Il discorso di Gesulio è ispirato a un soprendente e sano realismo, che tutto sommato condivido.
Tuttavia, da inguaribile sognatore, io non pongo limiti alla provvidenza e, pur sapendo che la gestione di una squadra di calcio è cosa maledettamente complicata, resa ancora più difficile dal c.d. "imponderabile", credo che sognare non costa nulla e che sia possibile superare i propri limiti, con il lavoro quotidiano, con la fatica della formica, non certo con le suggestioni della cicala.
La lezione dell'epopea cragnottiana è questa. Si può creare mattone dopo mattone una realtà competitiva a livello europeo e si può arrivare a giocare ad alti livelli. Gli apologeti della dottrina moralizzatrice hanno agio di rifarsi ai disastri compiuti nella fase crepuscolare del cragnottismo, ma dimenticano che i fasti imperiali furono costruiti con un lustro di crescita costante, tecnica e societaria, che trasformò una squadra da mezza classifica e una società mediocre in una realtà del calcio nazionale e internazionale, sprovincializzando l'ambiente laziale e non solo.
La lezione dell'attuale fase è che una fase emergenziale a livello societario può ben durare qualche anno, ma poi la parola passa e deve passare all'applicazione di un altro progetto, di un'altra filosofia. Per realizzare tutto questo prima ancora degli investimenti occorre una squadra di tecnici e di manager che lavori in armonia, ognuno con le sue competenze e le reponsabilità. Il peccato mortale di questa presidenza è di aver distrutto tutto quest, azzerando le competenze di alcuni sostituiti da teste di legno sempre a disposizione per i desiderata dle presidente. Solo ora - secondo alcune ricostruzioni di stampa - sembra si stia riparando.
Ma è troppo tardi ormai, a parere di chi scrive.
Occorre un radicale cambiamento, aria nuova, un passaggio di mano salvifico perché il veleno che si è sparso ha inquinato il terreno fino alle falde.
La LAZIO come società, squadra e tifosi ha bisogno di una cambiamento epocale per risalire la china, per riprendere un cammino interrotto, perché il passato può essere utile per conoscere la propria identità, non uno strumento per decretare una condanna.