Dopo l’orrenda partita di ieri, salgo in macchina e metto Black Magic, l’ultimo disco dei Motorhead. L’ho comprato più per salutare un amico che se ne va che per il suo reale valore, ma se ti piace davvero il gruppo di Lemmy non ti può lasciare indifferente: è la solita violenta e scanzonata scarica di rock’n’roll grezzo e cattivo. Semper fidelis, sai quello che compri.
Ecco, Lemmy. La sua morte non è la solita morte di un grande rocker vissuto tra gli eccessi, eventi comprensibilmente sempre più frequenti e ai quali siamo purtroppo abituati. No, Lemmy era qualcosa di più, era forse l’incarnazione più pura e aggregante del movimento che ha stravolto la musica del ‘900. Pensateci bene: questo ragazzone inglese cresciuto con il mito dei Beatles in Galles (lo stesso Galles nel quale in quegli anni anni viveva un altro futuro semidio caotico, il nostro Long John), ha vissuto praticamente tutte le metamorfosi di questa strana bestia che è il rock’n’roll. Una bestia inseguita, cavalcata, guidata e infine impagliata. Gli improbabili esordi da chitarrista beat col caschetto, i concerti passati a fare da roadie a sua maestà Jimi Hendrix, il glorioso hard rock progressivo britannico, magistralmente interpretato con gli Hawkwind, gli esordi ferali dei Motorhead e la genesi del punk (i Damned) prima e dell’heavy metal poi, tanto nella sua vecchia e ombrosa Inghilterra quanto nella torrida California.
Nemmeno si contano i musicisti, ma sarebbe più corretto parlare di scene, influenzati dal grande Lem. Poteva sbucare sul palco di Ramones, Ozzy, Metallica o Foo Fighters quando meno te lo aspettavi. Lo potevi veder suonare vecchi classici di Elvis, Buddy Holly e Johnny Cash in versione rockabilly con gli Headcat; era di casa nei locali dei biker, ai festival metallari più intransigenti ma anche ai concertoni alternativi con gruppi di ragazzi di 45 anni più giovani di lui.
Non ha mai lasciato la vita del rocker da battaglia, non si è ritirato nei teatri a suonare pallide versioni di inni ribelli ad un pubblico di paciosi cinquantenni in poltrona, non ha fatto la vita del milionario eccentrico che aspetta 8 anni per fare uscire un disco pompato dalle etichette manco fosse il sacro graal.
E poi sempre con quell’ironia ficcante da uomo veramente libero.
Ti saluto Lemmy, ti saluto rock’n’roll.