mi associo a LaFonte.
Ti sembra questa una pagina non dico credibile, ma anche solo presentabile?
A questo punto vale anche ufopedia
Credo tu sia un po' frettoloso sul punto.
Tu saprai che Shlomo Sand è un comunista antimperialista militante. E saprai che la sua area di competenza scientifica è propriamente la storia della cultura francese, con una expertise sul cinema (e così ha vinto la sua cattedra a Tel Aviv). Sand ha cominciato a studiare il giudaismo in divenire col suo impegno politico antimperialista e con il suo percorso esistenziale di "rinuncia" al suo "essere ebreo".
La fonte che io ti ho citato, non senza una qualche volontà provocatoria c.v.s.d., ha la stessa attendibilità di Sand, uguale e contraria, visto il suo schieramento politico di appartenenza. Ma, in più di Sand, ha la dimestichezza col metodo, e l'estrazione propria dello, storico.
Tu conosci Sand, lo citi e lo proponi come insegnamento autorevole per comunanza di ideologia e di visione del mondo, cosa ovviamente del tutto lecita. Ma cosa ti autorizza a dargli la patente di "storico" attendibile, mentre il povero Luciano Tas sarebbe lo scemo del villaggio? Hai la conoscenza del dibattito sugli storici post sionisti, da Flapan in poi? Sai quale è il loro livello di attendibilità, considerata la profonda tensione politica che attraversa le loro opere? Se lo sai, riflettici sopra.
Poi, beninesto, parliamo nel merito del best-seller di Sand (libro che non è originale, ma attinge a piene mani da una fonte degli anni '60 di cui il nome .... mi verrà mente oggi pomeriggio
)
Ti riporto una critica. In breve, la tesi del libro è che non esiste un popolo ebraico sul piano antropologico, storico o culturale. Pertanto la pretesa degli ebrei di accedere a una propria sovranità politica come qualsiasi altra nazione è infondata e lo stato di Israele non ha ragione di essere – per lo meno non in quanto stato nazionale ebraico. In modo trasparente – e a sgravio dell’autore, anche in parte dichiarato – la procedura seguita per dimostrare questa tesi è quella ben nota nella storia delle idee e in particolare nell’analisi del pensiero politico dell’ingegneria alla rovescia: si parte dal prodotto finale, si vede com’è possibile smontarlo, e poi lo si rimonta in modo tale da farlo apparire assurdo. Alla fine, e dunque all’inizio, del discorso di Sand vi è una serrata critica dell’attuale situazione esistenziale della società israeliana e del progetto ideale che la sorregge. Sand non ama Israele come stato nazionale degli ebrei e preferirebbe un ipotetico neutrale stato dei cittadini senza distinzione fra ebrei e palestinesi, e se la cose finisse qui non ci sarebbe molto da aggiungere. La critica politica è non solo legittima ma assolutamente necessaria in una polis vigorosamente dialettica com’è quella di Israele, e ciò vale certamente anche all’interno di una ben più longeva tradizione ebraica di dibattito e di dissenso ideologico e culturale. Il problema comincia quando intorno al punto focale del dissenso politico l’autore si sforza di disegnare dei cerchi concentrici argomentativi di natura per cosí dire scientifica, per poi sostenere di avere con successo scagliato una freccia al centro del bersaglio.
La strategia generale del discorso de-construttivista sulle identità nazionali e religiose è tutt’altro che nuova. Negli anni ’80 fece colpo il libretto dei demografi Le Bras e Todd sull’Invenzione della Francia, subito ripreso dallo storico Pierre Chaunu. Benedict Anderson, un esperto di storia e cultura dell’Asia sud-orientale, aveva scritto uno stimolante e influente saggio sulle Comunità immaginate. In realtà il concetto di nazione monolitica è sempre meno plausibile non solo a causa della globalizzazione ma anche per via della tangibile sopravvivenza nella lunga durata di stratificazioni culturali ampiamente antecedenti la formazione delle identità nazionali dalle quali, in teoria, avrebbero dovuto essere sommerse. D’altra parte, molti dei miti costitutivi delle identità nazionali poggiano su basi evidenziarie a dir poco labili, se non inesistenti. Su questa falsariga sono state scritte molte pagine anche sull’identità dell’Italia (e degli italiani?) – da Bonvesin de la Riva fino ai riti celtici della Padania.
