9 novembre 1989: rinasce la libertà a Berlino Est.

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Re:9 novembre 1989: rinasce la libertà a Berlino Est.
« Risposta #20 il: 12 Nov 2019, 14:59 »
In Cile, dove dall'11 settembre 1973 il modello socio-economico di riferimento è quello del Club del lunedì, resterebbero molto perplessi di fronte alla tua affermazione. E anche qui in Italia potrebbe esser sufficiente esprimere il proprio dissenso tirando un sasso contro la vetrina di una banca oppure organizzando un picchetto in val di Susa. 

 In realtà proprio no: Quinto emendamento.

In effetti, primo emendamento. Ma non quando si istighi a commettere reati.

Il tema del carcere non l'ho introdotto io. Neppure io.

Il paragone tra i regimi socialisti e il mondo post-muro non può non tener conto dei Muri che l'Occidente si è sentito in diritto di innalzare dopo aver fatto cadere quello di Berlino. Tua legittima opinione.

Secondo me, non sono eventi paragonabili, né su un piano storico, né politico, ma solo su quello della condanna morale.

E tra questi Muri io ci metto i lager in Libia, i porti chiusi, i centri di detenzione per immigrati: repressione e discriminazione di esseri umani che hanno la sola colpa di esser nati...al di là del muro. Sono tre esempi "italiani", che a loro volta non riesco a disgiungere dalla concezione diffusa che ormai si ha del sistema carcerario: non un luogo di rieducazione e restituzione alla società ma un posto al di fuori delle leggi di civiltà in cui poter esercitare la vendetta e la repressione nei confronti di chi non si adegua alle "regole".

Quello è il sentimento popolare. Su un piano formale, la legge dice altro e ci dovrebbe pensare il Garante a vigilare.

Cosa c'è di diverso in questo dai gulag staliniani? Ti ho risposto.

Considerando che sbandieramo ovunque il nostro livello superiore di civiltà e democrazia, io provocatoriamente dico: solo il tempo che nel mezzo è passato.

No, non ti seguo, credo che così si manca di rispetto a chi - milioni di persone - è caduto per mano di quei regimi. La nostra condizione, in termini di libertà e accesso ai diritti, non è paragonabile.


Qual è il rispetto che lo Stato italiano ha per i diritti delle persone in carcere? Troppo basso.

 In carcere la gente muore perché non ottiene le cure necessarie, muore perché si suicida non avendo alcuna prospettiva di reinserimento nella società, muore sotto le mazzate e le torture di chi dovrebbe vigilare. In carcere, dietro le spesse mura delle carceri, in Italia la gente muore per mano dello Stato. Come in Libia. E in Russia. E in Cina. Grazie Muro.

E a chi ne fa una questione di numeri, io rispondo che erano i nazisti quelli che numeravano le persone. Perché non le consideravano persone. Nessuno qui dentro ne fa "questione di numeri", qui non si capisce proprio cosa vuoi dire.

Offline carib

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Re:9 novembre 1989: rinasce la libertà a Berlino Est.
« Risposta #21 il: 12 Nov 2019, 15:29 »
Citazione da: carib
Il tema del carcere non l'ho introdotto io.

Neppure io.

Scusa eh. Senza polemica



ps:

Sulle carceri europee, parliamone: quali? Quelle inglesi negli anni '70? Quelle italiane di oggi? Le possiamo paragonare - concettualmente - ai Gulag o ai campi di rieducazioane?
Io ho risposto a questa domanda.

E questa è stata la tua replica



Altro tema, che non c'entra nulla con la nostra discussione, è quello introdotto da Carib, al quale rispondo molto tranquillamente: calma, focalizzati sulla discussione, non si fa cerchiobottismo, non siamo né stupidi né ipocriti.


Evitiamo di buttare la palla in tribuna. Siamo persone serie

ps. Primo emendamento, hai ragione. Grz! ;-)
Fine OT

Offline FatDanny

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Re:9 novembre 1989: rinasce la libertà a Berlino Est.
« Risposta #22 il: 12 Nov 2019, 16:26 »
...

rispetto ai detenuti politici secondo te non è paragonabile la repressione politica.
Sottolineo due problemi che riscontro in questo approccio: il primo è una sottovalutazione della repressione poliziesca nei confronto degli attivisti nel '900 e non solo ad inizio secolo (si pensi al movimento per i diritti civili), il secondo è una visione stringente della repressione politica e quindi, di rimando, dei diritti garantiti.

