Dusk ha ragione. Ed è anche questo un segno inconfutabile di come sia malridotta la società che convive in questa che è la città più bella del mondo.
Sarebbe potuto accadere, certo, in qualsiasi altra città che un bambino avesse dichiarato (fuori luogo, certo, ma ai bambini è permesso, se poi non c'è un genitore a spiegargli, a consigliarlo su cosa fare e cosa dire...) il suo amore per una squadra. Qualsiasi squadra.
Chi l'avesse sentito, si sarebbe fatto una risata benevola: certo che Francesco (o Lorenzo, o Massimiliano, o Cristian) è proprio della Juve (o dell'Inter, del Napoli, del Palermo o dell'Udinese).
A Roma no.
A Roma è diventata consuetudine ineluttabile che il presentatore televisivo, il Senatore, il tassista, il Rettore Universitario, l'oncologo, il fruttarolo o il direttore di banca DEBBANO ostentare platealmente la propria fede riomanista sempre e comunque. A costo di figure pacchiane, di comportamenti sconvenienti o addirittura osceni in tutt'altri contesti.
Tanto che, per un bambino diventa questo argomento essenziale.
Tanto che, ormai nessuno ci fa più caso. Anzi, se qualcuno di noi (che ne subiamo l'invadenza e siamo sensibilizzati) osa farlo notare, viene guardato strano, come un marziano (ma che stai a rosica'???)
E questo è grave. E' grave, al di là di tutto.
Nell'era del grande fratello foto e video oltre che sinonimo di ricordi, possono ed in alcuni casi debbono, essere arma di ricatto.
Pensate il noto dirigente RAI che in una radiolina locale asclama "quello è un pippone" o il noto conduttore "hai tempi picchiai 10 bergamaschi", ecco pensate che queste parole registrate siano alla portata anche dei diretti interessati.
Una volta c'erano le mani, ora c'è il digitale...
diffondete diffondete una mail è per sempre.....