Paesi stranieri dove i grandi club hanno una seconda formazione, definiamola “riserve”, che partecipa a veri e propri campionati di serie inferiore, paragonabili alla B e alla C italiane. Queste selezioni,
ovviamente, sono formate quasi interamente da 18-19enni, che così si preparano nel migliore dei modi al salto in prima squadra, senza perdere tempo in inutili giri di prestiti.


In INGHILTERRA ed in ITALIA, invece, non è prevista la possibilità per le seconde squadre delle società maggiori di confrontarsi nelle divisioni inferiori con gli altri club.
Nel Paese britannico, però, la presenza di squadre “di sviluppo”, ossia adibite all’inserimento di giocatori non ancora pronti per i massimi livelli, è garantita dal campionato riserve, una competizione che si gioca ogni anno, parallelamente ai tornei della Premier e della Football League. Pur non avendo nessuno “scopo competitivo” - il campionato si gioca ogni anno con le squadre divise in gironi secondo la provenienza geografica, e senza un girone finale per decretare un vincitore - questo torneo risulta formativo per i giovani usciti dall’academy inglese. Giocate nei giorni di lunedì e martedì, infatti, le partite vedono spesso scendere in campo giocatori della prima squadra che non sono stati impiegati al sabato, magari per squalifica o perché reduci da un infortunio; cosicché ad un 18enne uscito dall’academy può capitare - come spesso avviene - di confrontarsi
con le stelle della Premiership, in partite dall’alto valore agonistico, non fosse altro per il buon seguito di pubblico (visto il prezzo politico di ingresso allo stadio pari a non più di un paio di sterline).

Il solo Paese che non prevede l’esistenza di squadre B o di campionati riserva (come era negli anni ‘70 la nostra De Martino) è, quindi, l’Italia. Il classico “processo di crescita” di questi ragazzi sembra quindi il “temporaneo parcheggio” presso una società di divisione inferiore, spesso con la formula del prestito, allo scopo di far maturare il più possibile il ragazzo. Messi a confronto con una realtà agonistica di buon livello come è quella rappresentata dai campionati della nostra serie C e, soprattutto, messi di fronte a condizionamenti ambientali molto forti, i nostri giovani molto spesso non riescono a tirare fuori il meglio delle loro qualità.

(segue)

Offline gesulio

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19406
Re:Processi di formazione del calcio europeo
« Risposta #5 il: 14 Apr 2010, 16:03 »
Considerazioni queste che escono rafforzate dall’analisi di una ricerca datata (nei numeri) ma sempre attuale (nei fatti) svolta nel 1999 dal Centro Studi del Settore Tecnico che evidenziava una situazione molto preoccupante: il 50% dei ragazzi che avevano terminato il proprio percorso formativo in Primavera uscivano subito dal circuito professionistico riuscendo difficilmente a rientrarvi, mentre i 3/4 dei giovani usciti dalle squadre Primavera non riuscivano a mantenere un contratto da professionista nei cinque anni successivi.

