Ogni santissima estate ad Accumoli R. I. P.
la coppia fissa era con Augusto il fratello di Giovanni Fischietto. Il biliardino al bar di Tubbo, così chiamato perché quando usciva dal cesso dopo aver pisciato lo faceva con l'uccello di fuori, dalla stanzina dov'erano i biliardini e il bagno talvolta fino al bar o per la strada, unico fattore che poteva distrarre i bambini presenti la dentiera fuori a metà bocca mentre biscicava frasi incomprensibili; il biliardino, dicevo, era di legno pieno. Giocare con le sponde era garanzia di perfezione geometrica come un biliardo. Le stecche di metallo avevano un tubo interno e uno esterno lubrificati da un grasso nero che Tubbo forniva su richiesta, e finivano con un mollone durissimo sulla parete, all'interno del campo (stecche che escono, che orrore) che consentiva un calcolo perfetto del ritorno dal muro, spesso con botti sonorissimi causati da tentativi di tiro violenti. Il legno pieno consentiva a me difensore sia di usare la sponda col terzino sinistro per un velocissimo rimbalzo-tiro, o aspettare il suo cambio di marcatura e tirare in quell'istante, e la palla, piena e pesante, con i puntini neri dell'età e del grasso, disegnava una traiettoria drittissima nel tornare lentamente verso il centro. Consentiva anche il gol col tiro del terzino sinistro e l'angolo di 90 gradi con sponda verso il centro del campo. Da destra mi veniva meno bene, dovendo dare il colpo di polso verso di me piuttosto che verso gli avversari. Le gambe erano tre barre di metallo pieno che si incontravano sul sul pavimento in ciascuno degli angoli, perfette per metteeci il piede durante fasi rilassate in posa provocatoria. Quando vincemmo la finalissima del torneo della festa dell'Immacolata dopo aver battuto una dopo l'altra coppie di adulti indemoniati che venivano da accumoli e frazioni, inclusi noti fenomeni come Pietro Marini, noi che avevamo 14 anni, cominciavo le partite così per farli innervosire, loro pensavano che fosse rilassatessa da rassegnazione, e quando scoprivano sul 2 o 3 a zero che era rilassatezza da superiorità l'agitazione saliva altissima. A quel punto mettevo i due piedi giù perché la partita si faceva dura. Ovviamente (ma davero?) era vietato tutto. Ganci, passaggi, rullate, tutto.
Come ha detto qualcuno, l'unico modo per segnare contro un difensore forte è l'esterno dell'ala sul muro. La perfezione del disegno del biliardino e i giocatori di plastica piena e durissima assicuravano la riuscita delle due tecniche possibili di difesa quabdo la palla è in possesso dell'ala: se è l'ala destra, stecca spinta al massimo sul mollone, portiere coi piedi 45 gradi in avanti, difensore centrale 45 indietro. La palla semplicemente non passa, l'unico colpo possibile è il ta-ta dietro al portiere, difficilissimo. Se la palla l'ha l'ala sinistra (metodo utilizzabile anche dall'altro lato ma più difficile da attuare) la tecnica è opposta: terzino destro in linea tra palla e porta coi piedi in fuori di 45 gradi, portiere sul palo interno piedi indietro a contatto col palo. Semplicemente non segni. Puoi far scorrere la palla verso il centro ma il difensore segue e scambia col centrale.
Il gol del portiere era il risultato dei tentativi di battere il record di rapidità passaggio indietro del difensore - tiro. Rischioso ma godurioso. Davanti Augusto era una macina. Pressing totale e senza respiro, non mi ricordo che nomi gli avete dato ma gol a raffica sui rinvii, quando passava dal pollice sul bordo del manico all'impugnatura classica sapevo che per l'avversario era finita, si passava dal fioretto alla spada. La mediana era un'arma letale, sembravano dieci in mano ad Augusto.
Purtroppo non ho più trovato biliardini così, ed il gusto di giocare si è perso. Plastica vuota dappertutto, stecche che escono, palle leggere, sponde snervanti. L'arte della perfezione si è persa con la volgarizzazione del biliardino, come capita sempre. Ma i ricordi restano, e quei momenti di altissima tecnica oggi irripetibili sono stampati nella memoria che neanche il terribile sisma può cancellare.