Per tirare le fila dell'interessante dibattito che si è sviluppato nelle ultime pagine, propongo un'interessante intervista a Ralf Rangnick che - credo proprio - dica tutto: centrando il cuore del problema posto da ranocchio, Leastsquares, ElRifle e tanti altri.
Il punto è che il calcio (post)moderno ha assolutizzato ciò che questo sport - che è qualcosa di più di un semplice gioco - è sempre stato: ovvero un'industria, dunque legata a doppio filo con il mondo degli affari, il cui vestito della finanziarizzazione (ormai assoluta, secondo il canone geopolitico e geoconomico ancora dominante, quello anglo-americano) è solamente l'ultimo di una serie di abiti economici storici: dai profitti agro-industriali del del Casale, passando per quelli legati alle automobili di Torino per la Juve, sino alla fortuna dell'impero mediatico-pop di Berlusconi che ha fatto ricco il Milan; adesso, tutto quanto si tiene assieme nella ragnatela del capitale finanziario globale tessuta da banche e fondi d'investimento più o meno pirateschi (con la partecipazione interessata e ipocrita degli Stati, che poi piangono, ma non si sa bene perchè).
In un contesto in cui lo spazio della competizione e della concorrenza sportiva ed economica si ampia sempre di più - per la diffusione delle conoscenze e delle risorse su scala nazionale, europea e globale: l'industria calcio è simbolo di tale processo - la spinta all'efficientamento dell'organizzazione e delle strategie aziendali per sopravvivere nella giungla del (calcio)mercato è fortissima e diventa di fatto un passaggio obbligato, se si desidera tirare a campare con dignità, se proprio non si può essere vincenti. Riduzione del margine di errore e efficientamento organizzativo sono imperativi per tutti i settori aziendali: tecnico-tattico (nel solco della tradizione di una rinnovata scuola del calcio all'italiana, per me); calciomercato; giovanili; commerciale; comunicazione; etc.
Insomma: scandagliare il mercato globale con uno strutturato staff di collaboratori, che magari confermano o smentiscono le tue intuizioni è una cosa - farlo da solo, è un'altra; pagare bene un corposo staff di collaboratori per le giovanili è una cosa - assumerli part-time, è un'altra, etc,
Questo, ovviamente, non esclude nè le eccezioni che confermano la regola, nè tantomeno vie "alternative" allo sviluppo; purchè, però, con questo sviluppo si faccia seriamente i conti e non finta di niente (per una critica del concetto di sviluppo oppure del calcio dell'ultracapitalismo, naturalmente, non è questo il luogo).
Fatta questa premessa - un pipp*ne insopportabile che molti odieranno solo a vederlo e nemmeno leggeranno: fanno bene, hanno tutta la mia comprensione - ecco le parole del sacchiano Rangnick, che rispetto prima come dirigente che come allenatore:
https://www.gazzetta.it/Calcio/Europa-League/30-09-2021/rangnick-senza-panchina-riparte-lokomotiv-mosca-4201536096614.shtml"In molti mi chiamano per capire il modello Lipsia - ha spiegato Rangnick la scorsa primavera -, per questo mi sono convinto. Sarò una sorta di mentore". Lui e Kornetka vogliono sviluppare carriere di giocatori, allenatori e direttori sportivi. E società, ovviamente. L’obiettivo dell’agenzia è quello di fare club building, di consentire alle società di strutturarsi nella maniera adeguata in tutti i settori possibili. Sia chiaro: in tutti i settori possibili. Seguendo la teoria dei guadagni marginali di Sir Dave Brailsford. Migliorando dell’1% in ogni settore, l’incremento totale ottenuto sarà significativo. E in pochi mesi Rangnick, partito dall’analisi dello status quo, ha seminato ogni angolo del club: area tecnica, medica, scouting, video-analisi, costruzione della rosa. Tutto. Non che sia esperto di tutto, ma si circonda di persone fidate e con know-how per ottenere quell’1% (o più...) di miglioramento. Ovunque.(...)Un esempio? La Lokomotiv Mosca non aveva un reparto scout. Questo perché negli ultimi anni il mercato è stato fatto affidandosi ai procuratori. Non c’era la mentalità di cercare giocatori coerenti col progetto tecnico. Se arrivava la segnalazione di un giocatore sufficientemente di qualità, lo si trattava. La ricerca non era attiva, ma passiva. Rangnick ha quindi consigliato al club Christian Möckel, uno scout con cui aveva lavorato all’Hoffenheim e che ora è alle dipendenze della Lokomotiv (...).Va da sè, naturalmente, che
l'1% (oltre alla parte sportiva: che sia un post in inglese su Facebook, una minchiata su Tik-Tok o la miracolosa moltiplicazione dei pani e dei pesci commerciali favorita dalla valorizzazione del mitico
brend) non fa gol, non fa arrivare quarti e non fa vincere le coppe; così come ci sono dei limiti strutturali di crescita, per un'azienda, riconducibili alla possibilità di espandere i propri ricavi dovuti a vincoli a sè stanti o riconducibili al proprio mercato di riferimento.
Tuttavia, tra lo gestire uno baraccone di
magnager fannulloni (anche loro, oltre ai dipendenti) e un'ufficio con cinque impiegati c'è un altro equilibrio possibile - a patto di avere l'intuito di scegliere gli uomini giusti a ogni livello: perchè è questo alla fine ciò che conta davvero - e tale strategia potrebbe poi riflettersi in positivo nella generazione di nuovi ricavi, da reinvestire a sua volta, per crescere ancora. Ciòalla fine costituisce - nel materialista calcio ultracapitalistico di oggi (alla faccia del materialismo dei comunisti...) - la cosa più importante di tutte, ancor più delle coppe vinte, che tanto alla fine vincono quasi sempre gli stessi.