Post "serio" con un fondo delirante in un topic delirante con una base seria.
Dall'altra parte gira lo slogan "V'avemo costretto a sputà sulla maglia vostra".
Ma io mi domando...
E' meglio sputare sulla maglia cantando, ridendo e caxxareggiando o sputare su una propria bandiera così?
Roma, 18 maggio 2000
Giuseppe Giannini stava facendo il giro d'onore per salutare tutti i tifosi che erano venuti per salutarlo. Sono passati cinque minuti e una cinquantina di tifosi hanno invaso il prato dell'Olimpico. Ne sono passati altri dieci e i cinquanta sono diventati tremila. La maggior parte andava verso Giannini, altri intonavano cori di contestazione nei confronti di Sensi. Questi ultimi tra l'altro hanno tentato, con successo, di distruggere una porta e di portarsi a casa il prato dell'Olimpico appena riparato dopo l'invasione di domenica dei tifosi della Lazio. Gli appelli di Giannini e Conti non sono serviti a nulla. "Se non uscite dal campo non possiamo continuare questa festa", ha urlato sconsolato l'ex capitano giallorosso. C'era il sospetto che
i tifosi della Roma stessero cercando di rovinare l'Olimpico per non dare modo di festeggiare lo scudetto a quelli della Lazio per la festa prevista per domenica.
Le due porte, infatti, sono state praticamente distrutte, come anche le zolle dell'Olimpico. Alla fine sono intervenute le forze dell'ordine che hanno disperso gli oltre tremila spettatori che, all'improvviso, sono scappati provocando non pochi problemi.
IL GRANDE EX da "Il corriere della sera"
Giovedì 18 Maggio 2000
Giannini, una festa rovinata: prato e porte dell’Olimpico distrutti
Il «Principe» in lacrime dopo l’invasione di campo: «Non doveva finire così»
ROMA - Mai vista una festa trasformarsi in un simile inferno.
Risse, aggressioni, cariche, devastazioni. L’addio di Giuseppe Giannini, ieri notte, è diventato una bolgia, nell’Olimpico sfregiato dai vandali. Strappato come uno straccio il manto erboso ricostruito a tempo-record dopo i festeggiamenti dei tifosi laziali di domenica scorsa, distrutte le due porte, divelti cancelli e protezioni, sfondati vetrate e seggiolini.
E tutto in un clima di guerriglia, sotto gli occhi di forze dell’ordine scarse, impreparate, impotenti.
Doveva essere la notte del saluto al capitano della Roma, assente dal suo stadio da quattro anni. La fazione più violenta del tifo giallorosso,
indispettita dal trionfo della Lazio e lanciata in una feroce contestazione nei confronti di Sensi, ne ha fatto il teatro di una rabbia incontrollata. Un polemico corteo partito nel pomeriggio da piazzale degli Eroi, tra cori di insulti al patròn romanista, aveva fatto presagire le reali intenzioni di almeno una parte dei 40 mila spettatori accorsi all’Olimpico. Dal viale dei Gladiatori che porta all’ingresso principale dello stadio, era già partito un lancio di oggetti verso i campi del Foro Italico, dove si stanno svolgendo gli Internazionali femminili di tennis. Su due terreni di gioco, il 4 e il 5, le partite in corso venivano sospese per diversi minuti. Poi, una volta all’interno dell’Olimpico, un centinaio di ultrà s’era mosso minaccioso dalla curva Sud verso la tribuna d’onore, evidentemente a caccia di «dirigenti colpevoli».
La polizia riusciva a respingere il tentativo di intrusione,
la malcapitata Rosella Sensi (memoria corta Rosellina? ndM), figlia maggiorenne del presidente rimasto a casa dopo l’avvio dell’operazione-Borsa,
rimediava una salva di fischi non appena Giannini saliva in tribuna a consegnarle un mazzo di fiori. La demolizione dell’impianto è avvenuta poco più tardi, in un’
atmosfera irreale, tra nuovi cori beffardi («Batistuta dove sta?»), nell’intervallo di
una partita che non si giocherà più.
Giannini, che aveva guidato per un tempo una mista della Roma contro l’Italia ’90 di Tacconi, Franco Baresi, Bergomi, Schillaci, Vierchowod (per quello che conta era finita 1-1, gol di Voeller e Carnevale), stava effettuando un giro di campo anticipato.
«Lasciatemi godere questo momento, lo aspetto da una vita», aveva confessato ingenuamente agli organizzatori che avevano lasciato la passerella per il gran finale. Ma mentre il Principe commosso raccoglieva applausi, dalle due curve drappelli di ultrà cominciavano a invadere il campo, tracimando con incredibile facilità da ogni angolo.
Cinque, dieci minuti e
il terreno di gioco dell’Olimpico brulicava come un formicaio (Quindi non erano una "sparuta minoranza" ndM).
Chi strappava zolle d’erba (Niente rispetto ad un "OH NOOO" ndM), chi staccava pali e traverse (Vuoi metttere rispetto ad un violento e becero "Muslera scansate" ndM), chi trinciava le reti delle porte (Acqua fresca rispetto al blasfemo "se vincete ve menamo" ndM). Inutili gli appelli di Bruno Conti e dello stesso Giannini agli altoparlanti dello stadio: «Vi prego, se non uscite non possiamo giocare il secondo tempo».
Ma alla massa che proseguiva indisturbata a rovesciarsi sul campo e a devastarlo
non importava niente della partita, né dell’addio al capitano celebrato soprattutto da un romantico striscione: «Facile amarti, impossibile dimenticarti» (ah ah ah ah, meno male che c'odiate a noi!!! ndM).
Come seguendo un’accorta regia, i vandali si impossessavano dell’impianto, accendendo qua e là focolai di risse. Le forze dell’ordine intervenivano tardi, con poche decine di celerini. Una carica e via,
il campo distrutto veniva sgomberato dagli invasori. Ma la festa ormai era finita. In fuga gli ospiti, i grandi giocatori che avevano risposto all’invito del Principe con poche eccezioni (Falcao, Mancini, Roberto Baggio, Vialli).
Toccava a lui, il festeggiato, rientrare con la maglia giallorossa indossata per l’ultima volta e salutare il pubblico.
In lacrime, Giannini, abbracciato da Bruno Conti e Francesco Totti (stessa amnesia del tuo presidente? ndM) che non ha giocato con lui neanche un minuto,
raccoglieva i cocci di un atroce fallimento (da buon cappetano ce doveva esse abituato): «Un po’ per eccesso d’amore - piangeva negli altoparlanti -
un po’ per sfogare la rabbia che c’è in questi giorni (questa è da codice penale, come se fosse giustificabile da uno scudetto nostro il mettere a ferro e fuoco uno stadio!), è andata male... Scusate, vi ringrazio, ma non doveva finire così».
Tardivo e inutile dalla Sud si levava un altro striscione, costruito al momento con lettere strappate ad altre scritte:
«Scusa» (AH AH AH AH AH AH AH AH AAAAAAAH).
Ma la festa era finita per davvero, bruciata da
un calcio che è ormai tutto fuorché un gioco (l'anno dopo però annava bene tutto, vè?).
Stefano Petrucci