In Francia, invece, 1/4 dei giocatori usciti dai prestigiosi Centres de Formation diventano professionisti (1° e 2° divisione), mentre gli altri rimangono comunque nel circuito dilettantistico (III° e IV° serie) 9. In proposito è esemplificativo quanto sottolineato recentemente da Christian Damiano, vice allenatore di Ranieri alla Juventus (ora alla Roma) ed ex tecnico federale francese: da voi (riferendosi all’Italia) c’è una grande concorrenza tra i giocatori in Serie A; per questo motivo i giovani che escono dai settori giovanili sono avviati presso società di Serie C. Da noi, vanno in League 1: quindi, il consiglio che posso dare ai club italiani è di non prendere giocatori francesi prima dei 22 o 23 anni. Potete far firmare loro un precontratto, ma non portateli in Italia prima di quell’età. Questo perché in Francia hanno modo di giocare e completare, grazie a un’esperienza in prima squadra e giocando magari anche in campo internazionale, la loro formazione. Il solo esempio di un giocatore che sia riuscito a integrarsi efficacemente nel vostro campionato prima dei 23 anni è Sébastien Frey, un portiere.
Per credere alle parole di Damiano è sufficiente ricordare Silvestre, disastroso nell’Inter oggi al Manchester United oltre che nazionale francese, o Patrice Evra, terzino sinistro sempre del Manchester, anch’egli nazionale, giunto giovanissimo in Italia dove faticava a trovare spazio fra Marsala e Monza….
Il Nantes ha vinto il campionato francese 2000-01 con 18 giocatori su 25 della rosa cresciuti nel centro di formazione della Joneliére. La filosofia dei gialloverdi è particolare: crescono la squadra giovanile che promuovono in blocco nella rosa titolare. Per cui, in alcune stagioni sportive ottengono ottimi risultati (come lo scudetto 2000-01), in altre rischiano la retrocessione (come effettivamente successo l’anno scorso). Secondo una ricerca dell’Università di Nantes il 60,3% dei giocatori che hanno frequentato il Centre de Formation del Nantes fra il 1988 e il 1998 ha giocato stabilmente nelle prime categorie calcistiche francesi. Di solito in Francia il salto di qualità avviene sui 20 anni e difficilmente in C riescono a tenersi i migliori giovani oltre quell’età. In ogni caso prima di essere lasciato al suo destino il giovane viene valutato, provato ed eventualmente prestato
nelle categorie inferiori, mentre da noi anche ai migliori Primavera spesso non si riesce a dare una chance importante.

Gli allenatori dei Centres de Formation, inoltre, sono tecnici assolutamente qualificati e preparati proprio per gestire queste realtà e si legano al club per lunghi anni portando a termine un progetto a media-lunga scadenza. Al contrario di quanto avviene troppo spesso nella nostra realtà dove allenare le formazioni giovanili è considerato un trampolino di lancio per il calcio professionistico di vertice. Inoltre esiste un sistema di reclutamento molto più capillare che nel nostro Paese tanto che difficilmente i giovani validi sfuggono al setaccio dei club professionistici. E se i giovani crescono in settori giovanili di qualità probabilmente hanno a disposizione istruttori e strutture migliori. E crescono meglio e più in fretta. In proposito basta pensare a come i club locali nei quali sono cresciuti i giocati italiani impiegati nei cinque principali campionati europei nel 2006-07 sono stati ben 117 a fronte dei 66 inglesi, dei 73 spagnoli, dei 77 tedeschi e degli 83 francesi. È proprio vero: l’Italia è il Paese dei mille campanili e delle mille società formatrici…

(segue)

Offline gesulio

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19406
Re:Processi di formazione del calcio europeo
« Risposta #6 il: 14 Apr 2010, 16:11 »
2.2.1 La formazione alla francese
Sulla base di quanto sopra affermato è evidente che, nel calcio professionistico europeo, il modello formativo all’avanguardia è quello francese. I nostri cugini d’oltralpe possono  infatti vantare risultati invidiabili sia dal punto di vista sportivo, che dal punto di vista dell’educazione e della formazione sociale del giovane.
Per quanto riguarda l’aspetto sportivo basta ricordare i successi della nazionale francese negli ultimi anni, la grande quantità di calciatori usciti dai centri di formazione dei vari club che poi hanno avuto successo in tutta Europa, e soprattutto, il dato che indica la Francia ai primi posti fra i Paesi europei che esportano calciatori all’estero.
Il successo dal punto di vista “sociale” è invece dimostrato dalle numerose storie di giovani, che, pur non arrivando nel grande calcio, escono formati come uomini dai centri di formazione, e, soprattutto, dall’alto grado si scolarizzazione degli stessi.
Il successo dei Centri di Formazione è dovuto principalmente a due fattori:

a) regolamentari: lo Statuto della Federazione Francese fissa regole molto precise da rispettare nella creazione e gestione di un Centro;

b) economici: gli investimenti per i centri sono facilmente ammortizzabili, grazie agli aiuti pubblici derivanti dai programmi per la formazione dei giovani e dal risparmio nel formarlo direttamente in casa piuttosto che acquistarlo sul mercato.

