Le tre Italie nella lente degli stadi (Corriere dello Sport)
il commento
di Marco Evangelisti
Forse sono solo pregiudizi geopolitici oppure è il cinico disincanto di chi le ha viste tutte e sa che tutto è ancora ben poco. Ma noi, noi inteso in senso ampio, nessuna modestia lessicale e anzi la presunzione di essere in tanti a pensarla in questo modo, noi che assistiamo da qualche riva stanca al fluire di grandi progetti che compaiono all’orizzonte, s’ingrandiscono, luccicano al sole e poi si squagliano e affondano, non riusciamo a sottrarci a una sensazione strana. Che a Milano stiano litigando sul nuovo stadio, come no, se debbano costruirlo e dove, se la fiamma della modernità valga il peccato di demolire il tempio o se non abbia avuto un’idea brillante il sindaco Sala offrendo agli storici club della città il possesso di San Siro a prezzo stracciato; ma che intanto si vada avanti, alla maggior gloria di una città in cui corrono i prezzi, corre la vita, corre il lavoro e chi può accorre. Mentre a Roma tutto sembra lì lì per realizzarsi, una volta, due, cento, e questa infine con tutti gli indicatori a favore, il governo che ammicca, le inchieste giudiziarie che lambiscono Tor di Valle senza bagnarlo, le opere pubbliche indispensabili che diventano basilari, poi utili e poi alla fine vabbè, se servono si faranno. Eppure dal fiume degli eventi spunta sempre uno scoglio nuovo, imprevisto, che sia la stagione amorosa delle rane di fosso o il ritrovamento archeologico o le istanze di fallimento presentate da creditori dimenticati.
A prendere il controllo è la distanza che abbiamo lasciato si scavasse tra le due città, una soddisfatta del puro e semplice essere capitale e imperiale, l’altra motivata dall’invidia di non esserlo, dalla convinzione di un’ingiustizia storica da riparare. Distanza che esiste sul territorio e ancora più solida dentro chi le abita, i romani quasi rassegnati, i milanesi non ancora soddisfatti. Ma il nodo vero in cui questa vicenda tutto sommato limitata s’incastra è che può finire in qualsiasi modo, Milano e Roma con lo stadio nuovo oppure tutt’e due senza o qualsiasi sfumatura tra quegli esiti opposti. E dobbiamo metterci dentro pure Napoli, la cui odissea nello spazio incompiuto degli spogliatoi è un capitolo di una saga più vasta che racconta del lamento lungo quindici anni di De Laurentiis per il San Paolo e le sue inadeguatezze. E altre realtà sparse per l’Italia, intralciate dalla burocrazia, raggelate dai cavilli. Il nodo è nel cuore di un Paese in cui tutto è difficile, tutto è spaventosamente lungo e tutto trova nemici. Persino la voglia di giocare in pace.