Andare a vedere un incontro in trasferta ha un sapore particolare. Ti muovi in un ambiente estraneo, in una città diversa, sei cauto nel muoverti ma pieno di orgoglio perché anche là la tua squadra non è da sola. Mi ricordo trasferte oceaniche, a Pisa, a Como, ad Arezzo, invasioni belle e colorate, ma anche trasferte mimetizzate (io non mi sono mai aggregato agli ultras, me le sono sempre gustate da solo, come un Ferrero Rocher), a Udine, Foggia, Pescara, Catanzaro (no, non la famosa Catanzaro-Lazio che pare ci siano andati in centomila, un'oscura Catanzaro-Lazio nel 1977, quando la Lazio di Vinicio conquistò la UEFA all'ultima giornata e - di laziali - c'eravamo solo io e mio cugino), Torino, Bergamo, Firenze, Terni e quante me ne dimentico...
Ieri mi sono trovato in trasferta a casa mia. Mi ha fatto pensare al derby di Nanni, quando i laziali erano in uno spicchio all'altezza dei Distinti Ovest in uno stadio interamente giallorosso. Il risultato ahimè non è stato lo stesso, ma la sensazione era quella. E le facce erano quelle. In buona parte, gente di mezza età, comunque non teenager incazzati, ma persone che sono abituate ad andare a vedersi la partita, godere ed incazzarsi, magari partecipare a qualche coro lanciato dalla curva, ma prive della mentalità ultras, come me e la mia compagna. Una trasferta strana, ogni tanto da posizione diverse giovanotti con voce possente (pure quella mi manca) facevano partire cori di incitamento, e il resto del distinto andava loro dietro. Senza organizzazione, però, anche i cori di quei volenterosi andavano a perdersi.
Esistono due possibilità. Che il tifo serva oppure no. Nella fattispecie, credo che anche fossimo stati centomila Tagliavento il suo biscottino l'avrebbe servito. L'incitamento può servire ad altro, però. A caricare una squadra in difficoltà, a creare un clima di entusiasmo ed euforia che contagi quelli che sono in campo. Il famoso dodicesimo uomo (ah, no, nella fattispecie quello era Tagliavento. Per loro). Al di là delle battute, il tifo serve oppure no? Una curva piena e ribollente di entusiasmo ed incazzatura avrebbe potuto contribuire a cambiare il risultato, ad invertire la tendenza?
Se la risposta è no, allora va tutto bene. Il tifo è inutile, e quei quattromila che comunque hanno deciso di essere presenti se la sarebbero comunque potuta vedere a casa, niente sarebbe cambiato. Oppure quei quattromila erano quelli che proprio non gliela facevano, che ci devono comunque essere, che al cinema vacci tu, oggi c'è la Lazio. Comunque, uno stato d'animo individuale. E - come tale - difficilmente trasmissibile alla squadra.
Se la risposta è sì, qualcosa sarebbe potuto andare in modo differente. E allora l'assenza è grave, gravissima, ed è una macchia che non si cancellerà facilmente. Tra i responsabili della sconfitta, oltre alla squadra, all'allenatore, al presidente, si dovrebbero accodare pure gli assenti.
Io non conosco la risposta. Non ho idea se con una curva (e due distinti) piena le cose sarebbero andate in modo differente, non c'è controprova. La trasferta di ieri è stata comunque una sconfitta per chi non c'era. Delle due l'una, infatti: o il tifo è inutile, e allora chissenefrega delle divisioni della curva, dei prefetti idioti, dell'impossibilità di stare a cavalcioni sulla vetrata, degli striscioni. Tanto non servono a nulla se non a loro stessi. O è utile, e allora... l'avete lasciata sola, voi che potevate. E ci metto dentro tutti. Curvaroli, tifosi tiepidi e pavidi, che avete comunque anteposto le vostre pur plausibilissime giustificazioni al bene supremo: la vittoria.
L'avete lasciata sola, e ora pasteggiate sul cadavere con critiche e ricerche di colpevoli, con giudizi taglienti e sommari. Le colpe, comunque, sono sempre e solo degli altri, non sia mai.
Noi pochi ci abbiamo provato a non lasciarla sola. Con risultati scadenti, certamente, ma mai mi è capitato, guardando negli occhi chi c'era, di sentire una tale fratellanza da tifoso, quella fratellanza che - in definitiva - è il motivo primario per cui, anche in questo Olimpico brutto e militarizzato, due volte al mese mi sento a casa.
Grazie, pochi che c'eravate. Ho visto le vostre facce, chiamate ad un ruolo che non era il vostro. Ho riconosciuto tanti amici, ho ritrovato vecchi compagni di distinti persi nel tempo, anziani con signora, voci non così stentoree, una spruzzata di grigio tra le sciarpe - comunque - sventolate cono orgoglio in faccia a quelli là.
Certo se invece dei quattromila dei Distinti fossimo stati i trecento delle Termopili magari sarebbe andata meglio...