Il sistema francese dei Centres de Formation, nato più di trenta anni fa, fu introdotto all’indomani di uno dei periodi più neri del calcio transalpino in seguito anche all’adozione dello svincolo. Il primo nacque a Vichy nel 1973, era federale e si interessava alla formazione dei giovani dai 16 ai 19 anni. Visto il successo, i responsabili federali imposero l’obbligo a tutti i club professionistici di costituirne uno in proprio. Da subito, accanto all’aspetto sportivo, fu data pari importanza all’aspetto educativo tanto che ormai possiamo
considerare questi Centri come una sorta di Scuola di Perfezionamento accreditata dal ministero dell’Educazione. Allo scopo ricevono soldi pubblici per curare l’aspetto scolastico e la formazione professionale dei giovani.
In Francia ogni club professionistico è formato dall’associazione di supporto, corrisponde nell’insieme alle sezioni dilettanti del club, e dipende direttamente dalla Federazione, e dalla società commerciale che corrisponde grosso modo alla squadra professionista nota al pubblico.
Queste due entità, una pubblica, l’altra privata, sono collegate all’interno del club da un accordo. L’associazione di supporto costituisce un elemento fondamentale perché detiene il c.d. numero di registrazione, che per le squadre professionistiche sancisce il diritto di giocare. Mentre negli altri paesi europei i club professionisti sono società commerciali, «il calcio alla francese» riesce a conciliare due entità apparentemente contraddittorie: il servizio pubblico (l’associazione da cui dipendono i Centres de Formation) e
il mercato privato.

[...]

L’importanza dell’aspetto educativo è facilmente intuibile dall’organizzazione delle giornate all’interno dei Centri con l’alternanza fra sport e studio. Tutti gli allenamenti si svolgono al centro, mentre per gli studi esistono due «formule-tipo»: la struttura scolastica può essere integrata nel centro, per massimizzare la formazione calcistica (essenzialmente tramite più allenamenti al giorno) oppure, in alternativa, i giovani vanno a studiare esternamente, con una preparazione sportiva limitata ad un allenamento quotidiano.
La prima formula (struttura scolastica integrata nel Centro) è molto più costosa, ma ritenuta più efficace per raggiungere l’obiettivo dichiarato, ovverossia far uscire il maggior numero possibile di calciatori professionisti, comunque diplomati.

[...]

Sebbene possa sembrare paradossale, il calcio ha effetti benefici sulla scolarizzazione dei giovani: nei Centres de Formation sono più numerosi i giovani provenienti dalle classi popolari, operaie e impiegatizie, con il 30,6% e il 18,8% rispettivamente, che rappresentano la metà dei giovani selezionati. È noto che le periferie rappresentano un serbatoio non trascurabile per il reclutamento dei Centri ed è stato rilevato che la probabilità che i figli degli operai e degli impiegati conseguano un diploma è da due a tre volte maggiore rispetto a quella dei loro coetanei non reclutati dai centri. Insistiamo sul fatto che non è tanto la pratica del calcio in sé, quanto il fatto di appartenere ad una struttura come il Centre de Formation (ritmo di vita regolare,
alternanza sport-studi) che consente a questi giovani di rimanere nel sistema scolastico e spesso di conseguire un diploma che magari non avrebbero ottenuto diversamente.

