A un laziale pare che si possa sempre dire di tutto. È proprio questa la ghettizzazione della lazialità di cui ti parlavo in precedenza. Una minoranza impunita ha creato un pregiudizio. Non nascondo il problema, ci sono stati episodi molto gravi, ma insisto sul fatto che non tutti siamo uguali. La Lazio è nata prima di Mussolini, io stessa ne sono il simbolo prima che diventassi emblema di altro. La Lazio non ha cantori né aedi. Si alimenta della sua tormentata passione. Mangia se stessa. A volte si divora. La Lazio è la squadra dei lutti atroci: da Maestrelli a Re Cecconi, a Paparelli. La Lazio sperimenta come pochi altri mondi la sofferenza e come nessun altro però conosce l’arte del ritorno, della resurrezione. D’altra parte c’era il nostro presidente dell’epoca, Fortunato Ballerini, a sorreggere sul traguardo della maratona Dorando Pietri. Alessandro Piperno, lo scrittore, ha detto una frase che fotografa la maniera di sentirsi laziali, soprattutto la sola maniera di poter vivere la nostra passione calcistica in questa città spaccata. “L’orgoglio ha senso solo se coltivato privatamente. Se lo ostenti diventa triviale e insincero. Del resto, i veri libertini non vanno in giro a raccontare le loro scopate”. Vedi, Ciuccio, un laziale si riconosce dalle sfumature. La Lazio è come una giornata d’inverno a Roma. C’è il sole, ma fa freddo