Per onestà devo dire che io ho portato solo le impressioni di persone con cui ho parlato direttamente o voci di persone di cui mi fido. Ma per vie indirette so di posti di lavoro in cui si sta creando la frattura tra grenpass e no greenpass, certo guarda caso riguardano posti poco o nulla sindacalizzati ma anche quì non posso per correttezza assurgere il dato a valore ampio ed esteso, tra l'altro, nota di colore, uso No greenpass perchè un mio collega vaccinato, sta dicendo a destra e a manca che a lui se gli chiedono il greenpass non lo mostrerà, ora lo sta facendo veder a tutti ma dice che al lavoro si rifiuterà di farlo vede per principio dal 15 ottobre se glielo chiederanno. Nota di colore a parte, a mio avviso dovrebbe far riflettere che le critiche al GP provengano anche da persone vaccinate e che sono convintissime dell'efficacia del vaccino.
perché in determinati posti di lavoro (es. i portuali di genova) la rigidità sul GP in rapporto al lassismo sulle misure basilari di sicurezza viene vista come una vera e propria provocazione.
In tal caso mi sembra evidente che la questione non sia il GP, ma l'assenza di misure di sicurezza.
E quindi mi pare ovvio che i sindacati invece di fare la "ramanzina" agli iscritti capiscono la ragione del loro rifiuto, vaccinati o meno.
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Sulla relatività generale perseguita in URSS perché non coerente col materialismo è una vera e propria fake, dovuta purtroppo ad una narrazione del socialismo reale risibile.
Il che non significa che l'URSS non fosse interessata da una repressione micidiale, ma in occidente girarono e girano ancora oggi vere e proprie favole (tra cui questa).
E fa specie che un sacco di gente istruita di oggi se le beve in tutta tranquillità, senza verificarle minimamente perché coerenti con la rappresentazione monolitica dei sovietici, imbevuti di ideologia a differenza dei liberi occidentali.
Se c'è un settore in cui i sovietici avevano una discreta libertà di azione questa è proprio la scienza.
Landau è proprio l'esempio corretto: non venne mica arrestato per i suoi studi, ma perché fiero oppositore del regime staliniano. Il problema era politico, non teorico. tanto che un anno dopo era di nuovo ad insegnare.
E comunque anche volendo vedere il problema teorico era epistemologico e non fisico.
Non era la teoria di Einstein a essere in antitesi al materialismo, ma il relativismo che alcuni filosofi della scienza ne avevano conseguito. Quello era fonte di polemiche in URSS, non la relatività di Einstein.
Sull'esempio di fisica da te apportato ci sono libri notevoli volti proprio a dimostrare come lo scienziato, nella realtà dei fatti, si muove esattamente all'inverso di quanto ritiene di fare lo scienziato stesso (te compreso), ma non ho tempo ora di riprendere quegli esempi come fatto in passato. Ricito soltanto i loro autori: Lakatos e Kuhn, in particolare l'esempio del pianeta bizzoso.
O Kuhn nel descrivere come la ricerca pensa di svolgersi e come poi si svolge davvero.
infine nell'esempio dimostri esattamente quel che si continua a non cogliere del discorso di Parisi.
Non è che se usi la formula "diverso", che sembra quasi una forma di bon ton verso altre discipline, allora non restituisci l'idea che la scienza studia l'oggetto e il resto del sapere è più "impreciso" perché guardate quanta precisione c'è nella fisica "leggermente" diversa da quella in altre materie.
Certo che c'è una differenza, ma è nell'oggetto della conoscenza più che nel metodo.
Le leggi fisiche, chimiche, biologiche tendono a cambiare moooolto lentamente o non cambiare affatto.
Sono legate ad ere geologiche o all'intera vita del pianeta. Ciò implica la possibilità di concettualizzarle in un modo che privilegia il rapporto fisso nell'astrazione. Quindi la ripetizione ha molto senso nel metodo di indagine.
le leggi sociali, economiche, psicologiche cambiano invece con la civiltà, nel tempo e nello spazio, cosa che rende poco utile un rapporto fisso, che anzi - come spesso accade - rischia di rendere astorico ciò che è storico (vedi le baggianate sull'homo oeconomicus, sull'egoismo umano, l'utilitarismo, etc).
La precisione di una teoria non è data da quante volte viene ripetuta la verifica ma dal riscontro che ha nel reale. Riscontro che può avvenire in mille modi.
Qual'è l'importanza di questa precisazione? è concettuale, anzi direi di approccio.
Nel tuo approccio appare evidente che tu vedi un mondo in cui "trovi/scopri" delle cose (il muone, l'elettrone, il protone) che in questo mondo esistono come tali.
Io ti dico che invece TU le rendi tali. Il che non significa che non esistono all'infuori di noi. Il pappagallo esiste lo stesso in quanto essere vivente che vola, mangia e caca anche prima che l'uomo lo concettualizzi, ma diviene pappagallo, collocato in una mappa, tramite l'astrazione pappagallo.
Questa astrazione avviene perché ci è utile a qualcosa: gli animali sono stati catalogati in specie per ragioni di caccia e allevamento. Senza tali ragioni sarebbero rimasti "animali".
Non è vero che sia la differenza a generale la distinzione. Ci sono differenze macroscopiche che non generano distinzioni. Si distingue per differenziare l'azione in rapporto alla cosa.
Esattamente come la terra resta "terra" genericamente intesa fino a che non c'è l'esigenza di astrarre la sua composizione per ragioni agricole o edilizie. L'ippopotamo, il silicio, il maestrale, gli elettroni e i muoni sono stati scoperti nel momento in cui per qualche ragione la società umana ha avuto la necessità di astrarre, ossia di focalizzarsi su quello specifico, ad uno scopo (mangiare, navigare, costruire, comporre utensili o meccanismi più avanzati).
La scienza non è dunque l'approfondimento della realtà oggettiva per come è, ma la concettualizzazione del mondo per come serve in quel momento e in quel luogo all'essere umano.
Ma questa cosa si perde perché il metodo scientifico tende a restituire un'illusione di oggettività assoluta progressiva. Ossia una scoperta del mondo oggettivo, per come é, che pian piano si compie invece di una rappresentazione dell'essere umano che, in quanto tale, fa riferimento allo specifico momento di colui che rappresenta.