(...)
E poi volevo dire tante altre cose, ne scelgo una ed è un pensiero per Cartesio (non il matematico): mi piace molto la sua pacatezza, il libro che ha citato lo consiglio anch'io.
anche se non condivido in larga parte le idee contenute in questo post, ne condivido lo spirito, quello di chi vuole comunque confrontarsi e capire, insieme agli altri.
Domenica dopo il goal del Palermo in Monte Mario è cominciato un vasto movimento di (quella poca) gente che si dirigeva verso l'uscita. Era soltanto il primo tempo e non riuscivo a capire al punto che pensai all'allarme terrorimo. Guardando meglio ho notato un signore in basso con una radiolina, presumibilmente un funzionario di ps, che allontanava un gruppo di persone che erano sedute vicino la Tribuna autorità. Ho immaginato che fosse un'azione preventiva di allontanamento oppure che qualcuno avesse cominciato a inveire contro la tribuna autorità dopo il gol del vantaggio palermitano.
Ecco, ad gni stormir di fronde si scatenano queste reazioni invero eccessive, quanto meno nell'opportunità. Eppure a ben guardare il ruolino di marcia della squadra, soprattutto negli ultimi 5 anni, non è così negativo, ma il fenomeno riemerge carsicamente nei momenti di difficoltà: contestazione feroce e richiesta di cambio societario. Non è così frequente nel mondo del calcio dove in momenti di difficotà si chiede al massimo il cambio di un allenatore o magari qualche acquisto. Niente. Allora siamo davanti a un personaggio divisivo, duole dirlo.
Bisognerebbe risalire allora a quanto accaduto di particolare 15 anni fa per cambiare l'antropologia del laziale così in profondità. All'epoca vincemmo uno scudetto, se non ricordo male, il che ci ha fatto cambiare al punto tale che ormai si pretende sempre il massimo. Vero, ma fino a un certo punto.
In realtà, la pretesa del successo non è sostenibile da nessuno, tanto è vero che anche anni prima un presdiente come Cragnotti doveva fronteggiare una contestazione a colpi di "abbiamo vinto quacche cosa? niente!" ceh faceva il verso a un comico della televisione. Eravamo a metà anni 90, in piena zemanladia, una bella squadra, bel calcio, tanti gol, ma vittorie finali poche. Eravamo appena tornati da poco ai massimi livelli e lo scudetto era solo quello del 1974, ormai un pochino sbiadito. Eppure si contestava a colpi di "vogliamo vincere".
Allora è forse il caso di pensare che il probelma non è né Lotito, né Cragnotti, ma la capacità di una società di interpretare al meglio la sfida del tifoso, una sfida che ha sempre alterne fortune (nessuno di noi invidia i milanisti in questo preciso momento), ma che ci si aspetta sia giocata sempre ai massimi livelli. E Lotito questo non lo fa e non lo vuole fare: tre o quattro indizi sono più che una prova. Questo indispettisce e crea veleno in un ambiente già di sé ben predisposto a divisioni e lacerazioni, cifra costante del microcosmo laziale.