Insisto, per me c'è proprio un rifiuto socio-culturale del luogo stadio.
Perché in Italia sia più accentuato che in altri Paesi, non lo so. Ma per me è così.
Ma li vedete gli stadi in serie B? Stadi da 10.000 posti letteralmente vuoti. E non parlo di decadute che hanno vissuto qualche breve fasto in serie A, parlo anche di tifoserie per le quali la serie B dovrebbe essere un bellissimo sogno.
Le spiegazioni del fenomeno sono molteplici ma per me, di fondo, è perché il calcio è sempre più uno spettacolo mediatico. Un ragazzo di diciott'anni, si vede la partita sul tablet, gli basta e gli avanza.
Da un canto non percepisce lo stadio come luogo di socialità, dall'altro, pensa - purtroppo legittimamente - che la partita se la vede meglio sul piccolo schermo, non spende soldi usando SkyGo con l'abbonamento del padre, etc.
Per me lo stadio fico, funzionale e di proprietà sarebbe una salvezza molto parziale. E anche una Lazio più forte lo sarebbe.
Il problema, per me, è proprio l'attrazione che il calcio di oggi ha come "spettacolo live", per quella che è la società italiana (oggi).
Poi, magari, è solo un ciclo sociale, che potrebbe presto chiudersi.
E' ovvio. Non so quanti anni hai, Cuchillo, ma io da bambino (anni '70) mi ricordo ancora 'Tutto il calcio minuto per minuto' che seguiva solo i secondi tempi, unica trasmissione sportiva Novantesimo Minuto con servizi stringatissimi quasi in presa diretta, e
un tempo di
una partita in orario serale sulla Rai...
Quindi se amavi la Lazio, per vederla andavi allo stadio, magari con gruppi di parenti / amici di quartiere, dove socializzavi bevendo il vino dalla fiasca e mangiando la celeberrima pagnottella con la sarsiccia.
Ancora ricordo partite in B negli anni '80 con lo stadio pieno.
Un po' di paura solo al derby, quando gli ultrà e gli Ultras si davano appuntamento alla Palla per menarsi: ma i guai dovevi proprio andarteli a cercare - eccezione terribile l'episodio Paparelli (che ha sancito un lento cambiamento già in atto dall'inizio degli Anni di Piombo; fino ai primissimi anni '70 -mi raccontano - potevi andare con le tue bandiere a vederti un derby in Sud).
Ora è un circo Barnum, la socialità è quasi sparita (tranne, duole dirlo, proprio fra gli ultras), i ragazzi -sempre meno, peraltro, per ragioni demografiche- si guardano in tempo reale i numeri dei giocatori (e solo quelli) sul tablet non troppo diversamente da come giocherebbero a Fifa 18; e andare allo stadio, sia in casa che in trasferta, mette più apprensione.
Le squadre sono per lo più composte da "capitani di ventura" per lo più stranieri che cambiano casacca ogni due - tre anni, e l'obiettivo è per le grandi ottenere piazzamenti e per le piccole galleggiare in pareggio e fare plusvalenze con le giovani scoperte. In maniera molto più scoperta di prima, è il dio Quattrino a menare le danze.
Confesso che, da quello che vedo, la differenza non è più fra laziali e romanisti, ma fra tifosi 'romantici' (una minoranza che trovi ovunque più o meno nelle stesse proporzioni) e il resto del gregge; sempre meno disposto a farsi mungere dai Signori del Pallone (ma che nell'abbonamento televisivo il calcio comunque ce lo mette sempre).
"Times are a-changing", you like or not