1) la detenzione dei nativi americani in campi di concentramento sul finire dell'800 non è così diversa da fenomeni analoghi visti sotto il socialismo reale. Ed ha coinvolto un'intera popolazione civile, senza alcuna esclusione.
Se non sbaglio sul finire dell'800 gli USA erano una democrazia liberale.
Non capisco per quale ragione il tuo metro di valutazione per un regime di inizio secolo dovrebbe essere diverso nei riguardi di un regime analogo, precedente di pochissimi anni, una distanza irrilevante sul piano storico.

2) durante la seconda guerra mondiale l'internamento degli italo-americani (non soldati ma civili) è cosa nota.
Parliamo di migliaia di persone la cui unica colpa era avere un'origine italiana, non aver combattuto contro gli USA in guerra. Famiglie intere.
Anche qui, mi sembra che gli USA fossero una democrazia liberale.
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/08/12/italiani-nello-spaghetti-lager-america-rompe.html

3) Il maccartismo negli USA (anni '40-'50, gli stessi di Stalin) colpiva anche i familiari di chi era accusato di essere una spia comunista.
Essere associato al comunismo significava tra le altre cose perdere il saluto dei vicini di casa, avere le proprie finestre bersagliate da lanci notturni di pietre, trovare croci in fiamme in giardino, consolare i figli presi in giro a scuola dai loro compagni, quando non dagli stessi professori” (autobiografia Lester Cole).
Si sosteneva all'epoca che un attore potesse insinuare "comunismo" nella società americana mediante uno sguardo o una inflessione (?!?!?).
Questa cosa ebbe effetti devastanti su chiunque era in odor di comunismo, mica solo ad Hollywood seppure negli USA il partito comunista non avesse che poche migliaia di iscritti.
Il meccanismo di controllo e terrore sociale non era assolutamente dissimile da quello visto nei regimi dell'Est europa, anzi, è di natura e principio assolutamente paragonabili.

4) Negli anni Sessanta e Settanta gli attivisti per i diritti civili vennero perseguitati, arrestati e torturati. Che fossero neri, gay, hippie. Il controllo tramite i servizi segreti interni non era così diverso da quello presente dall'altra parte della cortina nei suoi principi di funzionamento.

Un discorso analogo potrebbe essere fatto sulla Francia o sull'Italia.
Non arrivo ai regimi sudamericani perché vorrebbe dire vincere troppo facilmente.

Ma allora la differenza qual'è? E' che avendo vissuto la realtà italiana (o avendone un racconto più diretto) ne riusciamo a cogliere meglio la complessità, senza schiacciarla su un'unica rappresentazione. Mentre per il socialismo reale ci nutriamo unicamente di quella, quando invece anche lì abbiamo chi ha vissuto davvero quei passaggi e ha una visione più complessa. Non necessariamente Ostalgica (nel caso della DDR), ma che tiene conto dello scarto tra rappresentazione e realtà (vedi cosa dice Mihaijlovic del regime titino).

Quel che voglio dire è che sicuramente è politicamente insensato fare come i neo/post-fascisti e dire "il socialismo reale ha fatto anche delle cose buone". ma grazie al cazzo, non sarebbe durato settant'anni se fosse stato solo repressione e terrore. Non mi interessa proprio sta roba.
Il punto è non buttare, come si dice nell'articolo prima postato, il bambino che nuotava nell'acqua sporca. Un bambino non rappresentazione delle "cose buone" realizzate dal socialismo reale, ma dai processi politici che POI, per varie ragioni storiche, hanno portato al socialismo reale.
Quel bambino portava con sé un messaggio, "un altro mondo è possibile, dipende da voi e merita combattere per esso invece che arrendersi alle barbarie prodotte dal profitto".

Un fascismo democratico è impossibile stesso per chi lo ha pensato e realizzato, un comunismo democratico non solo è possibile, ma è l'UNICO possibile per chi lo ha pensato.

