Gazzetta+ - Lo scudetto ipotecato dal Genoa. Dopo 99 anni la Lazio lo reclama
Il campionato fu interrotto dalla Prima Guerra Mondiale e assegnato ai rossoblù dopo il conflitto. I biancocelesti protestano: gli unici già certi della finale eravamo noiGiuseppe Pastore - 22 febbraiohttps://www.gazzetta.it/Calcio/Serie-A/Genoa/21-02-2020/scudetto-ipotecato-genoa-99-anni-lazio-reclama-3601130199715.shtml
Tutto gira intorno ai tavoli di un ristorante, il “Francia”. Lì, la sera di domenica 11 dicembre 1921, si tiene una cena di premiazione organizzata dalla Gazzetta dello Sport, all’epoca organo ufficiale della Figc per l’Italia settentrionale: ospite d’onore il Genoa, ufficialmente insignito del titolo di campione d’Italia 1914-1915.
Bene, da quasi cent’anni questa cena è uno degli assi nella manica del Genoa, campione d’Italia 1915 in circostanze avvolte nella nebbia dopo una finale-scudetto mai disputata e neanche mai raggiunta. Ma è anche una delle maggiori contestazioni della Lazio, unica squadra già qualificata in finale prima della sospensione.
I fatti— Il campionato 1914-1915, non ancora a girone unico, viene disputato quando in Europa già volteggiano i veleni della Prima Guerra Mondiale, scatenata nel giugno precedente dall’assassinio a Sarajevo dell’Arciduca Francesco Ferdinando d’Austria. Lo scudetto verrebbe assegnato intorno a metà giugno alla vincitrice della finale tra le vincitrici del Girone dell’Alta Italia e del Girone del Centro-Sud (nome che verrà a sua volta deciso da uno spareggio tra la vincitrice del Centro e la vincitrice del Sud). Ma domenica 23 maggio 1915 il Duca Giuseppe Avarna di Gualtieri, nostro ambasciatore a Vienna, consegna all’Impero Austro-Ungarico la dichiarazione che sancisce l’ingresso dell’Italia in guerra al fianco della Triplice Intesa e nelle stesse ore la Figc dichiara la sospensione del campionato di Prima Categoria con effetto immediato per le classiche “cause di forza maggiore”. Tutto congelato, e mai più recuperato.
23 maggio 1915— Per tre anni abbiamo tutti purtroppo altro a cui pensare, ma il dibattito si riaccende dopo la guerra, quando il calcio italiano vive mesi di grande caos. Come dicevano gli avvocati di una volta, il “busillis” riguarda il fatidico 23 maggio 1915, quand’è in calendario l’ultima giornata del Girone finale dell’Alta Italia con i giochi ancora apertissimi. È infatti in programma Genoa-Torino e, se il Torino vincesse, supererebbe il Genoa in testa alla classifica per differenza reti: ipotesi non proprio remota, visto che il 2 maggio il Torino ha vinto 6-1 in casa. E ha qualche piccolissima chance persino l’Inter, che dovrebbe sommergere di gol il Milan per sperare nella differenza reti. Altrettanto complicata la situazione del Centro-Sud: la Lazio ha già aritmeticamente vinto il proprio girone, ma attende il nome della finalista del Sud, una tra Naples e Internazionale Napoli, che a loro volta devono ancora disputare la “bella” per andare in finale… Insomma, su tre gironi diversi c’è solo una vincitrice chiara e quella è la Lazio. Non certamente il Genoa, che sarebbe stato largamente favorito nell’eventuale finale contro i biancocelesti, ma al momento non era nemmeno sicuro di andarci, in finale…
Scissione— Come si arriva, allora, ad assegnare il titolo al Genoa? Ci dà una mano il grande caos in cima alla Figc nei primi anni Venti, quando si verifica addirittura una scissione tra la Federazione e un gruppo molto nutrito di società riottose capeggiate dalla Pro Vercelli del presidente Bozino, che si auto-definiscono Cci (Confederazione Calcistica Italiana) e rappresentano il meglio del calcio italiano dell’epoca: i due organismi si daranno italianamente battaglia a colpi di riforme e regolamenti per un annetto, mentre la Figc organizzerà un campionato privo di senso dal puro valore statistico (vinto dalla Novese) prima di scegliere la strada dei tarallucci e vino nel 1922. Torniamo a noi: l’opera meritoria di Emilio Colombo, direttore della Gazzetta dello Sport, consente di riunire le due parti, che approdano all’accordo siglato a Brusnengo (Milano) il 7 dicembre 1921, preambolo alla definitiva riconciliazione dell’estate successiva.
