LA REPUBBLICA: RIOMA E LAZIO, TIFOSERIE PROVINCIALI
La giacca era dello stesso tono di blu della cravatta. La camicia opportunamente bianca, slacciato il polsino. Grigi i capelli. D’acciaio l’orologio. La pistola non era visibile, probabilmente infilata nei pantaloni dal lato della schiena, per poterla estrarre a sorpresa. E così è stato: Edy Reja s’è fatto una sparata. È sua la scena madre della seconda giornata di campionato. Un tuono a cielo cupo. Per legittima difesa. Quella curva che urla: «Vattene!» e quell’uomo retto che risponde: «Sto qui, mi prendo tutte le responsabilità, ma mi sono stancato!». Tradotto: «Mi avete rotto i [...]».
È uno spettacolo, ma anche una mestizia, l’esplosione dell’allenatore laziale. Non è l’ira d’Achille, ma quella d’Anchise, del padre antico, uso a sopportar tacendo. E se perfino lui non ce la fa più, la misura dev’essere ben colma. Hanno fatto traboccare il vaso, goccia dopo goccia: l’arroganza del potere, la cecità del popolo, la ferocia degli aedi. In una parola, sia lecito dirlo: Roma.
Unica città al mondo capace di partorire un Lotito, due tifoserie che barattano il campionato per un derby e sessanta programmi che parlano esclusivamente di calcio con la stessa compostezza con cui il ministro Brunetta affronta un contestatore. Emblematico il quotidiano “Corriere dello Sport” il giorno dopo. Non tanto in prima pagina (“Reja, i tifosi non ne possono più”), quanto in terza, dove spicca il titolo: “Sconfitta numero 75 per il goriziano in serie A”. Dove si trascura che le batoste le ha prese per lo più con il Vicenza e il Napoli neopromosso e si marca il territorio. Reja è un intruso, viene da un posto lontano, semi-slavo, non è core de Roma, non ha baciato il sampietrino, giurato sull’abbacchio e, in caso di vittoria, non ha promesso di tuffarsi nel fontanone.
Ma soprattutto, ecco il problema, non ha mai conquistato quella vittoria che sospinse Delio Rossi, estraneo quanto lui ma molto più furbo, al bagno per la folla. Il peccato originale di Reja, che ha evitato una retrocessione e conquistato una qualificazione europea, è stato di aver perso un poker di derby. Conta zero che abbia chiuso l’anno scorso davanti alla Roma, importa soltanto che nello scontro diretto ha subito. Questo è imperdonabile in una città che confonde l’universale con il particolare, riduce la Storia alla cronaca locale, s’avvolge nel manto della propria beltà fino a insudiciarlo. Ci sono albe struggenti, si schiudono le basiliche, rinasce il fiume, poi passa un taxi e ti schizza di fango.
Così si presenta una squadra nuova, reduce da un quinto posto, rafforzata con due attaccanti killer, ecco a voi il mister: e giù fischi. Per la storia dei derby, perché ha tolto il giocattolino Zarate che nessuno più (curva a parte) voleva, perché è vecchio. Glielo dicono anche per strada, come fosse un insulto, come non fosse arrivato fin qui, anno dopo anno, conquistando promozioni e subendo bocciature, senza mai prendersela con il destino o con gli altri. Lo ribadisce pure il presidente, per giustificarne lo sfogo. Nella stessa domenica nonno Ferguson, che ha quattro anni più di Reja, dava lezione a Villas Boas, che ne ha ventotto di meno. Ma lui ha anche già battuto il Manchester City nel primo derby e nessuno si ricorda più che aveva iniziato vincendo niente.
Del “goriziano” invece si tiene a mente tutto, anche i particolari, tipo che con il Genoa proprio non ce la fa: nove sconfitte e tre sole vittorie. Come fosse quello lo scontro che davvero conta. La partita vera è un’altra. E si sta avvicinando. Il 10 ottobre Reja compie 66 anni. Il 16 lo aspetta Lazio-Roma. Ha perso il controllo perché è arrivato alla curva: o si fa cacciare o resta fino al «giudizio di Dias», al giorno dei giorni in questo calendario romano che scorre ignaro delle evenienze altrui. Alla seconda giornata le squadre della capitale sono già lontane dalla vetta e, nella frenesia dei giudizi, escluse dallo scudetto e dalla Champions. Resta, come sempre, il duello in cortile per decidere chi regna sull’Impero del poco. Perfino a un uomo che ha visto Napoli e non è morto possono tremare i polsi al pensiero di una quinta sconfitta. O possono cader le braccia all’idea di vincere ed essere fischiato comunque.
tutto vero, sacro, e santo.
ma saparare sui romani è come sparare sulla croce rossa.
romani poi, sarebbe più giusto dire, abitanti di roma.
lo stesso dicasi per la Curva, sparare a zero su una Curva è cosa facile.
Tutto è facile, e giusto, da una Tastiera, croce e miseria dell'uomo intrappolato nella rete.
Non mi va di prendere posizione, ennesima voce pro questo, pro quello.
Dico solo una cosa, ci sono due cittadini di questo mondo.
QUelli Alienati dal Fare (rispetto ad un contesto-esperienza)
e Quelli che fanno.
i Primi sanno come si fà, farebbe, ma non lo fanno. (ognuno con le proprie Buone Ragioni)
i secondi, che fanno, provano, sbagliano, ovviamente. (daltronde chi nun magna nun fà molliche)
la matrice fatdanny. è la stessa che denuncia laRepubblica nel suo atricolo tranchant.
quella delle radio che non fanno. parlano parlano parlano parlano del fare di qualcun altro.
dei giornaletti sportivi che sparano a casaccio e chi pio pio.
dei forum.
delle trasmissioni sportive che blaterano il lunedi,il sabato e la domenica.
ed il Circo che se ne giova, la scimmia coi birilli, il criceto nella rota.
daltronde ditemi se sbaglio. si gioca dal venerdi al lunedi, a qualsiasi ora, pure a quella di pranzo.
di spazio e di ispiarazione per l'Opinione di Turno ce nè quanto ci pare.
Io, che non faccio testo, prendo le distanze anche da me in questo mondo, figuramose da Via col Vento.
ma una cosa la voglio dire. senza se e senza ma.
non è l'incoerenza che mi fa saltare sulla sedia e dire "così' è facile", "so boni tutti".
no.
è L'arte Nuova, secondo la quale, tutto sembra raggiungibile, presente, la Nuova Arte che nasce da una confusione e la reitera all'infinito, quella di confondersi, di credersi partecipanti ad un esperienza soltanto perchè abbiamo accesso mediato a quella degli altri.
Nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso