Addio a Abdul Jeelani, campione tra basket e Islam. Ex stella Lazio e Livorno, progetto sociale lo salvò da strada
E' stato forse il più grande cestista della Serie A di fede musulmana. Dopo essere arrivato in Italia nel 1977 a Roma nell'Eldorado Lazio allenata da Giancarlo Asteo cambiò nome da Gary Cole a Adbul Jeelani, morto ieri all'età di 62 anni, in campo il suo soprannome divenne presto "la mano di Maometto". Centro atipico, cecchino infallibile, uomo-squadra nel primo anno in A2 a Roma trascinò alla salvezza i biancazzurri, che giocarono l'intero campionato con uno straniero in meno dopo la morte improvvisa in precampionato di Bob Elmore. L'anno dopo fu tra i principali artefici della promozione prima della parentesi in Nba: prima nei Portland Trailer Blazers, ma è soprattutto ricordato per essere stato il primo a segnare un canestro nella storia dei Dallas Mavericks. Poi tra l'81 e l'85 gli anni magici alla Libertas Livorno, fino alla chiusura della carriera in Spagna con la maglia della Caja de Alava.
Una vita la sua di sport e di fede, un fenomeno in campo ma la vita gli ha riservato solo amarezze. Due divorzi, i problemi di salute ed economici, fino a ridursi a vivere da barbone dopo aver perso il lavoro. A riportarlo in Italia alla fine del 2010 fu il presidente della Lazio Pallacanestro Simone Santi, dopo essere stato ritrovato per caso in una struttura per senzatetto di Racine nel Wisconsin. Santi poi lo coinvolse nel suo Progetto Colours, un'iniziativa sociale nata per salvare attraverso il basket i bambini orfani del Mozambico, poi esteso anche alle periferie romane. "Realizzeremo un centro in suo nome - annuncia commosso al telefono da Maputo -, gli intitoleremo un campo di basket in Mozambico".
A fare da tramite tra il presidente della Lazio e Jeelani i suoi figli, Azim e Kareema. Poi il difficoltoso rientro in Italia (per problemi con la Finanza americana gli era stato ritirato il passaporto), il suo impegno di 'maestro' di basket con i ragazzi. I suoi ex compagni di Lazio e Libertas Livorno gli fecero festa. Ebbe perfino un ruolo in uno spettacolo teatrale per la Fondazione Fendi in compagnia dell'ex presidente della Camera Fausto Bertinotti. "Negli ultimi anni aveva ritrovato l'affetto della famiglia, dei figli, dei nipoti e dei suoi ex compagni della Nba" racconta Santi. Domani a Maputo una cerimonia lo ricordarà con centinaia di bambini. "Loro lo vedevano come il loro idolo - conclude - ora lo vedranno come un angelo. Lui era per la pace e per la fede universale. Attraverso la religione sperava in un mondo migliore".