Proviamo a vederla da un'altra angolazione.
Al derby, domenica, si è fatta una conta. I presenti erano quelli che comunque ci vanno. Quelli che non si curano di tutta la sovrastruttura, che hanno un certo tipo di rapporto con la propria passione, che ci devono comunque essere, indesiderati e appena sopportati. Parlo anche di quelli di là. Erano di più perché giocavano in casa, e gli abbonati, alla fine, contano. A parti invertite, credo, le proporzioni non sarebbero state poi tanto differenti.
Io ho avvertito un enorme afflato di fratellanza perché chi c'era la pensava esattamente come me, nel rapporto tra un tifoso e la propria squadra. Fatta la conta, però, è uscito fuori che siamo un'assoluta minoranza. Gli altri, tutti gli altri, hanno motivazioni e spinte differenti per assistere ad una partita. Il fatto che fosse un derby ha amplificato enormemente la visione. Una grande cartina di tornasole.
C'è chi non è venuto perché ritiene che le misure di repressive non gli facciano esprimere il proprio rapporto come vorrebbe. Chi ha avuto paura, chi non si vede niente, chi i soldi a quelli là non glieli do' (ne conosco più di uno), chi non gli regge la pompa al derby. Tutte queste motivazioni, tutte insieme per una volta, hanno prodotto la desolazione di domenica.
Come se ne esce? Ma - più che altro - se ne esce? Per uscirne qualcuno dovrebbe fare un passo indietro, ma sembra di essersi ormai incamminati in un tunnel, alla cui uscita avremo uno stadio perfettamente vuoto. Uno stadio scomodo, sgradevole, dove la sensazione non è quella di sentirti a casa tua, ma a casa di qualcun altro, che quando suoni e ti apre la porta ti fa, ah sei venuto? Non ti aspettavo, ma entra pure, ormai hai fatto questa strada, mettiti da una parte ma non fare troppo rumore, che disturbi i vicini. E l'imbarazzo regna sovrano.
All'Olimpico si è sempre visto di schifo, quando c'erano i gradoni sotto la curva e ti capitava di arrivare tardi la visuale era di un gruppo di teste schiacciate (se non pioveva, altrimenti erano le gronde degli ombrelli del vicino), e la partita manco la immaginavi se non in occasionali boati dei fortunati che potevano vedere qualcosa. Io, piccolino, me la sentivo al più alla radiolina. E lo stadio non è che fosse sempre pieno, ma non era un problema, non è che si facesse ad ogni partita la conta su chi c'era e chi non c'era. I delinquenti c'erano allora come ora, la politica c'era allora come ora. E allora, cosa è cambiato ad alterare così macroscopicamente il rapporto tra un tifoso e la propria squadra? Per conto mio, nulla, ma io sono strano. Mettetevi nei panni di un tifoso tiepido e occasionale.
Vuoi andare alla partita? Ecco lo scenario che ti propongo. Prima di tutto, ti intralcio nell'acquisto del biglietto. Dev'essere scomodo, lo devi decidere in anticipo, sia mai che vuoi andare all'ultimo momento, devi avere un documento, non puoi prendere i biglietti per altre persone. Se vuoi andare in trasferta, ci sono procedure simili all'ottenimento di un visto per l'URSS negli anni 70. Poi, devi fare la fila. E spendere un sacco di soldi.
Sono un pazzo, ho il tagliando in mano. Vado, parcheggio e mi vedo la partita. See, lallero. I parcheggi sono un miraggio. Devi andare con anticipo esagerato, che al confronto andare a Fiumicino per un volo intercontinentale è una passeggiata. Vabbè, vado prima, è una bella giornata. Arrivo all'obelisco, tra due ali di celerini annoiati ed incazzati, prima coda. Controllano i biglietti, poi una fila di steward ti palpa, più approfonditamente o meno a seconda delle disposizioni. Passato lo steward, c'è una fila di poliziotti. Abbassi la testa con fare colpevole, perché miracolosamente hai salvato l'accendino. In alcuni casi, te la cavi. Un'altra passeggiata, e ti trovi al Checkpoint Charlie. Altra coda interminabile, i tornelli, altri steward che ti ricontrollano, visto mai ti sei fatto passare da fuori oggetti contundenti, altra fila di poliziotti.
Ti è andata bene, tiri fuori il panino e ti accorgi che manca l'acqua. Le fontanelle, che un tempo ti assistevano, ora sono al Louvre come reperti archeologici. L'acqua la devi acquistare, e il suo prezzo segue le fluttuazioni dell'oro. Non sia mai tu debba andare in bagno, che al confronto quelli dell'autogrill sulla Salerno-Reggio Calabria sono la hall dell'Hilton. E il caffé, quella brodaglia catramosa servita in bicchierini di plastica ha mietuto più vittime della Peste Nera.
Finalmente, sali le fatidiche scale e ti rechi nella tua posizione, da cui non vedi nulla ma dalla quale, secondo rumors, non ti dovresti allontanare, neppure per un salto alla toilette, mentre dietro alla porta opposta cartelloni pubblicitari di colori sgargianti scorrono in continuazione impedendoti di capire cosa avviene in quell'area. C'è gente che la partita se la vede sul tablet e te la racconta, per fortuna.
Tutto questo c'è sempre stato, i disagi sono atavici. Ora però è chiaro che alle carenze infrastrutturali si aggiunge una strategia ben chiara. E che il tifoso "tiepido", lungi dall'essere il target di una campagna di marketing, non sia altro che un impiccio. Tra l'altro, la società, che avrebbe interesse ad attrarre il tifoso, da un lato non sembra così interessata, dall'altro può poco, visto che i disagi sono provocati da soggetti terzi che remano in senso contrario. Tutto congiura ad avvalorare la tua sensazione di essere un ospite non gradito. Lo Stato ti permette di andare allo stadio ma non vorrebbe, così come puoi acquistare le sigarette ma sul pacchetto ci sono avvertimenti spaventosi sui rischi di fumare.
Cosa ci aspetta per il futuro? Loro (quelli della curva) continueranno la loro protesta. Di cui non condivido assolutamente le modalità, ma non è che ho una soluzione pronta nel cassetto. Mentre fino a poco tempo fa immaginavo una sorta di ricambio fisico all'interno della curva, il derby mi ha scosso. Sarà questo lo scenario futuro? Il silenzio fa paura. C'è chi si frega le mani, burocrati ottusi che nulla capiscono di calcio, delle sue motivazioni, del rapporto mesmerico tra un tifoso e la propria squadra, gente che militarizzerebbe un'aula delle elementari per evitare che gli alunni attacchino le caccole sotto il banco.
Che pena, comunque, che tristezza. Avessimo vinto, almeno...