Fin qui, dunque, l’operazione semantica di Sand segue linee critiche oramai super acquisite e applicabili a tutte le identità nazionali. Anche l’identità ebraica si avvale talvolta di concetti e di credenze che non è sempre possibile dimostrare sulla base dell’evidenza documentaria, anche se gioca a suo vantaggio la propensione alla parola scritta e dunque una traccia concreta di gran lunga superiore a quella della maggior parte delle altre civiltà. E comunque rimane il fatto che le identità che si formano su queste fondamenta comuni, esatte o immaginate che siano, non sono per questo meno rilevanti e tenaci e dunque costituiscono un fondamento durevole dei comportamenti collettivi. Emblematica in questo senso è l’identità dei Palestinesi che al di là della memoria degli oltre sessant’anni di conflitto con Israele e al di là di ció che essa stessa ha mutuato da Israele, ha ben poca sostanza culturale ma rappresenta pur sempre una realtà concreta con cui è inevitabile misurarsi.
Ma Shlomo Sand vuol strafare e come prova della supposta fallacia dei miti della storia ebraica non trova di meglio che appoggiarsi ad altre mitologie non meno problematiche. Ecco dunque rispuntare il bidone della commistione fra ebrei e Kazari, reso popolare negli anni ’70 da Arthur Koestler e sostenuto da alcuni linguisti come Paul Wexler ma smentito clamorosamente dagli ultimi studi di genetica delle popolazioni. È come se un fisico riscoprisse l’ipotesi che l’unità minima della materia è la molecola, mentre gli esperti all’acceleratore di Ginevra si interrogano su che cosa ci sia dopo i quanti. Gli studi di Michael Hammer, Karl Skorecki, BatSheva Bonné, Ariella Oppenhein e altri sulla biochimica applicata alla vita umana hanno per sempre cestinato l’ipotesi post-modernista e post-sionista, confermando invece le nozioni convenzionalmente note della storia del popolo ebraico.
È dunque ora dimostrato che la grande maggioranza degli ebrei (sefarditi e ashkenaziti) e delle popolazioni arabe mediorientali hanno origini comuni che vanno indietro nel tempo per quattro millenni. In epoca antica il nucleo ebraico ha esercitato un visibile potere di attrazione su altri ma poi è rimasto a lungo sostanzialmente segregato dalle civiltà circostanti. Il fatto che gli ebrei di oggi siano in gran parte i discendenti di pochi progenitori comuni, uomini e donne, e non il prodotto di frequenti scambi con altre società è confermato dall’incidenza elevata di portatori di specifiche patologie ereditarie. Le differenze interne, in questo caso, riflettono la prolungata segregazione delle diverse comunità ebraiche le une dalle altre. Finito fuori strada sul tema della continuità delle generazioni, Sand appare ancora più sprovveduto sul tema della continuità culturale. Qui l’evidenza canonica e perfino alternativa è talmente schiacciante che sarebbe bastato aprire un sommario lemma di enciclopedia per documentarsi meglio sulla natura della multi-millenaria produzione culturale ebraica. Ma l’ipotesi dell’invenzione è più forte degli infiniti testi di natura normativa, commentari, scambi di informazione e memorialistica, letteratura di fantasia e poesia, transazioni commerciali e atti giuridici, storiografia, e nella fattispecie soprattutto degli endemici germogli di discorso politico ebraico dell’ultimo millennio, finalmente concretizzati nel secolo dei risorgimenti nazionali.
Le spettacolari trasformazioni sociali e demografiche degli ebrei come le grandi migrazioni internazionali, fra queste l’aliyah verso Israele, o la mobilità sociale e urbana non sono avvenute per caso o in seguito a delle ciniche manipolazioni di masse acefale da parte di sconsiderati capipopolo, ma per via di complesse e a volte intollerabili condizioni esistenziali percepite in larga sintonia da persone ubicate in varie parti del mondo e in cerca di liberazione come individui e come comunità. È dunque all’ebreo sia come produttore di cultura sia come soggetto sociale che Sand nega il diritto all’autodeterminazione.
Tornando all'oggetto della discussione, che non è Sand, io non credo che si possa seriamente discutere circa l'esitenza e la gravità delle -n violazioni dei diritti umani commesse dallo stato di Istraele.
Ma trovo inappropriata la scelta di corroborare la contemplazione oggettiva di tali imperdonabili violazioni con strampalate ricostruzioni del processo storico che le ha precedute; e trovo gravemente ingiusta - nei confronti delle innumerevoli vittime innocenti tra gli ebrei di Israele e di altri paesi per mano
islamista nonché degli innumerevoli perseguitati politici (per ragioni sociali, religiose e di genere) nelle teocrazie
islamiche - la critica tanto feroce quanto unidirezionale allo stato di Israele (9 milioni di abitanti).
Al netto del tema dell'antisemitismo innato nella cultura europea, che affiora molto spesso, come testimoniano i post di La Fonte, che non commento, perché mi sembrano perfino paradigmatici.
Scusate sono ben lontano dall'essere uno storico ma mi sembra si sottovaluti un aspetto. Israele come entità Stato è o non è un avamposto delle potenze occidentali in medioriente? Uno Stato costruito artificialmente per permettere ai vincitori della Seconda Guerra Mondiale di avere una base in quell'area strategica?