Quel che riscontro nel rancoroso anticomunismo propagandistico, cieco, sommario, è che mentre urla con afflato commosso "guarda com'è sporca quest'acqua", nasconde proprio con essa le mani che tengono giù e soffocano quel bambino.

Re:9 novembre 1989: rinasce la libertà a Berlino Est.
« Risposta #23 il: 12 Nov 2019, 16:27 »
Scusa eh. Senza polemica
 Io ho risposto a questa domanda.

E questa è stata la tua replica

Evitiamo di buttare la palla in tribuna. Siamo persone serie

ps. Primo emendamento, hai ragione. Grz! ;-)
Fine OT

Appunto, senza polemica. Io volevo solo dire che una cosa sono le carceri usate a scopo "politico", altra cosa il tema del regime carcerario "ordinario". Rispetto al quale io reputo che, in Italia, ci sia una vera e propria emergenza (in carcere mi pare che i suicidi siano 10 volte più ricorrenti che fuori dal carcere. Spia di una questione prossima all'emergenza umanitaria). Ma non si parlava di questo, a mio volta, nel p.s.,  volevo capire dove mirasse la replica di FD. Leggo sempre con attenzione e senza pregiudizi quello che dici, anche quando non sono d'accordo. Ma stavolta la nostra conversazione sembrava surreale!! :beer:
Re:9 novembre 1989: rinasce la libertà a Berlino Est.
« Risposta #24 il: 12 Nov 2019, 17:37 »

Ti leggo sempre senza pregiudizi, non sempre riesco a seguirti.


rispetto ai detenuti politici secondo te non è paragonabile la repressione politica.
Sottolineo due problemi che riscontro in questo approccio: il primo è una sottovalutazione della repressione poliziesca nei confronto degli attivisti nel '900 e non solo ad inizio secolo (si pensi al movimento per i diritti civili), il secondo è una visione stringente della repressione politica e quindi, di rimando, dei diritti garantiti.

No, non credo. La repressione dei moti socialisti di fine '800 e inizio '900 è un fenomeno storico globale, espressione del passaggio dei tempi (come la reazione post 1848). Repressione, secondo l'opinione dell'ultima voce del coro, ossia la mia, inasprita dall'avvento della rivoluzione comunista, che ha rallentato gravemente lo sviluppo della socialdemocrazia (e questa, per me, è una colpa storica gravissima del comunismo). Comunque sia, il movimento sindacale è cresciuto e si è sviluppato (USA a parte) in tutto l'occidente democratico. Come sai, scioperare in URSS era, sino al 1989, giuridicamente impossibile, perché il concetto formale non era proprio conciliabile sul piano astratto con l'ideologia della gestione collettiva delle fabbriche.


1) la detenzione dei nativi americani in campi di concentramento sul finire dell'800 non è così diversa da fenomeni analoghi visti sotto il socialismo reale. Ed ha coinvolto un'intera popolazione civile, senza alcuna esclusione.
Se non sbaglio sul finire dell'800 gli USA erano una democrazia liberale.
Non capisco per quale ragione il tuo metro di valutazione per un regime di inizio secolo dovrebbe essere diverso nei riguardi di un regime analogo, precedente di pochissimi anni, una distanza irrilevante sul piano storico.

Siamo d'accordo che, sul piano morale, un omicidio singolo o uno sterminio di massa trovano la stessa condanna senza perdono. Ma la matrice storica del genocidio dei nativi americani non c'entra nulla con quella dei massacri leninisti e stalinisti: lotta di classe, decisa dal titolare del potere unico, questi; lotta di razze, decisa dalle lobby di affaristi, gli altri (affarismo e razzismo ne sono gli antendenti storici). Semmai, potrei trovare una vicinanza tra la "visione" hitleriana. Resta, ripeto, una colpa senza perdono e una macchia indelebile sulla storia della democrazia americana, che non sottovaluto minimamente.

