Scusate la lunghezza, io scrivo di rado.
L'ho sempre pensato, e l'ho scritto mille volte, la Lazio nella mia vita è stata ed è la cosa più importante delle cose meno importanti.
Perché la vita, la mia come quella di tutti, è fatta di mille e mille accadimenti, vicende, storie, scelte e decisioni di fronte alle quali il gioco, lo sport, la Lazio, il divertimento, le distrazioni, persino i sogni e le altre piccole cose leggere delle giornata, scompaiono. Si ridimensionano, ritornano nel loro alveo di marginalità. Sublime, a volte appagante, a volte appassionante, ma marginalità. Perché altre sono le cose che segnano, che demarcano l'esistenza di ognuno di noi.
La Lazio mi accompagna, comunque. Mi cammina accanto, ogni tanto mi volto e la ritrovo, splendida e per me affascinante come sempre, del resto esiste e c'è da infiniti anni prima che io nascessi... da Piola a Vito D'Amato, da Paolone Carosi a Mudingayi, a Veron, Biglia, Laudrup, Frustalupi, Zoff, Foggia, Acerbis, Mannocci, Marchetti, Crecco.
Non penso di essere il solo capace di viverla così, con passione (tanta) e distacco. Qui dentro ne ho trovati a decine... gente capace come me di passare la notte con gli occhi sbarrati al soffitto dopo Tenerife, o di guardare con il groppo alla gola la figlia di Giuliano Fiorini, o piangere con Velia che canta dentro lo Stadio "su c'è Ardarello che ce sta a guarda'..."
Ma anche capace di ragionare, di restare svegli, vigili sempre. Lucidi quasi a rasentare il disincanto.
A noi non ci è stato regalato mai niente. Quel (poco? tanto?) che abbiamo conquistato sul campo, solitamente l'abbiamo pagato molto caro. In termini di sofferenza, sia prima che dopo, di rabbia, di aggressioni e di pressioni ingiustificate e ingiustificabili. Se non addirittura di morti. Da Vincenzo a Gabriele, passando per Maestrelli, Luciano, Bob Lovati, Giorgio e quanti altri che oggi risiedono nella nostra memoria madre.
Non mi ritrovo più, non capisco. Succedono cose che attorno alla Lazio e al resto che non comprendo.
Me lo ripeto spesso, inutilmente: ma non è così importante, pensa alle cose serie!
Ma non posso, io tendo a cercare spiegazioni logiche e razionali per tutto. Cerco di risalire alle fonti, cerco di ricostruire qualsiasi vicenda, per quello che posso, per come posso. Dall'11 Settembre a Luana Englaro, dai Viet-Cong ai barconi del Mediterraneo, dalla mafia alla Lega, da JFK a Pier Paolo Pasolini. Mi ci impegno, leggo, cerco, mi informo, consulto. Mi lascio guidare, spesso, da menti più alte della mia, che seguo, condivido.
Sono stato un fedele e convinto lettore di La Repubblica (ma anche de La Stampa, saltuariamente del Corriere della Sera, anni fa persino del Messaggero) per oltre venticinque anni. Il quotidiano lo compravo tutti i giorni, me lo leggevo la sera, spesso me lo spizzavo ancora la mattina dopo. Non tutto, non avevo bisogno della cronaca, delle notizie, per quelle mille altre fonti riescono ad aggiornarti in tempo quasi reale. Avevo bisogno di approfondire, di capire e allora certi pezzi, specifici, particolari, profondi, mi servivano. Mi illuminavano, squarciavano i miei dubbi e mi davano la possibilità di trovare una chiave di lettura diversa, laterale, a mille singoli fatti.
Ho smesso, drasticamente di comprare prima e definitivamente di leggere poi, La Repubblica da circa tre anni.
E di conseguenza, per traslazione, ho smesso di leggere qualsiasi altro giornale. All'inizio ne ho un po' sofferto. Poi mi sono abituato, uno se vuole, da leggere e da informarsi e da approfondire lo trova lo stesso. Mille altri mezzi di comunicazione esistono, persino per uno un poco "oldish" come sono io...
Fatti miei direte, giustamente.
Il dubbio più grande, più terribile, che mi ha portato a vergognarmi per non essermene accorto prima e a rinnegare quasi i miei anni precedenti quando pedissequamente seguivo quell'abitudine della lettura del quotidiano, è sorto attorno alla vicenda Stefano Mauri-Procura di Cremona (ma non solo…). L’accanimento inspiegabile della Repubblica, specioso, continuo, aggressivo. Inusuale, ottuso, cattivissimo (qualcuno ha fatto addirittura il nome di Enzo Tortora). Vabbè la storia la conosciamo fin troppo bene.
Questa ultima vicenda di Iodice, della telefonata carpita e tenuta nel cassetto per settimane, e fatta deflagrare a comando, pubblicandola proprio sul sito di La Repubblica, mi ha davvero disturbato. Mi ha offeso, mi ha schifato. Non nel merito della questione, su quello ci sono decine e decine di thread che ne sviscerano i significati, se ne potrebbe parlare e se ne parlerà ancora a lungo.
No, nel metodo.
Osceno, subdolo, perfido, brutto, di stampo inequivocabilmente para-mafioso.
Sono schifato e rattristato. So, ho piena coscienza del degrado inarrestabile di questo Paese, della reale struttura sociale e culturale di questo Paese allo sfacelo. Lo so, anche se non lo sopporto, non l’accetto.
Ma mi sento, personalmente inculato. Io, personalmente preso in giro per anni, fregato e contento, da “compagni di viaggio” falsi, e cattivi maestri. Ai quali, gli uni e gli altri, di me e del mio interesse, della mia passione e della mia partecipazione (l’acquisto e la lettura del giornale), non fregava una grandiosa ceppa. Io ero, semplicemente un numero in più, una copia tirata e venduta in più. Chi mi dice oggi, chi mi garantisce che quelle loro furiose e convinte battaglie stampa del passato, combattute con “la forza della penna contro la forza delle armi” (Cit.), belle, vibranti, coinvolgenti, alle quali io ho spesso aderito con spontanea convinzione, anzi addirittura con spavalda partecipazione, non fossero che mere operazioni free-lance? lavori mercenari, con un committente più o meno oscuro, più o meno consapevole, che comunque ordinava? Chi mi dice che le evidenti “Linee Editoriali” di volta in volta assunte e portate avanti pervicacemente e con forza a volte inaudita (come ad esempio, questa chiarissima di oggi de La Repubblica anti-Claudio Lotito), non fossero studiate, concordate, imposte e programmate con scientifica pianificazione, prima?
E sempre, ripeto, con un committente, un Cliente, un “utilizzatore finale”, da soddisfare, da blandire, da ossequiare, da appoggiare, da leccare.
Ecco, per non essermene accorto prima, mi sento spudoratamente inculato, adesso. E il fatto di esser certo che io sono uno che quando chiudo chiudo, chiudo per sempre, non mi consola.