Ciao Gio.
Purtroppo i dati del Milan non sono ancora pubblici (solo i dati sintetici lo sono). Comunque il Milan ha seguito un evidentissimo percorso di risanamento. Da un lato la proprietà ha ricapitalizzato a piene mani, rimborsando anche gran parte dei debiti finanziari. Dall’altro, ha abbassato il monte ingaggi. Infine, ha fatto un mercato intelligente. Il bilancio 2021/22 chiuderà cmq ancora in perdita.
Questo s'intendeva - altrove - circa l'impatto delle proprietà straniere in Serie A, nord-americane innanzitutto.
E' indubbiamente vero che il modello di "business" del calcio ultracapitalistico dei nostri giorni non prevede più la figura romantica del "ricco scemo" (il mecenate spendaccione alla Moratti): bensì una scientifica, efficiente, riorganizzazione imprenditoriale delle società calcistiche in ogni settore (sportivo, economico, finanziario) finalizzato non più a "gestire" il valore patrimoniale e contabile, piuttosto a incrementarlo costantemente per mezzo della ricerca sistematica di maggiori ricavi dentro e soprattutto fuori dal campo. In quest'ottica ecco ad esempio che il settore giovanile dei club (soprattutto quelle grandi) da serbatoio di talenti per la prima squadra si trasforma in vero e proprio "bancomat", utile a generare nuovi guadagni senza intaccare il valore della formazione titolare, soprattutto in assenza di cospicui introiti commerciali (questa trasformazione è avvenuta in maniera esemplare nell'Atalanta).
Se tutto ciò è vero, allo stesso modo è evidente come il "saper fare" imprenditoriale e i capitali immessi da queste proprietà acuiscano gli svantaggi competitivi di quei club che - anche solo per riequilibrare i costi economici e/o ridurre gli squilibri finanziari, pure se minimi in confronto a quelli di altre società - non dispongono di alcuna risorsa aggiuntiva, nè di una divisione del lavoro aziendale altamente professionalizzata.
Per dire: oltre a ricorrere a versamenti in conto capitale pari a 144 milioni (non 3,5M...), dal 2019 un "Commisso" ha versato nella Fiorentina pure 75M attraverso la "sua" sponsorizzazione (Mediacom), per un totale di oltre 200M girati al club in tre anni - di cui solo una parte, ovviamente, è stata destinata al calciomercato. Ma così è più semplice non avere problemi di liquidità, nonostante risultati sportivi mediamente scadenti in sede di mercato e sul campo. Dal canto suo - questo il ruolo di un imprenditore che cerca il "business", al contrario del "politico" Lotito - Commisso ha messo già in cascina una nuova cittadella sportiva e la rivalutazione dello stadio Franchi (dopo ristrutturazione) per rafforzare il patrimonio della Fiorentina.
La differenza comunque, alla fine, la fanno sempre le scelte dei singoli dirigenti o proprietari: se in pochi sollevano trofei pesanti (vincolo economico) tuttavia si può fare bene in tanti modi differenti, adottando diversi tipi di strategie soprattutto dal punto di vista economico-sportivo (dal sistematico ricorso al player trading sino al quasi immobilismo in termine di generazione di ricavi legati al calciomercato, per favorire la costruzione di gruppi solidi e animati da forte senso di appartenenza, che possono tradursi in migliori risultati e dedizione alla causa sul campo compensando altri tipi di carenze - al netto dei limiti tecnici irrisolti e alla fisiologica conclusione di un ciclo sportivo).
Ma se i soldi non fanno la felicità, di sicuro rendono la vita molto più semplice, limitando i danni comportati da una serie di decisioni sbagliate oppure da improvvisi rovesci geopolitici e geoeconomici (rispettivamente, le sventure di Pallotta e Agnelli confrontate con quelle di Suning). Lo stesso Napoli - preso a modello quanto a gestione del calciomercato, risultati sportivi e dotato di modesti debiti finanziari - per riequilibrare i conti economici e ridurre i costi (R: 179,4M; C:305,5; Plus: 47,6; perdita: 58,9) a quanto pare si avvia verso una decisa riduzione delle spese complessive, di cui i mancati rinnovi a Insigne e Mertens, oltre alla possibile cessione di Fabian Ruiz, potrebbero essere solo il primo passo, nonostante la bellissima stagione disputata. Altre squadre - con gruppi forti alle spalle e un'altra base di ricavi caratteristici, ovvero non legati alle fortune sportive - magari avrebbero agito diversamente, supportando questo squilibrio relativamente modesto nel tempo, magari con l'aiuto della crescita di ricavi trainati da altri settori (da quelli commerciali a quelli legati alla cessione di pezzi pregiati provenienti dal settore giovanile).
La base di partenza competitiva dunque è decisamente impari (e naturalmente non può che essere così, dal momento che viviamo in questo tipo di società) per non parlare delle rendite di posizione legate alle specifiche tradizioni storiche di ogni singolo club, che favoriscono una maggiore o minore valutazione commerciale del proprio marchio e dunque la generazione di ulteriori ricavi - come nel caso del Milan, sempre ambito e remunerativo negli Usa come in Estremo Oriente.
Il tetto imposto all'indebitamento (prossimo regolamento Uefa: spese costo lavoro allargato al 70% dei ricavi e perdite "coperte" non oltre i 60M in tre anni) non riduce affatto le disuguaglianze: cerca semplicemente di mettere in sicurezza il sistema, non operando alcuna seria redistribuzione dei redditi, nè a livello europeo, tantomeno a livello nazionale.