Non credo al "senso di colpa occidentale" come una delle ragioni che hanno portato le potenze occidentali ad istituire lo Stato di Israele.
NO, carissimo, credo sia totalmente sbagliato, sai. Lo stato di Israele
si è creato da solo, iniziando il proprio percorso storico in totale autodeterminazione.
Provo a sintetizzare, per quel poco che so.
Trent'anni prima, le potenze occidentali, in primis la Gran Bretagna, si sono trovate a gestire un problema che ha una genesi di
popolo, iniziata dopo l'illuminismo. Gli ebrei di tutto il mondo manifestano il desiderio di ritrovare la patria (mitica, storica, geografia, culturale, quella che vuoi, la LORO patria). Comincia un fenomeno imponente di migrazione da tutte le parti del mondo verso la Palestina (geografica), che all'epoca era una provincia negletta e dimenticata dell'impero Turco prima e di quello Ottomano dopo. Il ritorno degli ebrei diventa sistemico e fortemente ideologizzato (nasce allora il "sionismo") alla fine dell'800 e, soprattutto, dopo i sanguinosi progrom sovietici avviati dall'honesto Lenin.
E siccome le potenze vincitrici della GG dovevano ricompensare gli alleati Arabi, cui avevano promesso la provincia del dissolto stato Ottomano, inizia una difficile partita politica di mediazione, in cui giuocano un ruolo le diverse potenze mondiali (e anche la chiesa-istituzione di Roma), che tentano di accattivarsi le simpatie arabe per ovvie ragioni di politica militare e commerciale mondiale. Gli ebrei contano poco o nulla, da un punto di vista politico e militare; ciononostante, l'ampio movimento di opinione mondiale di finanziatori e di intellettuali promuove l'idea della creazione nel territorio della Palestina geografica di uno stato ebraico (piccolo) a fianco di uno stato islamico (dominante).
Il problema è che l'immigrazione ebraica aumenta, portando con sé tensioni religiose e di classe.
E così, già dagli anni '20, cominciano i massacri: il primo sangue a scorrere è quello degli ebrei. I movimenti arabi cominciano a uccidere gli emigranti ebrei (donne e bambini inclulsi), che in quel momento sono sprovvisti di qualsiasi forma di organizzazione militare ma sono organizzati in associazioni solidaristiche. Ovviamente, comincia la militirazzazione, le associazioni diventano gruppi armati e nascono i primi "commando" sionisti (l'Haganah e il Palmach, l'Irgun e la "Banda Stern").
Possiamo dire che tra il '20 e il '30 è gia tutto apparecchiato - dai due lati della tavola - per la costruzione di secoli di assassini, torture, mostruosità varie. Probabilmente, già da quel momento non c'è più speranza di pace. L'escalation porta alla rivolta araba degli anni '30; la Gran Bretagna si dimostra sempre più titubante a assecondare la nascita di uno stato ebraico, anche perché con l'avvicinarsi del grande disastro, le forze dell'asse cercano l'alleanza strategica con il mondo arabo. Culmine di questo processo di avvicinamento politico-militare e la visita di stato di Hitler al grande muftì di Gerusalemme, che propone di creare una falange nazista scelta tra gli Arabia.
A quel punto, si blocca il processo di creazione di uno stato ebraico in Palestina; la Gran Bretagna stabilisce delle quote immigratorie (capito sì, dove ha preso ispirazione Merdini....); si arresta il flusso dei migranti ebrei (chissà quanti, che potevano salvarsi, sopratutto tra i bambini, moriranno nei crematori); continuano gli eccidi (nel frattempo, i sionisti rispondono per le rime).
Chiudo rapidamente. Alla fine della guerra, mentre si discute la mozione delle NN.UU. circa la creazione di due stati indipendenti, con passi aventi e passi indietro della neonoata Lega Araba, il 15 maggio 1948 il Consiglio Nazionale Sionista di Tel Aviv dichiarò costituito nella terra storica di Israele lo Stato ebraico, col nome di Medinat Yisrael. Gli arabi palestinesi non proclamarono il proprio Stato. Il mondo arabo cominciò la jihad.
Insomma, per quanto capisco io, nel processo storico di creazione dello Stato di Israele, le "Potenze" occidentali c'entrano a rovescio, non per dritto. E, di certo, Israele non è stata la testa di ponte (militare, economica, culturale) dell'occidente "bianco" nel medio oriente.
Sulla questione in generale, non dico nulla, che contributo potrei dare? Chi di noi è all'altezza di darlo?
Io mi limito a dire che - per la mia esperienza - se due fratelli (perché tali sono, di qua e di là della strisca) si odiano e litigano devono separarsi e perdersi per molto tempo; dimenticare il più possibile. E solo dopo, molto dopo tutto questo, reincontrarsi.