Ci deve essere un folle, da qualche parte, a scrivere la Storia della Lazio.
Altrimenti non si spiega questo continuo rimando al cuore, al dramma, alla sempre sudatissima gloria, che intreccia continuamente le vite di generazioni di laziali, ognuna delle quali è stata messa almeno una volta sull’orlo del baratro, ha visto i propri eroi lasciare questa maglia o questo mondo, ha potuto ridere e piangere per la Lazio, spesso in intervalli di tempo così brevi da strizzare il cuore di chiunque, fino a farlo diventare piccolo piccolo.
Di chiunque non fosse un laziale ovviamente.
Perché chi ha scelto di amare quei colori, sa che niente sarà facile e tutto sarà bellissimo. Sa che nessuna sofferenza è inutile. Sa che nessuna vittoria è gratis.
E così stasera il laziale lo sentiva, che questa era una partita dagli intrecci incredibili con la sua Storia. Solo un laziale poteva emozionarsi per la celebrazione del momento più basso della sua storia sportiva. Il momento in cui il cuore si è fatto più piccolo, ma si è rifiutato di arrendersi e ha continuato a battere, risalendo colpo dopo colpo fino al tetto d’Italia, e poi a quello d’Europa, prima di lanciarsi nuovamente nell’abisso e ricominciare una nuova risalita.
Oggi sarebbe stato il compleanno di Giorgio, il bomber dell’anno più bello.
Ed oggi la Lazio ha scelto di giocare, dopo quasi trent’anni, con la maglietta di Giuliano, il bomber dell’anno più difficile. Lo ha fatto incontrando il Milan, l’unica grande che, vai a vedere gli incroci della storia, l’aveva accompagnata all’inferno in quegli anni bui.
Basterebbe questo, per gonfiare il cuore dietro quell’aquila sul petto, ma non basta: la Lazio vince, stravince, domina. Ma è la Lazio, e niente può essere facile: così subito un rigore negato, e subito un gol subito, a far rivivere quegli incubi che i laziali sentono ormai compagni di viaggio, che quasi non temono più.
E poi ancora un rigore negato, e la sorte, il portiere, la mira: niente va come deve andare, e chiunque, che non fosse un laziale, penserebbe che forse è finita.
Invece la Lazio di oggi con le maglie di ieri si rifiuta di arrendersi e decide di fare come quella di Giorgio: si esce prima dagli spogliatoi, c’è una partita da vincere e aspettare non serve.
Così, nel giorno di Giorgio e con la maglia di Giuliano, ci pensa Miro a chiudere il cerchio: il più grande attaccante della storia dei mondiali di calcio, che nel 1986 era appena un bambino e non può ricordare l’angoscia di un popolo che si trasforma in gioia infinita per un gol alla Lanerossi Vicenza, pronti via e invita Parolo a pareggiare, prima che i più distratti si rendano conto che la partita è ricominciata, poi mette la palla nell’unico punto in cui il portiere può toccarla: in fondo al sacco.
Nella notte speciale non può mancare il sangue di Marchetti, colpito in testa da uno che non a caso ha militato nella roma, come non mancherà poi il delirio di un altro ex rivale, che non ci sta a perdere e che reagisce coprendosi di ridicolo, come un tacchino che prova a rivaleggiare nel volo con un aquila.
La Lazio vince, e c’è spazio per il trionfo, con Parolo che ancora una volta fa urlare la Nord, lo stadio, oggi bellissimo perché sente che è una notte di quelle speciali.
Ma siamo la Lazio, c’è un folle che scrive la nostra Storia, e l’urlo si unisce a quello di dolore di Djordjevic, che impedisce l’esultanza, che stringe di nuovo i cuori.
È solo un attimo, ché il laziale sa che niente sarà facile e tutto sarà bellissimo, sa che non si può volare senza guardare avanti: non c’è tempo di piangere, perché un folle sta scrivendo la storia di Danilo, alla prima da titolare con la maglietta che non può neanche ricordare, e quella è una storia ancora tutta da leggere.
E il ricordo va ad altri ragazzi, ad un altro stadio, ad un altro calcio.
Con la stessa maglietta, la stessa Lazio, e lo stesso orgoglio di quel popolo che si è rifiutato di morire.