Il calcio viene presentato ai giovani come un’opportunità, una possibilità di farcela, indipendentemente dal fatto che riescano o meno a diventare professionisti. Esiste addirittura il caso del Tolosa che obbliga tutti i suoi giovani a prendere la maturità o l’Auxerre che ha sotto contratto oltre 20 insegnanti (compresi quelli di sostegno, adibiti alle “ripetizioni”) che mette a disposizione di tutti i propri giovani calciatori.
Oggi i Centres de Formation sono solo il terminale di un lavoro che parte molto più da lontano: il c.d. premierfoot, per ragazzi dai 7 ai 10 anni, fatto in collaborazione con la scuola e che ha nel gioco con il pallone la sua base principale; poi l’initiation fino ai 12 anni dove la materia di studio principale sono i fondamentali; successivamente la c.d. pre-formation dai 12 ai 15 anni che, a livello federale, avviene in una vera e propria università calcistica, senza uguali in Europa, l’Institut national de Football (INF), di proprietà della Federcalcio francese che, dal 1988, si è installato in uno splendido castello a Clairefontaine, nella foresta di Rambouillet, la risposta francese a Coverciano.
La Direzione Tecnica Nazionale (DTN) della Federazione francese ha deciso dal 1996 di estendere su tutto il territorio questi centri di preformazione. Attualmente ne sono operativi sette, finanziati in gran parte dalla Federcalcio; Madine (Est Francia), Lievin (Nord), Ploufragan (Bretagna), Castelmonrou (Sud), Vichy (Centro), Chateauroux (Centro) e, appunto, Clairefontaine.

Il processo di formazione dei calciatori francesi non comincia quindi solo all’entrata nel centro di formazione di una società professionistica. E ormai, sulla falsariga dell’impulso federale, quasi tutti i maggiori club francesi offrono direttamente la possibilità ai giovani più promettenti di entrare nei propri centri di pre-formazione.
Torniamo all’INF di Clairefontaine dove possono accedere i ragazzi dal 13esimo anno di età, che, per tre anni, vengono seguiti dai responsabili tecnici della federazione francese.
Gli obiettivi primari di questi primi tre anni di formazione di un giovane calciatore sono principalmente quelli di formare una base tecnica di alto livello, senza incidere in maniera pressante sulla formazione atletica del giovane, e, soprattutto, senza inculcare la cultura della vittoria a tutti i costi. Proprio per questa ragione, i ragazzi iscritti al centro nazionale, non partecipano ad alcun campionato per i primi due anni di permanenza, facendo il loro esordio nel torneo under 15 nell’ultimo anno di “pre-formazione”.

Christian Damiano alla precisa domanda di un giornalista su cosa caratterizzasse questi centri ha recentemente risposto: Si impara a giocare a calcio! Apprendendo i fondamentali tecnici. Tra i 12 e i 15 anni, si alternano tecnica - molta tecnica - e gioco. Questo orientamento permette di far guadagnare tempo ai club, quando prenderanno in carico il giocatore. (…) Un buon controllo del pallone, un passaggio corretto, così come saper tirare o colpire di testa nel modo più appropriato. Questa, nei fatti, è la metodologia di Clairefontaine.

Solo dopo, a 16 anni, si entra nei Centres de Formation veri e propri perché - sottolinea sempre Damiano - a quella età, lo sviluppo è a un livello avanzato. Di conseguenza, i tecnici possono iniziare a somministrare carichi di lavoro fisico significativi. Il tutto con l’obiettivo di avviare un progetto che conduca il ragazzo di 16 anni, tre anni più tardi, a poter disputare 40 o 50 incontri durante una stagione.

(segue)