L’ex presidente genoano (1904-1909) Edoardo Pasteur succede a Bozino come capo della CCI: il cambio della guardia avviene nelle stesse settimane in cui è organizzata quella cena al Restaurant Francia in cui, tra le altre cose, è prevista la consegna di alcune medaglie ai calciatori sopravvissuti alla Prima Guerra Mondiale (tra loro purtroppo non c’è Luigi Ferraris, ucciso da un proiettile d’artiglieria la mattina del 23 agosto 1915: la sua medaglia d’argento al valor militare è oggi sepolta sotto la Gradinata Nord dello stadio di Marassi).
Al momento della sospensione, il Genoa aveva inoltrato una signorile protesta, consapevole del momento delicato del Paese. Un comunicato ufficiale del club dichiarava che “non c’era alcuna necessità di imporre tale draconiano provvedimento, ma la società decide di soprassedere alle proteste cui avrebbe ricorso in tempi di vita normale”. Il motivo della protesta era chiaro: in quel momento i liguri erano i grandi favoriti del torneo e si sentivano il tricolore in tasca. Anzi, possiamo anche dire che l’attuale strategia difensiva del Grifone si fonda in gran parte su questa tesi, avvalorata peraltro da fior di documenti e riconoscimenti ufficiali. Per esempio una delibera della Figc del 9 maggio 1919 che proclama il Genoa campione, pur suscitando la protesta di Torino e Inter. All’epoca il calcio non è esattamente il primo pensiero del Paese, tanto che devono passare due anni prima di trovare un successivo riferimento a questa delibera, che compare peraltro su una rivista ufficiale del Genoa, “Genoa Club”, del settembre 1921. Oltre alla famosa serata del Restaurant Francia, il concetto viene più volte ribadito dalla Gazzetta e da altre riviste specializzate dal 1923 in poi. Nessuno della FIGC si è mai sentito in dovere di censurare o semplicemente correggere la cosa. Certo, la superiorità del Genoa non è minimamente in discussione, così come quella dell’intero calcio settentrionale sul resto del Paese. In quindici “finali scudetto” dal 1913 al 1921 si erano registrate quattordici vittorie della squadra del Nord e un solo pareggio. La stessa Lazio, due anni prima, aveva perso 6-0 contro la Pro Vercelli la “finale” di Genova; e l’anno dopo, in un doppio confronto con il Casale, aveva perso 2-0 a Roma e 7-1 in Piemonte.
Le ragioni della Lazio— La Lazio ragiona in punta di regolamento: com’è possibile assegnare unilateralmente uno scudetto a una squadra che, per quanto evidentemente più forte delle avversarie, non era ancora neanche aritmeticamente qualificata alla finale del campionato? C’è stata una pressione mediatica per indirizzare il dibattito sull’assegnazione del titolo 1915? A secco di scudetti dal 1904, il Genoa di quel periodo sembra distinguersi invece per una certa disinvoltura nell’interpretazione dei regolamenti. Nel 1913 aveva strappato al Milan il terzino sinistro Renzo De Vecchi, professione bancario, per lo sproposito di 24 mila lire, in un’epoca lo stipendio medio di un operaio andava dalle due alle tre lire al giorno, aggirando inoltre la regola che vietava il trasferimento di un giocatore da una città diversa, a meno che non ci fossero motivi di lavoro. Così il presidente Geo Davidson gli trova un impiego alla Banca Commerciale Italiana a Genova: eccoli, i motivi di lavoro. Oppure: sempre nel 1913 preleva dall’Andrea Doria gli attaccanti Enrico Sardi e Aristodemo Santamaria (per ovvi motivi soprannominato “Emilio”), staccando loro un assegno da 1.600 lire ciascuno. Così i due ragazzoni si presentano in una banca di via Roma per riscuotere: ma sfortunatamente per loro il cassiere è un socio dell’Andrea Doria, che li riconosce e riconosce anche la firma del presidente Davidson sull’assegno, segnalando l’episodio alla società. Da lì parte un esposto dell’Andrea Doria, dopo il quale i due giocatori verranno squalificati a vita per professionismo, salvo essere amnistiati un anno dopo. Non la passò liscia neanche il cassiere, licenziato in tronco per violazione del segreto bancario e costretto a trasferirsi a Roma, perché per lui l’aria in città si era fatta pesante…
99 anni dopo—
Insomma, il Genoa è disinvolto. Tanto disinvolto da orientare la “copertura mediatica” di quella cena al Restaurant Francia? Una cerimonia organizzata ad hoc dalla Figc per attirarsi le simpatie del presidente Pasteur, in vista della riconciliazione tra le “due federazioni”? Una cena di cui poi dà notizia semplicemente il mensile “Genoa Club”, di chiaro orientamento rossoblù, nel silenzio generale degli altri giornali. Può bastare questo per ipotecare in esclusiva uno scudetto per quasi un secolo? Spesso, quando i Comuni assegnano un proprio terreno “in concessione” a un ente privato, lo fanno per un periodo standard di 99 anni. Forse funziona così anche con certi scudetti, e il tempo è scaduto.