A me questa foto piace particolarmente.
Mi ricorda molto i miei inizi da Laziale.
A casa mia, ad Avellino, madre e padre erano totalmente astemi di calcio, beati loro.
Mio padre da ragazzino aveva una leggerissima simpatia per il Cagliari di Gigi Riva e mamma una cotta adolescenziale per il Mazzola interista.
I veri tifosi di calcio erano i miei due zii, fratelli di papà, tifosi dell’Avellino calcio. Quell’Avellino che ai tempi (1978-1988) stabilì il record di anni consecutivi di permanenza per una provinciale in serie A.
Quando io giunsi all’età della fatidica scelta, però, entrambi erano in contrasto con la società e non andavano più allo stadio nonostante le mie crescenti insistenze.
Per tenermi buono mi regalarono i miei primi pacchetti di figurine.
E lì la trovai.
L’aquila dorata che campeggiava sullo scudo biancoceleste.
Ricordo il momento ma non l’anno, credo fosse il 1992 o il 1993.
Ricordo il momento perché pensai che fosse davvero bellissima. E questa fu la prima volta che sospettai di essere Laziale.
I pomeriggi delle domeniche in provincia, prima di Stream e Tele+, si passavano attaccati alle radioline e così, sentendo il calcio per radio, c’era un nome che ritornava sempre. “Signori, ha segnato Signori”. Sempre lui, oh!
E questa fu la prima volta che seppi di esserlo, perché mi ricordo che mi ritrovai ad esultare in una delle tante volte che lo speaker annunciava il gol di Signori. Sempre lui, oh!
Ora non restava che suggellare per sempre questa scoperta. Chiesi al mio padrino di battesimo un regalo, avevo sempre tra i 5 o 6 anni, volevo da lui una maglia celeste nel caso fosse andato a Roma per lavoro, perché da noi non le vendevano. Lui me la comprò ed ero tanto contento da andarci a scuola. A dire la verità la mettevo pure sotto al cuscino prima di andare a dormire.
Errore madornale. Ero davvero l’unico Laziale, ma non in classe, nell’istituto e pure quelli appresso, tutti tifavano, in percentuali diverse: Juve, Milan, Inter, qualche temerario Napoli, Avellino, c’era pure qualche romanista qui e lì. Stop.
Ricordo bruttissimi incontri post partita anche se, alla fine, si consumò la mia vittoria definitiva. Accadde il miracolo: la Lazio sarebbe venuta a giocare ad Avellino (che oramai militava in serie C).
La Lazio, non le altre.
28 agosto 1996, sedicesimi Coppa Italia, stadio Partenio.
Mio zio, stavolta, non fece fatto resistenze per portarmi allo stadio. Anzi, era contento, ed in un certo senso inorgoglito che, se proprio non tifavo la squadra cittadina, almeno avevo fatto una scelta inusuale. Mi regalò uno zaino della Lazio e con zainetto e maglia celesti mi avviai allo stadio. In Curva Sud.
Mi guardavano quasi fossi un alieno e quando Casiraghi segnò, se qualcuno avesse avuto una macchina fotografica per inquadrarmi, ora avrei avuto la stessa immagine del piccolo Giacomo: Io in piedi che esulto con la maglia della Lazio, mio zio che fa il vago e le occhiate dei vicini.
E quando i vicini, vecchi compagni di tifo di mio zio, gli chiedevano che diavolo ci facessi con una maglia celeste addosso, lui rispondeva scrollando le spalle “ E che vuò fa?”. Poi mi faceva l’occhiolino.
Zio purtroppo non c’è più, la maglia celeste sì.
Quando ho visto Giacomo mi sono ricordato tutto, quindi forza Giacomino, spero tu possa festeggiare anche uno Scudetto in faccia a tutta la scuola come è successo a me, ma è un’altra storia.