Lo scoramento del tifoso laziale dotato di pollice opponibile è causato da diversi fattori, alcuni legati alla piega che sta prendendo il calcio in generale, altri alla gestione mafiosa della Serie A, altri ancora ad una tifoseria organizzata che non perde occasione per reincollare l'etichetta nazifascista al simbolo della Lazio appena un angolino inizia a staccarsi, altri ad una presidenza che garantisce da vent'anni risultati discreti, ma ripetitivi fino all'ossessività, senza la minima speranza di poter avvicinare le squadre di testa, che a differenza della Lazio spendono e spandono, indebitandosi senza conseguenze, almeno per ora.
Ci metto sopra una comunicazione pietosa, il compiacimento di Lotito nell'andare sulle palle a tutti, tifosi per primi, e il confronto con quella merda dal colore mestruopiscio con cui condividiamo la città, che mi fa schifo ancestralmente in quanto tale e mi fa sempre più schifo giorno per giorno, ma che è impossibile ignorare, perché il suo tanfo arriva da tutte le parti.
Ho vissuto la retrocessione del 1985, il campionato di B successivo con Simoni in panchina, il biennio di Fascetti: si soffriva tanto, ma c'era spazio per l'immaginazione: seguivamo la Lazio la domenica, allo stadio o alla radio, guardavamo il servizio di Novantesimo minuto, di un paio di minuti scarsi quando eravamo in A, di pochi secondi quando eravamo in B, leggevamo il Corriere dello Sport lunedì mattina e poi vivevamo la Lazio nella nostra testa per sei giorni, giocando a Subbuteo, guardando le figurine, scorrendo le pagine dell'Almanacco Panini. Adesso è un bombardamento continuo, tra partite ogni tre giorni, a un ritmo che la Lazio di Lotito non regge, commenti prezzolati h24 sulle radio, nazifasci che impazzano su tutti i social. La gestione Lotito è per molti versi insopportabile, ma la nausea, almeno la mia, è molto più generale.