2) durante la seconda guerra mondiale l'internamento degli italo-americani (non soldati ma civili) è cosa nota.
Parliamo di migliaia di persone la cui unica colpa era avere un'origine italiana, non aver combattuto contro gli USA in guerra. Famiglie intere.
Anche qui, mi sembra che gli USA fossero una democrazia liberale.
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/08/12/italiani-nello-spaghetti-lager-america-rompe.html

Assolutamente. Tra l'altro, anche peggio - come sai- fecero contro i numerosissimi nippo-americani. Il fenomeno non nasce da una concezione ideologica elevata a sistema giuridico istituzionale, ma dalla guerra. Non è un frutto maledetto di una visione del mondo sbagliata, ma il retaggio orribile - uno dei tanti - di un conflitto militare senza precedenti.

3) Il maccartismo negli USA (anni '40-'50, gli stessi di Stalin) colpiva anche i familiari di chi era accusato di essere una spia comunista.
Essere associato al comunismo significava tra le altre cose perdere il saluto dei vicini di casa, avere le proprie finestre bersagliate da lanci notturni di pietre, trovare croci in fiamme in giardino, consolare i figli presi in giro a scuola dai loro compagni, quando non dagli stessi professori” (autobiografia Lester Cole).
Si sosteneva all'epoca che un attore potesse insinuare "comunismo" nella società americana mediante uno sguardo o una inflessione (?!?!?).
Questa cosa ebbe effetti devastanti su chiunque era in odor di comunismo, mica solo ad Hollywood seppure negli USA il partito comunista non avesse che poche migliaia di iscritti.
Il meccanismo di controllo e terrore sociale non era assolutamente dissimile da quello visto nei regimi dell'Est europa, anzi, è di natura e principio assolutamente paragonabili.

Non voglio polemizzare, ma paragonare il terrore stalinista a il terrore maccartista non mi sembea un'operazione corretta: non credo che aiuti a comprendere origine e natura del fenomeno. La stasi ha fatto esperimenti sugli essere umani per tutti gli anni '80, quando in occidente bastavano una luce accesa e due giornalisti per far cadere un presidente. Non sono contesti commensurabili.

4) Negli anni Sessanta e Settanta gli attivisti per i diritti civili vennero perseguitati, arrestati e torturati. Che fossero neri, gay, hippie. Il controllo tramite i servizi segreti interni non era così diverso da quello presente dall'altra parte della cortina nei suoi principi di funzionamento

Col sacrificio di tanti, sono state introdotte leggi che hanno annichilito quei principi (che pure non erano presenti, tanto è vero che in quegli anni si adottò, all'occorrenza, lo strumento delle leggi speciali). Lo sviluppo democratico è stato massiccio e inarrestabile. Ancora oggi in Russia sopravvive il retaggio della discriminazione di stato per i gay.

Un discorso analogo potrebbe essere fatto sulla Francia o sull'Italia.

Non arrivo ai regimi sudamericani perché vorrebbe dire vincere troppo facilmente. Certo, si parla di "regimi sudamericani". Tenuti su molti dagli americani, qualcuno dai russi. E analogo discorso va fatto sui regimi islamici (anche lì, qualcuno inventato dagli USA, altri dall'URSS).

Ma allora la differenza qual'è? E' che avendo vissuto la realtà italiana (o avendone un racconto più diretto) ne riusciamo a cogliere meglio la complessità, senza sciacciarla su un'unica rappresentazione. Mentre per il socialismo reale ci nutriamo unicamente di quella quando invece anche lì abbiamo chi ha vissuto davvero quei passaggi e ha una visione più complessa. Non necessariamente Ostalgica (nel caso della DDR), ma che tiene conto dello scarto tra rappresentazione e realtà.

Quel che voglio dire è che sicuramente è politicamente insensato fare come i neo/post-fascisti e dire "il socialismo reale ha fatto anche delle cose buone". ma grazie al cazzo, non sarebbe durato settant'anni se fosse stato solo repressione e terrore. Non mi interessa proprio sta roba. Sono d'accordo.

Il punto è non buttare, come si dice nell'articolo prima postato, il bambino che nuotava nell'acqua lurida. Un bambino non rappresentazione delle "cose buone" realizzate dal socialismo reale, ma dai processi politici che POI, per varie ragioni storiche, hanno portato al socialismo reale.
Quel bambino portava con sé un messaggio, "un altro mondo è possibile, dipende da voi e merita combattere per esso invece che arrendersi alle barbarie prodotte dal profitto". Ecco, secondo me la cosa più odiosa è stata quella di mascherare una volontà di potere dietro l'immagine di una missione sociale. Il mio convincimento è che l'epilogo della parabola comunista non potesse essere diverso.

