Oggi sul giornalaccio di casa Elkann un Romagnoli piuttosto lucido.
Spalletti e la clausola Jessica Rabbit
di Gabriele Romagnoli
Ogni storia ha almeno due lati e più possibili versioni. Con una eccezione: quella di Francesco Totti. Dal 1950, anno di uscita di Rashomon di Akira Kurosawa, il cinema frequenta assiduamente il relativismo, considerando la verità una sfaccettatura della pietra: riflette il volto di chi la tiene in pugno e racconta. Se la pietra passa di mano, la storia cambia e la verità diventa un’altra.
Nella serie televisiva Speravo de morì prima la pietra resta saldamente in mano a Totti e mai arriva a Luciano Spalletti, narrativamente prescelto come l’antagonista. Con esiti sorprendenti Pietro Castellitto s’ingegna a ricreare il “suo” Totti, come Gianmarco Tognazzi il “suo” Spalletti. Quel che manca è una didascalia sotto quest’ultimo, la cosiddetta clausola Jessica Rabbit: “Non sono cattivo, è che mi hanno disegnato così”.
Come si sarà sentito vedendosi raffigurato in quel modo? La domanda parte da un territorio neutrale, senza predisposizione verso alcuna delle parti. È facile che la rappresentazione si sovrapponga alla realtà, che lo spettatore meno avvertito non distingua il confine sempre più labile tra finzione e cronaca. Lo dimostrano le invettive lanciate contro l’attore che impersona il mister (*). Il punto di vista è decisivo e non basta più dichiararlo. Soltanto i governi stabiliscono una versione ufficiale (la verità di Stato) e cercano di imporla, ma anche quella viene assediata da legittimo dubbio e controinformazione. Con la vicenda di Totti, meno rilevante ma pur sempre esemplare, non succede.
Tognazzi ha ammesso di non aver mai sentito Spalletti, aggiungendo che “una versione diversa dell’accaduto l’avrebbe messo in crisi”. È una scelta, di certo unilaterale. Può perfino darsi che l’ex allenatore della Roma si sia fatto due risate davanti al televisore, ma è una possibilità che i bookmaker londinesi quoterebbero molto elevata. Lo scrupolo cronistico ricorda altri attentati al re: uno sfregio di Ranieri, una provocazione di Luis Enrique. Nella serie tv si accenna a quell’incontro a Miami in cui proprietà e dirigenti sedettero con il mister e fissarono le condizioni del suo ritorno. Il “regicidio” può avere avuto più mandanti e un solo esecutore; essere stato un complotto, una necessità o un capriccio. Quale è la verità? Bisognerebbe chiederlo a Spalletti. Più che a Tognazzi. E a molti altri, non fosse che Rashomon assomigliava alla vita e Speravo de morì prima a una fiction.
(*) Qui il riferimento è a un altro articolo che vi risparmio ma sì, avete capito bene: ci sono subumani di fede tottista che insultano via social Gianmarco Tognazzi colpevole di "essere" Spalletti e quindi di lesa maestà nei confronti del titty televisivo. Non vi sforzate di capire o di interpretare, è come la fisica dei quanti: è così e basta.