Offline gesulio

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19406
Re:Processi di formazione del calcio europeo
« Risposta #7 il: 14 Apr 2010, 16:16 »
2.2.2 Le Football Academy inglesi
Sviluppatosi dopo il restyling del calcio britannico a cavallo degli anni ’80 e ’90, le football academies inglesi hanno in qualche modo mutuato l’esperienza francese dei centri di formazione, cercando anche di copiare alcune modalità simili a quelle dell’organizzazione sportiva universitaria americana. Secondo la dicitura ufficiale una academy è “uno schema per lo sviluppo del talento calcistico”, che ogni club professionistico deve
prevedere. Secondo questa regolamentazione i club possono accogliere i bambini dal compimento dei nove anni di età, anche se alcuni sodalizi, come ad esempio l’Arsenal, grazie all’accordo con alcune comunità locali, effettuano una selezione anche con bambini più piccoli.
Dall’età di 9 anni fino al compimento del 16° anno di età (in cui termina l’obbligo scolastico in Inghilterra), i ragazzi vengono tesserati con vincolo biennale con una formula che viene definita schoolboys; al termine dei due anni, se vi è ancora accordo tra il club ed i genitori del ragazzo, si procede ad un nuovo tesseramento.
Al compimento del 16° anno di età si arriva ad una svolta con il club che decide se lasciare libero il ragazzo o inserirlo nel vero e proprio programma di formazione offrendogli uno scholarship agreement, una sorta di borsa di studio, mediante il quale con il tesseramento vengono garantiti sia l’istruzione secondaria che l’alloggio presso il camp del club stesso. I ragazzi più promettenti possono quindi continuare il proprio percorso
formativo, anche scolastico, all’interno delle strutture del club. Ogni club limita a 6-7 ragazzi al massimo questi scholarship places disponibili ogni stagione, per garantire il posto solo ai più promettenti.

Lo scholarship agreement può durare fino ad un massimo di tre anni, al termine del quale il club, se ha intenzione di mantenere nelle proprie fila il giovane calciatore, deve offrirgli un contratto. La crescita agonistica dei ragazzi è garantita sia dal campionato delle acadamies, un torneo under 19 paragonabile al nostro primavera, sia dall’impegnativo torneo riservato alle squadre riserve, di cui abbiamo già diffusamente parlato.

Una delle academy maggiormente all’avanguardia sul territorio inglese è sicuramente quella dell’Everton, società di Liverpool di enorme tradizione. A seguito di alcuni guai economici avvenuti nei primi anni ’90, i blues hanno deciso di tagliare sostanzialmente le spese per l’acquisizione di giocatori potenziando la propria academy. Per sfuggire alla concorrenza delle società limitrofe, dotate di maggior appeal, la struttura dell’Everton punta sulla perfetta organizzazione e la qualità della formazione, intesa a 360°. L’academy infatti si avvale di un team di “educatori”, ossia insegnanti e psicologi, che seguono
la crescita psico-scolastica dei ragazzi durante il periodo di permanenza nel club. Gli educators fanno parte del dipartimento academy, una vera e propria struttura “indipendente” all’interno della società, con una propria amministrazione, un proprio reparto medico e un dipartimento, sviluppato in collaborazione con l’Università di Scienza dello Sport di Liverpool, dove si studiano migliorie sui programmi di allenamento, nutrizione ed educazione per i giovani calciatori.
Salito alla ribalta alla fine degli anni ’90, quando la prima squadra dominava la scena nazionale ed internazionale grazie ad un’ossatura di giocatori (Neville, Beckham, Scholes, Giggs) cresciuti nel settore giovanile, la academy del Manchester United è considerata ancora una delle migliori. Divisa in due tronconi (under e over 16), in base alla diversa regolamentazione concernente i rapporti fra società e giovani calciatori, l’academy del Manchester United si distingue dalle altre della Premiership inglese, per la contiguità
che la lega alle vicende della prima squadra. La filosofia del club, infatti, prevede che un giocatore, una volta arrivato al termine del suo percorso giovanile, non venga immediatamente ceduto od inviato in prestito a qualche squadra di divisione inferiore, perché si privilegia un processo di maturazione all’interno della società. Per questo motivo l’academy del Manchester segue i propri ragazzi sino al compimento del 21° anno di età, grazie ad una collaborazione diretta con la squadra riserve; il percorso standard di un giocatore uscito dal settore giovanile dei Red Devils infatti prevede un anno di “coabitazione” tra squadra giovanile e riserve, e un anno completo nella squadra riserve prima di potersi affacciare alla prima squadra (opportunità che comunque quasi tutti hanno).

