In più il calcio è sempre meno un’industria, le perdite consolidate della seria A sono miliardarie, le proprietà straniere, gli interessi puramente speculativi e finanziari.
Però i volumi economici generati oggi dal calcio restano incommensurabili rispetto a quelli degli anni ottanta, e direi pure in buona misura dei novanta.
Che poi sia un'industria in crisi, che non genera utili diretti, è evidente. Ma proprio per questo, allargando lo sguardo rispetto alla decadente/decaduta industria italiana, non cessa di destare interesse all'investimento.
Certo, si tratta per lo più di fondi e situazioni speculative, che sono però proprio quelli che trovano interesse nell'andare a rilevare aziende in crisi, magari trovando convenienze in un "indotto" non direttamente connesso al calcio.
È lo stesso indotto che anche la politica non può trascurare, perché utile ad avviare interventi di c.d. "rigenerazione urbana" che altrimenti da sola non avrebbe risorse e capacità per mettere in piedi, o anche - nel piccolo - a far lavorare il settore edile, muovendo posti di lavoro e quote di Pil.
Il calcio come diversificazione della "fabbrichetta" è morto e sepolto, ma i soldi che fa girare sono comunque utili a tanti in maniera mediata, anche sotto il profilo del consenso.