Un fascismo democratico è impossibile stesso per chi lo ha pensato e realizzato, un comunismo democratico non solo è possibile, ma è l'UNICO possibile per chi lo ha pensato.

Teorizzando lo strumento sistemico della lotta rivoluzionaria, io francamente non ho mai capito come ci potesse prefigurare l'approdo in una dimensione democratica.

Quel che riscontro nel rancoroso anticomunismo propagandistico, cieco, sommario, è che mentre urla con afflato commosso "guarda com'è sporca quest'acqua", nasconde proprio con essa le mani che tengono giù e soffocano quel bambino.

Io ho due bambini, molto piccoli. Cerchiamo tutti di fare quello che possiamo per rendere il mondo dove vivranno meno ingiusto.

Offline carib

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Re:9 novembre 1989: rinasce la libertà a Berlino Est.
« Risposta #25 il: 12 Nov 2019, 20:07 »
Appunto, senza polemica. Io volevo solo dire che una cosa sono le carceri usate a scopo "politico", altra cosa il tema del regime carcerario "ordinario". Rispetto al quale io reputo che, in Italia, ci sia una vera e propria emergenza (in carcere mi pare che i suicidi siano 10 volte più ricorrenti che fuori dal carcere. Spia di una questione prossima all'emergenza umanitaria). Ma non si parlava di questo, a mio volta, nel p.s.,  volevo capire dove mirasse la replica di FD. Leggo sempre con attenzione e senza pregiudizi quello che dici, anche quando non sono d'accordo. Ma stavolta la nostra conversazione sembrava surreale!! :beer:
#MeToo  :beer:

Penso che l'utilizzo del carcere (e i Centri per immigrati) come strumento di controllo sociale e di repressione abbia una profonda venatura "politica". E penso che purtroppo questa cosa accada in Italia.

Offline FatDanny

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Re:9 novembre 1989: rinasce la libertà a Berlino Est.
« Risposta #26 il: 13 Nov 2019, 15:02 »
scusami ma rispondere così è davvero complicato, usa almeno altri colori
 :beer:

1) mi pare curioso che se a uccidere sono i capitalisti questo è un fenomeno storico se invece sono i socialisti è una peculiarità ideologica.
Mi sembra che sia tu (o meglio l'anticomunismo) ad assegnare le caratteristiche ideologiche e derivarne poi le conseguenze.

2) che la repressione dei moti socialisti si inasprì con la rivoluzione russa mi sembra un aggravante.
La rivoluzione russa non fu un colpo di stato, su questo sono pronto ad aprire un confronto approfondito di natura storica. Vado anche ad un altro punto successivo: la rivoluzione non è un colpo di stato, non capisci come si possa prefigurare un approdo democratico perché interpreti male il concetto di "rivoluzione" e "lotta rivoluzionaria".
Rivoluzione non è prendere il potere con le armi, i bolscevichi non presero il potere con le armi. I bolscevichi difesero il potere conquistato dai soviet con le armi (manco nella famosa presa del palazzo d'inverno si sparò più che qualche colpo). C'è una bella differenza.
Rivoluzione è il cambio radicale dell'ordine economico, politico e sociale. Non può mai avvenire grazie alla violenza, al massimo la violenza l'accompagna. Dico che è impossibile perché puoi cambiare un regime politico con la violenza (colpo di stato) ma i regimi sociali ed economici sono fatti di relazioni umane, se non ci sono gli esseri umani in carne e ossa a dirigersi in quella direzione non c'è modo di costringerli. Per questo dico che l'UNICO modo per realizzare la rivoluzione comunista è quello democratico.
Finché si pensa alla rivoluzione come all'assalto dei palazzi del potere da parte di fazioni popolari fucili in pugno non si capirà una virgola della politica marxista, mistificata più o meno quanto l'economia marxista.