Concludiamo con le parole dell’ex ct della nazionale Howard Wilkinson a proposito di una certa mentalità ancora esistente nel calcio inglese: Le giovani leve vengono subito buttate nella mischia e i migliori giovani vengono aggregati alla prima squadra. Ci si allena negli stessi orari, su campi adiacenti e si divide lo spogliatoio. Tutti hanno quelli che gli inglesi chiamano un Tutor cioè un giocatore più anziano a cui il giovane deve curare le sue cose: pulizia delle scarpe, ordine dell’armadietto e dello spogliatoio, etc. Si può imparare parecchio spiando tutti i giorni campioni affermati che ti insegnano e ti guidano…. Alcuni club hanno l’accorgimento di portare in panchina due ragazzi in ogni gara… Non c’è che dire: si cresce anche così!

(segue)

Offline gesulio

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19406
Re:Processi di formazione del calcio europeo
« Risposta #8 il: 14 Apr 2010, 16:19 »
2.2.3 La realtà spagnola
Ci piace infine presentare la realtà spagnola attraverso alcune parole di addetti al lavoro che, più di tante altre considerazioni, ci danno l’idea della realtà spagnola basata, più che su una consolidata struttura organizzativa come quelle sopra elencate, su una mentalità e una filosofia di fondo che sono diventate nel corso degli anni patrimonio comune.
La parola a Claudio Ranieri, tornato in Italia dopo molteplici esperienze estere in Inghilterra (Chelsea), ma soprattutto Spagna (Valancia, Atletico Madrid e ancora Valencia):

In Italia abbiamo costruito due prototipi di centrocampista: uno all’esterno che corre e l’altro all’interno che recupera palloni. In Spagna le squadre riescono a sviluppare uno strabiliante possesso di palla perché i calciatori hanno grandi proprietà di palleggio, mentre da noi spesso, anche in partite di vertice, non si riescono a mettere in fila tre passaggi come dio comanda. Da noi l’agonismo ha sostituito il palleggio e la tattica ha surclassato la tecnica. In Italia mancano le fonti di gioco, in Spagna ci sono almeno 4-5 giocatori che possono assolvere a questo compito ad altissimo livello.
È una questione di cultura. Le motivazioni ambientali sono strettamente legate a quelle tecniche, anzi le seconde sono le figlie delle prime. Il tifoso spagnolo ha un’idea gioiosa dello spettacolo calcistico e la trasmette alle squadre. Ama il calcio offensivo, predilige il fraseggio lungo e ben sviluppato, porta allo stadio i figli piccoli e accoglie l’arrivo dei pullman della squadra del cuore con un tripudio di canti e cori; non è violento e al massimo sfoga la sua rabbia nella “pannolata”.


Aggiunge Vincenzo Pincolini, preparatore atletico che seguì Arrigo Sacchi all’Atletico Madrid: La differenza è proprio con i giovani, soprattutto fino a 16 anni. I club della Liga badano principalmente a curare l’aspetto tecnico nelle giovanili. Nei centri di allenamento gli Under 16 si allenano in campi in terra battuta dove la palla scorre più rapidamente, ci vogliono riflessi pronti e tecnica raffinata per controllarla. Ci si abitua alla rapidità. Mediamente la qualità tecnica dei settori giovanili spagnoli è superiore alla nostra. Da noi i giovani calciatori hanno una maggiore preparazione fisica e tattica. E in Spagna c’è meno pressione sui talenti emergenti e anche meno esaltazione. Fino a quando non entrano stabilmente in prima squadra sono protetti, non hanno i riflettori puntati addosso. Anche a Barcellona e Madrid, nonostante l’invadenza delle radio. I risultati non sono importanti a livello giovanile. Quasi tutti i club hanno la loro filiale nelle categorie inferiori… dove i giovani talenti possono maturare senza pressioni. Se i risultati non arrivano l’allenatore non salta. È fondamentale che insegni calcio. Del resto in Spagna la figura dell’addestratore è imperante. Ogni società ha un tecnico che lavora con i ragazzi più bravi, c’è un’attenzione meticolosa.

