Di questi tempi o giù di lì, quindici anni fa, scrivevo i miei primi post su lazio.net.
Nei tre anni precedenti leggevo e basta, pensando che occorresse chissà quale complessa operazione per iscriversi. Sono sempre stato abbastanza ricalcitrante alla tecnologia e il prezzo da pagare fu di non potermi godere lo Scudetto scrivendo qualcosa, partecipando attivamente alla gioia, anzi alla Gioia comune con tanti fratelli laziali.
In questi 15 anni non so quanti topic sulla Lazio ho aperto. Non tantissimi, però. Tuttavia, spero che una militanza così lunga mi consenta di aprirne uno tutto mio, anche se su Lazio-Inter un topic già c’è. E ne spunteranno anche altri. Confido in una Moderazione benevola, quindi. Che non lo accorpi ma lo lasci autonomo.
La prendo alla larga. È stata una stagione davvero difficile, questa. Per quanto accaduto sull’altra sponda. Inutile nascondersi. O almeno, io non mi nascondo perché ho temuto davvero l’irreparabile. Ci è andata di lusso e dal 2 maggio avevo deciso che “accada quel che accada”, la mia stagione era personalmente finita.
1 trofeo contro 0 trofei. Questo il succinto bilancio stagionale.
E al diavolo le delusioni cocenti contro Milan e Salisburgo. Metabolizzate. Quando sei lì a pregare che la tua rivale storica non vinca il trofeo più importante e le tue preghiere vengono assecondate, tutto assume un altro significato, si ristabilisce un senso delle proporzioni e forse anche della realtà. Ho fatto più fioretti in quei giorni che in tutto il resto della mia vita. Il primo fioretto è di diventare un uomo migliore nel caso in cui non l’avessero alzata, quella Coppa. E ora mi toccherà esserlo. Un padre migliore, un marito migliore, un amico migliore, perfino un tifoso migliore.
Ciò premesso, non ho mai avuto il mito di andarmi a giocare la Champions League, per tanti ordini di motivi che non sto qua a spiegare, avendolo già fatto ripetutamente negli anni. Tra la vittoria di una Coppa Italia e un accesso ai gironi di CL, per me non c’è paragone possibile. Come, a bocce ferme, non c’è paragone tra vincere una Supercoppa Italiana e arrivare ai gironi di CL. Certo, c’è una differenza di 20 milioni o quelli che sono. Leggo pure che ora sono diventati 35. Una volta erano 20, se arrivavi ai gironi. Ma tanto, al dunque, l’estate scorsa ci ha dimostrato che se 35 milioni ce li hai in cassa, non è detto che li spendi. E infatti ci ritroviamo a giocare le partite decisive della stagione con Murgia, Nani e Caicedo. Questo per non dover sempre citare il povero Vignaroli.
Perché, allora, lo sto vivendo così male questo finale nonostante queste premesse farebbero pensare il contrario? Penso che la ragione principale risieda proprio nel fatto che mai come quest’anno tutto un complesso di cose, come direbbe Paolo Conte, ci avrebbe consentito di potercela fare.
Larga parte sono meriti tutti nostri, sia chiaro. Nonostante arbitraggi che ci hanno defraudato ripetutamente, ci siamo fatti trovare nelle posizioni giuste a un pugno di partite dalla fine. E però a questi meriti si sono aggiunte delle variabili che, da tifoso che segue la Lazio coscientemente da 36 anni, mai mi era capitato di registrare. Le due partite casalinghe dell’Inter e la nostra contro l’Atalanta hanno rappresentato un trittico di quelli che ti fanno gridare al miracolo. E chi c’era abituato? Il massimo che io ricordi è la vittoria dell’eliminato Zurigo contro il Vaslui, che ci ha consentito di passare da secondi il girone battendo lo Sporting Lisbona, già qualificatosi da primo. Ma mettiamoci pure il pari tra Marsiglia e Feyenoord che ci consentì di passare il girone anche in caso di pareggio a Londra col Chelsea. Vincemmo ma anche pareggiando saremmo passati. Tolgo questi episodi e cosa resta? A quanti altri Inter-Sassuolo ci era mai capitato di assistere?
È questo che non mi dà pace. Ci è capitata una cosa non da Lazio. Ma forse è proprio per questo non l’abbiamo sfruttata. Forse non eravamo pronti, forse non c’è stato manco il tempo per elaborare quale razza di vantaggio ci era stato dato, consegnato su un piatto di platino. Oggi era l’occasione per chiudere una stagione logorante, sfibrante, macerante. E non l’abbiamo capitalizzata, contro Martella, Ceccherini, Barberis e Nalini.
Non mi do pace per come si sono messe le cose. Non mi do pace perché, ove mai non dovessimo riuscirci, non riuscirò a prendermela con Massa, Di Bello, Giacomelli, Fabbri, Guida, Banti o Damato. Non ci riuscirò, molto semplicemente. E di questo me ne faccio una colpa, perché dovrei comunque rivendicare ciò di cui sono stato defraudato ma non ne sarò capace. Penserò che siamo stati inadeguati, tecnicamente e mentalmente. E mi resterà dentro solo rabbia e frustrazione per la terza monumentale inculata, dopo i rigori col Milan e i venti minuti di follia in Austria. Per questo è così importante questo cazzo di quarto posto. Assumerebbe un grande valore simbolico, aldilà del dato tecnico o economico. Vorrebbe dire che qualcosa potrà cambiare veramente nel nostro DNA, che non saremo più solo la squadra che 7 volte nelle ultime 20 edizioni è arrivata in finale di Coppa Italia, 5 volte l’ha vinta e 4 volte ci ha aggiunto una Supercoppa. Vorrebbe dire che la maledizione sarà terminata, che nel giro, una volta ogni tanto, possiamo finirci anche noi, invece di stare sempre a guardare e di ridurre la nostra stagione al tabellone della Coppa Italia.
È più di un quarto posto, questo Lazio-Inter. Molto di più.
Io sto a pezzi, non so voi. Se non ce la dovessimo fare, credo che non starei, comunque, peggio di stasera. Avrei, almeno, la consolazione della parola FINE su questa stagione. Finita veramente, a quel punto. E fino a Ferragosto non vorrò sentire parlare di calcio.
Viceversa, ce la dovessimo fare, penso che lo vivrò come un trofeo, pur non essendo affatto un trofeo. Ma per il valore che assumerebbe, una volta tanto forzerò un concetto che ho sempre rifiutato.
Ah, questo forum sarà l’unico “spazio” calcistico che vedrò in questi giorni. Non avrò la forza di vedere il canale 200 di SKY con Petrucci che snocciola il bollettino medico né avrò la forza di andare su altri siti di calcio a leggere notizie. Non ce la farò.
Solo una preghiera, però. Mi piacerebbe non leggere “Se giochiamo come sappiamo”. Ognuno ha le sue manie. C’è chi non sopporta le unghiate involontarie sulla lavagna, chi l’odore dell’acqua stantia nei sottovasi, chi il rumore degli autobus di notte. Fatemelo come regalo. È una frase che mi provoca istinti violenti. Già sarà una settimana demmerda. In nome di tutte le cazzate scritte in questi anni, fatemi questo regalo.