Credo sia sotto gli occhi di tutti che l'andamento della stagione sia stato segnato dall'esplosione e dal conseguente sgretolamento del gruppo.
Cosa che per me è stata sorprendente, perché l'anno scorso mi sembrava che, al contrario, il gruppo fosse un punto di forza. Ma, evidentemente, dal di fuori è sempre complicato capire le dinamiche di una squadra.
Fatto sta che sin da agosto ci sono state situazioni incomprensibili (le gestione, da parte di tutti gli interessati, della questione fascia è stata grottesca), sono cominciati ad uscire spifferi di qualunque tipo (che purtroppo spesso si sono rivelati fondati) e, soprattutto, la squadra in campo si è rivelata sfilacciata e priva di organizzazione. Esattamente l'opposto di quella vista sino a qualche settimana prima.
In ogni partita, al primo evento negativo tutti perdevano la bussola, cominciavano a giocare da soli e, all'errore del compagno, invece di cercare di rimediare, allargavano le mani con rassegnazione (ovviamente chi più, chi meno).
Certamente, e mi dispiace dirlo perché alla persona rimango affezionato, questo è imputabile a responsabilità del tecnico: o non ha compreso per tempo cosa stava accadendo, o non è riuscito a gestirlo (notizie di riporto, mi dicono che lui stesso abbia in certo modo ammesso la seconda).
Ma, secondo me, pone un problema organizzativo più ampio, ossia l'esistenza, in società, di una figura dotata dell'autorità necessaria a gestire i giocatori ed a mettere l'allenatore al riparo da agguati vari. Lo definirei un direttore generale che, quale rappresentante/plenipotenziario della proprietà, si imponga sul gruppo e non lasci alibi (o peggio) a chi, di volta in volta, sia scontento, deluso, montato, ecc.
Del resto, appena iniziano le difficoltà, se la società non protegge efficacemente le spalle dell'allenatore, questo cade facilmente preda degli agguati di questo o quello scontento.
Non credo che un simile ruolo possa essere ricoperto da Tare per evidenti limiti caratteriali. Né, per tante intuibili ragioni, dallo stesso Lotito.
Non è, a mio avviso, neppure necessario che sia un laziale di lunga data.
Quel che occorre, invece, è che si tratti di una persona che stia a contatto con il gruppo, sia capace di annusare, prima tutti, le sue dinamiche ed abbia il carisma e l'autorità sufficienti affinchè i giocatori (che inevitabilmente, e direi umanamente, hanno il vizio di approfittarsene), al momento giusto, siano messi nelle condizioni di non deragliare.
Del resto, al netto delle importanti differenze tecniche dei singoli, credo che (anche) questa sia la differenza che ha fatto sì che, tra due squadre ugualmente allo sbando ad ottobre, una invertisse la rotta e vincesse lo scudetto e l'altra, invece, affogasse mestamente nelle sue isterie.
Ora, io non credo sia impossibile trovare, sulla piazza, una persona che risponda al profilo tracciato né che occorra svenarsi.
Questo, peraltro, consentirebbe a Tare di continuare a fare quello che sa fare meglio, ossia il direttore sportivo.
Chi sa che, nel parlare di rifondazione, la società non pensi anche a tale profilo.