E poi a un certo punto ti trovi a guardare The Bear.
Il testo sotto la presentazione sullo schermo ti dice che è una Commedia. Parlano di un ristorante, una cosa del genere. Ogni puntata dura poco. Una mezzora o poco più. A te non piacciono le serie di 120 puntate a stagione con puntate da un'ora e mezza in cui, lo sai, almeno 3 o 4 puntate non succede un cazzo di niente e tu hai buttato la serata a vedere il vuoto pneumatico delle sceneggiature.
Ti dici, ma si dai, vediamo sto The Bear. Parla di cucina, di ristorante. Magari è fico.
No, non è fico. E' molto di più.
E' probabilmente la più bella serie (in francese telefilm si dice
serie quindi capitela cosi) che ti sia mai capitato di vedere. Poteva essere ambientata anche in un centro fitness, in un laboratorio al Polo nord, sarebbe stata comunque la più bella cosa che io abbia mai visto su uno schermo dopo l'ecografia del quinto mese di mia moglie incinta di mia figlia.
E' Shakespeare, ti racconta una storia per raccontarti la vita. Poteva essere un re danese che non sa cosa diavolo vuole dalla vita oppure Enrico Quinto che parla ai suoi compagni prima di sfidare i francesi a Azincourt. Sempre della vita, delle emozioni, delle delusioni, degli amori, delle tensioni, del gioco di specchi e di palline in un flipper che quotidianamente affronta ogni elettrone libero con gambe e braccia su questa terra. Ma lo fa in una cucina di un ristorante dove non conta chi sei stato prima, dopo o durante quello che succede. Dove nessuno è un eroe. Neanche lo chef. Anzi, lui per primo.
Pensavo che dopo Big Night fosse impossibile fare un'opera cinematografica migliore sul mondo della cucina e sulla vita delle persone. Mi sbagliavo.
Un gioco corale in cui non c'è nessun punto debole, ogni attore, ogni personaggio è un capolavoro di scrittura e di gestualità. Hai voglia di abbracciarli tutti, uno per uno, e ognuno meriterebbe una serie dedicata solo e soltanto a lui stesso, tanto è forte. Mai vista una serie dove i dialoghi più forti e intensi sono fatti solo con gli occhi. Nessun punto debole. Un film su una famiglia di italoamericani dove nessun attore è d'origine italiana.
Basterebbe il sesto episodio della seconda stagione perché questa serie sia catalogata tra i capolavori assoluti. Se non volete vedere tutta la serie, guardate solo il sesto episodio. Da solo vale almeno la metà dei film premiati agli oscar negli ultimi venti anni (Dio potrebbe fondare una chiesa solo sul fatto di potersi intestare la responsabilità di aver creato, un giorno, Jamie Lee Curtis. Sticazzi della luce, dei pesci e delle stelle, hai creato Jamie Lee Curtis. Io a un dio che ha creato Jamie Lee Curtis sono pronto a santificare anche un paio di giorni a settimana).
unico neo:
[spoiler]
non mi è piaciuto il modo infantile e scontatissimo di gestire la storia d'amore del protagonista. proprio una cosa scontata da romanzetto rosa, lui che gli dicono focus, e subito pensa di mollarla, lei che asolta per sbaglio... peccato[/spoiler]
Assolutamente in disaccordo. E' la trovata geniale che chiude la stagione.
Quello è un dettaglio assoluto. Carmy è chiuso nel frigorifero. Forse la metafora più metafora che c'è in tutta la serie. Che da sola spiega tutta la storia. In quel frigorifero Carmy rovina la sua storia d'amore e si prende a parolacce con Ritchie (La scena di loro che si insultano attraverso la porta è assolutamente un'opera d'arte. Fuori il ristorante supera la prova della prima sera mentre lui resta chiuso in un luogo freddo. Facci caso Ritchie lo insulta chiamandolo con il nome della madre.