Premessa: dato che rimarrà nelle sale solo fino al 21 settembre, vi consiglio di andare a vederlo, se non lo avete fatto.
Sto parlando, come da oggetto, del nuovo documentario dedicato ai Beatles e, in particolare, agli anni in cui i medesimi si sono esibiti in concerto (1962-1966).
Dice: che c'è di veramente "nuovo", visto che parliamo di mezzo secolo fa?
Orbene, innanzitutto, le immagini restaurate in maniera sbalorditiva, accompagnate da audio altrettanto ripulito.
In secondo luogo, la regia è di un certo Ron Howard.
E, infine, il fatto che, nonostante le vicende dei Fab Four siano, almeno per chi legge questo Forum, arcinote, vedere questo documentario con gli occhi di oggi dà una prospettiva realmente storica sul fenomeno. Sullo sfondo del quadriennio in questione c'è il boom economico dell'Europa, lo sviluppo tecnologico, la Guerra Fredda, la crescita dell'importanza dell'opinione pubblica che, sebbene molto lontana dalla sovraesposizione dei social network, inizia ad avere una certa rilevanza rispetto a quanto aveva avuto nei decenni immediatamente precedenti.
Mi ha colpito molto, ad esempio, su quest'ultimo punto, vedere la conferenza stampa con cui John Lennon si "scusa" per la famosa affermazione riguardante i Beatles "più famosi di Gesù".
Dico si "scusa" tra virgolette, perché, in maniera molto spontanea e sottile, Lennon ribadisce essenzialmente quanto aveva dichiarato, limitandosi a dire che voleva solo descrivere un dato di fatto.
Mi è sembrata una scena distante anni luce dalla comunicazione attuale. Si fosse "scusato" così nel 2016, il Lennon sarebbe stato massacrato come manco Charlie Hebdo con la vignetta sul terremoto. Anzi, più precisamente, ritengo che sarebbe stato proprio impensabile esprimersi in tali termini: un "social media manager" avrebbe preparato un monologo di almeno 10 minuti in termini molto molto semplici ed elementari (che sarebbero stati comunque equivocati, in primis volutamente dai mass media), netti, di abiura totale, con photogallery di Lennon in Chiesa da bambino...Vabbè, scusate la digressione, torno al tema principale.
A fare da corollario al documentario, c'è la restaurazione completa di un concerto del 1965 allo Shea Stadium di New York.
E qui un giovane d'oggi sgranerebbe gli occhi.
Il gruppo musicale che ha cambiato la storia della musica, il fenomeno mondiale di cui TUTTI parlano attraversa l'oceano (che, insomma, 50 anni fa era anche un po' un evento eccezionale), ti viene a New York davanti ad uno stadio pieno e...
suona trenta minuti scarsi.
Quattro cover su dodici canzoni totali.
E tre b-sides.
Niente bis, niente di niente. Loro quattro che salutano e se ne vanno dopo l'ultima traccia della scaletta. E fine così.
Tra i difetti del documentario: l'ho trovato un po' freddino, in qualche modo incompiuto. Si concentra su un aspetto dei Beatles, e cioè "la vita in tour" che, in fondo, corrisponde all'immagine pubblica dei Fab Four, nota alle cronache contemporaneamente a quando avveniva: probabilmente è il loro aspetto più noto e "ufficiale". Tale taglio "freddino" dà anche un po' l'idea di una band meteora: stadi pieni, mondo in visibilio, gente che sviene, loro sulla cresta dell'onda, complici e affiatati, sfacciati e con la battuta pronta. Poi a 'na certa, John Lennon dice che i Beatles sono più famosi di Gesù, i redneck si indignano e bruciano i dischi, i Beatles se rompono un po' il ca**o di suonare, letteralmente 5 minuti di considerazioni generiche sul resto della loro vita come gruppo, sipario, fine del documentario che, prevedibilmente, si conclude con il concerto sul tetto.
Voto. 7/10.