In Italia le tecniche di allenamento puntano sulla corsa e sulla tattica, mentre in Spagna si predilige la tecnica e, quindi, la gioia del toccare il pallone. Il tutto, poi, sostenuto da risorse economiche e impianti. Grandi cittadelle sportive invase di bambini dai sei anni in su, campi in erba, costi contenuti. Alla guida dei settori ci sono ex giocatori.
La conseguenza è che li si impara a giocare a pallone. In Italia, invece, spesso si specula, sullo 0-0 in campo anche a livello giovanile. Chi addestra è tenuto a esaltare le qualità individuali, non ad esasperare la tattica. Il limitato tatticismo induce gli allenatori a rispettare le caratteristiche dei calciatori, a utilizzarli nei ruoli “naturali”. E del resto la Spagna negli ultimi anni ha vinto tutto a livello giovanile. E investe, come sottolinea una indagine pubblicata qualche anno fa dal settimanale spagnolo “Don Balon”, dalla quale risultava che i club spagnoli investivano nei propri settori giovanili in media il 7,5% del proprio fatturato. Si passava dai 10,75 milioni di euro annui del Barcellona (6,3%) ai 6,61 (17,4%) dell’Atletico Bilbao; dai 2,6 del Real Sociedad giù fino ai 480.000 del Ricreativo Huelva.

(segue)

Offline gesulio

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19406
Re:Processi di formazione del calcio europeo
« Risposta #9 il: 14 Apr 2010, 16:22 »
c'è ancora una parte interessante, L'Esperienza Sul Campo, in cui si esamina il lavoro tattico sulla formazione del giovane calciatore, ma la carne al fuoco è tanta, semmai domani...

Offline klacco

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1886
Re:Processi di formazione del calcio europeo
« Risposta #10 il: 15 Apr 2010, 20:45 »
Veramente molto interessante.
Grazie Gesulio, se domani riesci a continuare te ne sarei molto grato.


Offline Splash

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38010
Re:Processi di formazione del calcio europeo
« Risposta #11 il: 15 Apr 2010, 20:54 »
Molto interessante .

Offline Galgo

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3735
Re:Processi di formazione del calcio europeo
« Risposta #12 il: 15 Apr 2010, 22:08 »
Grazie Gesulio, molto interessante, il modello francese mi sembra ottimo.

quindi, il consiglio che posso dare ai club italiani è di non prendere giocatori francesi prima dei 22 o 23 anni. Potete far firmare loro un precontratto, ma non portateli in Italia prima di quell’età. Questo perché in Francia hanno modo di giocare e completare, grazie a un’esperienza in prima squadra e giocando magari anche in campo internazionale, la loro formazione. Il solo esempio di un giocatore che sia riuscito a integrarsi efficacemente nel vostro campionato prima dei 23 anni è Sébastien Frey, un portiere.
Per credere alle parole di Damiano è sufficiente ricordare Silvestre, disastroso nell’Inter oggi al Manchester United oltre che nazionale francese, o Patrice Evra, terzino sinistro sempre del Manchester, anch’egli nazionale, giunto giovanissimo in Italia dove faticava a trovare spazio fra Marsala e Monza…
Mi vengono in mente anche Gourcuff e Meghni  :roll:
Re:Processi di formazione del calcio europeo
« Risposta #13 il: 16 Apr 2010, 09:41 »
Spero possiate attingere a piene mani da questo topic per una discussione per una volta basata non sui si dice e i potrebbe, ma su dati di fatto concreti e studi condotti da specialisti del settore e non da perfetti dilettanti allo sbaraglio...

buona lettura.

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(la fonte di tutto il materiale è il Centro Studi Settore Tecnico FIGC)
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sii serio: ma davvero pensi che si possa impostare una discussione su queste basi?
e le prese di posizione preconcette? la negazione ad oltranza? il "la questione è un'alta..."?

anni ed anni di pratica nella polemica da forum da gettare alle ortiche perchè un gesoolio qualsiasi fornisce dei dati statistici...

Offline Galgo

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3735
Re:Processi di formazione del calcio europeo
« Risposta #14 il: 16 Apr 2010, 11:31 »
In effetti la questione sembra un pochino piu' complessa del semplice er zettore ggiovanile
 

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