Un altro colpo alle abitudini, ai rituali delle domeniche, al calcio che era.
Un regolamento che neanche in corea del nord avrebbero mai immaginato, il tutto per proteggere il mercato,e la cosa per quanto paradossale fa quasi ridere.
Dopo tornelli, TDT, Pay TV con partite in giorni e orari impensabili, ora colpiscono anche le radio private, sceme e dannose quanto volete, ma a mio avviso pur sempre parte della storia di molti tifosi.
Chi emana simili regolamenti, oltre a fregarsene del diritto di cronaca, ignora riti, passioni, tradizioni e luoghi di aggregazione del calcio. Chi prende decisioni così non è mai stato tifoso e non capendo nulla delle passioni che muovono da sempre il calcio finirà per ucciderlo.
Continuando così, presto ci proibiranno di aprire topic su partite in corso.
Forse è giunto il momento di inacazzarsi un po', come tifosi intendo.
Lascio il primo articolo che ho trovato in rete per chi non conoscesse le novità.
CORSERA (R. STRACCA) - Diritto di (radio)cronaca o tutela di chi compra i diritti? Salvaguardia di ascoltatori affezionati o valorizzazione di un prodotto come viene ormai considerata la partita di pallone? La questione non è marginale, italianamente procrastinata con chiusure di occhi (e orecchie) per lustri e, parzialmente annunciata, esplosa con la prima giornata di campionato. Bastava, sabato sera, fare un giro per l’emittenza radiofonica capitolina per rendersene conto. Tam-tam di messaggi accorati sulle varie onde medie: «Sto in macchina, ma la radiocronaca della partita non c'è?»; «Io abbasso l’audio della tv che non mi piace e sento sempre voi: e ora?» Motivo? Alcune radio romane, tra le più seguite, non hanno effettuato la classica radiocronaca, altre si sono limitate al diritto di cronaca: finestre di 3’ ogni 15’. Comunque, niente racconto integrale come accadeva nel passato.
Perché tutto è cambiato mentre per anni è rimasto com’era? Semplice: la rivoluzione nei diritti radio-televisivi (il ritorno alla vendita collettiva; oltre un miliardo nelle casse dei club, fonte primaria di ricavo per i ritardi negli stadi e nel merchandising, etc). Ne consegue, vista l’approvazione delle linee-guida e dei pacchetti, la competenza in materia non più della Lega calcio (le diffide mandate dagli avvocati di via Rosellini a chi sgarrava non frenavano) ma dell’Agcom (cui l’art. 5 del decreto legislativo n.9 del 9 gennaio 2008 affida «compiti relativi al diritto di cronaca e alla relativa vigilanza»). E un procedimento dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (anche se più lento nei tempi) mette più paura agli editori.
Le prime a farne le spese sono state le tv: stop alle dirette con telecamere sui «faccioni» in tribuna stampa. Poi è toccato alle radio (già qualche sanzione, però, nella passata stagione), con Roma, prova di un tentativo di mettere ordine dove c’era deregulation: la Rai, spiegano, paga (3,2 milioni di euro per il 2010-12) ed ha diritto alla salvaguardia dell’investimento per «Tutto il calcio minuto per minuto». Ma dall’emittenza radiofonica parte un sottile quesito giuridico: è il «diritto disponibile»? Un conto, dicono, sono le riprese video (qui viene fornito un servizio, da quest’anno prodotto dalla Lega stessa) o le interviste ad allenatori e giocatori (dove, infatti, ci sono delle scalette in base ai contratti), ma raccontare un evento pubblico può essere oggetto di vendita, commercializzazione, esclusiva, divieti e sanzioni? Per la Lega e le società evidentemente sì. Radio (e i loro devoti ascoltatori) rispondono (e sperano) di no. Una partita, forse, da giocare. Fuori dal campo.