da Laziopolis di Vincenzo Cerracchio
Che bello svegliarsi in una Roma felice!
Non piove e lo stadio della Roma si farà. Difficile chiedere di più alla vita.
La partita è stata giocata finché non hanno vinto tutti. Fino al rigore risolutore.
Il Tevere ha promesso di non esondare.
La Soprintendenza alle Belle Arti glisserà, dirà di aver scherzato e si dedicherà alla difesa del Flaminio, così com’è cattedrale nel deserto. Che crolli dove sta!
La Raggi già conta i voti di scambio per il servizio reso. Lei finge di non sapere che li conta anche Giachetti, che avrebbe tolto inutile pathos alla vicenda, li contano D’Alema (che da Giachetti si è scisso), Gasparri e Storace, pretoriani di antica data, e perfino Salvini, che si è mosso da Milano per contare di persona le cartacce di Tor di Valle, pur di garantirsi una parte di bottino elettorale.
Esulta l’Uefa che si è prodigata in prima persona col suo presidente per far sentire il suo peso, la benedizione formale dell’Europa pallonara.
Gongola Malagò, che in teoria avrebbe dovuto dolersi dell’affitto che il Coni perderà quando la Roma lascerà l’Olimpico. Ma per i propri colori quale padrone di casa non farebbe andar via volentieri l’inquilino ben pagante, suvvia! Il padrone di casa Stato o ParaStato, s’intende. Mica il privato cittadino.
Si brinda nelle redazioni dei giornali con titoli altisonanti. Copie che andranno gelosamente conservate a futura memoria, perché preconizzano scenari idilliaci da Mulino Bianco per tutto il quadrante Sud della città. Fino a Fiumicino dove si arriverà lisci lisci grazie a varie varianti.
«E’ solo nostro» gridano ovviamente i tifosi giallorossi, secondo interpretazioni giornalistiche. Sono i più legittimati a farlo. E pazienza che per una volta tacciano tra loro gli ecologisti, i no tav, i verdi, gli anticemento: stonerebbero nel magico momento storico. Si faccia presto, piuttosto, che ci sia ancora Totti in campo. E Tagliavento. E Banti. Poi si penserà alla sala trofei che sarà riempita in automatico: come insegna la Juventus più hai lo stadium più vinci.
Pallotta resterà e questo conta anche di più. Evitata la “catastrofe” di un suo ritiro dall’Italia. Ci pensate, che rischio abbiamo corso? Arriveranno altri campioni e saranno dolori per tutti: il fair play finanziario era un’invenzione e peggio per chi ci ha abboccato o ha voluto farlo. I costruttori si danno il cinque con gli operai a giornata: lavoro e guadagno per tutti, naturalmente in proporzione. Ci sarà il giusto compenso anche per le banche esposte – alle banche nostrane non si nega nulla – che rientreranno dei crediti e potranno reinvestire sulla squadra della città.
Come dite? Le squadre della città sono due…
Allora non avete capito la lungimiranza del progetto. Ora che la strada è stata pioneristicamente aperta, anche la Lazio potrà fare il suo, di stadio. Dove vuole, da Valmontone in giù. O magari si troverà un modo anche sui terreni di Lotito sulla Tiberina. Tanto il Tevere mica esonderà solo da una parte, no? Non al Flaminio però: che c’è il vincolo, lo sapete. E poi che guadagno c’è a fare qualcosa solo per la gente e per la città? Per questo stamattina c’è una discreta soddisfazione anche tra i laziali, o almeno tra i laziali che credono alle favole dopo tredici anni di fandonie. Quelli che non hanno ancora capito di essere fuori per legge dai Palazzi del Potere. Politica, ParaStato, Pallone.
Per conquistare due scudetti e un po’ di trofei è stato necessario non vincere ma stravincere sul campo. Essere superiori all’inciucio e allo scansarsi del ’73, ai Treossi di Forlì, ai gol di Cannavaro annullati.
Essere laziali oggi a Roma, laziali di un certo tipo, è saper insegnare ai figli 117 anni di Storia, veri e non rivisitati al ribasso. E’ l’orgoglio della propria identità, di essere comunque fuori dai giochi, da certi giochi.
Per questo è stato bello svegliarsi anche oggi. Non piove, e a Roma la Lazio c’è ancora.