3) Dici che l'internamento degli italiani e dei giapponesi non è frutto di un regime, ma di una guerra.
Ok, lo capisco. Ma allora perché non usi lo stesso metro con Lenin???? Guarda che le UNICHE scelte antidemocratiche che prese furono proprio in ambito di guerra.
Restano discutibili, ma l'ambito è assolutamente quello. Come già ti ho fatto notare, non c'è equità nel giudizio tra i due fronti in rapporto a contesti analoghi. per l'occidente che si sia in guerra vale, per i socialisti no.

4) Quali sarebbero i massacri leninisti???? Io la storia russa la conosco piuttosto bene (se parliamo di quegli anni proprio al dettaglio) e non ho memoria di massacri attuati né direttamente né indirettamente da Lenin.
L'unico fatto storico segnato da esecuzioni sommarie fu Kronstadt (1921). Ma, pur essendo io convinto che si sia trattato di un grave errore, va doverosamente aggiunto che quei soldati sarebbero stati fucilati in QUALSIASI esercito di QUALSIASI paese.
Tuttavia può essermi sfuggito, figuriamoci, quindi ti invito a esplicitare di quali massacri è responsabile Lenin.

5) rileggi bene sul maccartismo, l'ho paragonato a strategie di controllo di altri regimi dell'Est, NON allo stalinismo che, come specificato già un paio di volte, è tragicamente peculiare sul piano della repressione interna.

Offline carib

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Re:9 novembre 1989: rinasce la libertà a Berlino Est.
« Risposta #27 il: 13 Nov 2019, 15:06 »
.. la rivoluzione non è un colpo di stato, non capisci come si possa prefigurare un approdo democratica perché interpreti male il concetto di "rivoluzione" e "lotta rivoluzionaria".
Rivoluzione non è prendere il potere con le armi, i bolscevichi non presero il potere con le armi. I bolscevichi difesero il potere conquistato dai soviet con le armi. C'è una bella differenza.
Rivoluzione è il cambio radicale dell'ordine economico, politico e sociale. Non può mai avvenire grazie alla violenza, al massimo la violenza l'accompagna. Dico che è impossibile perché puoi cambiare un regime politico con la violenza (colpo di stato) ma i regimi sociali ed economici sono fatti di relazioni umane, se non ci sono gli esseri umani in carne e ossa a dirigersi in quella direzione non c'è modo di costringerli. Per questo dico che l'UNICO modo per realizzare la rivoluzione comunista è quello democratico.

Sposami  :beer:

Offline orchetto

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Re:9 novembre 1989: rinasce la libertà a Berlino Est.
« Risposta #28 il: 14 Nov 2019, 16:55 »
I "muri democratici" (o barriere che dir si voglia) sparsi qua e la per il mondo, generalmente per tenere lontani i diseredati, non godono della stessa attenzione mediatica, della stessa retorica, dello stesso strapparsi le vesti, che fu data al Muro di Berlino.
La barriera tra USA e Messico o il muro in Israele lungo la Cisgiordania o quello nel deserto del Marocco, di sabbia e mine per tenere a bada il popolo Saharwi (ed altri ancora...)

Visto che "si celebra" una annessione di uno stato su di un altro -questo in molti se lo dimenticano- e per giustificare ciò si usano i morti sparati dai Vopos (ovviamente i Vopos potevano pure mori male), a sto punto io me li andrei a contare questi morti, muro per muro, di tutti i muri...

Ovvio poi che nel delirio di onnipotenza del capitalismo, che tutto fagocita, ingloba, sfrutta, dissecca, compra, mercifica cervelli e corpi il fatto che probabilmente il Muro di Berlino abbia scongiurato una guerra atomica sul suolo europeo frega il nulla ai suoi servi e ai suoi cantori.
Re:9 novembre 1989: rinasce la libertà a Berlino Est.
« Risposta #29 il: 14 Nov 2019, 17:01 »
scusami ma rispondere così è davvero complicato, usa almeno altri colori
 :beer:

Volevo buttà in caciara la discussione, pe fregatte  :beer: :beer: :beer: :beer: :beer: Scusa, sono instupidito dai trigliceridi

Certo, l'attualità ci chiama su ben altri tavoli di discussione, ma volevo finire le mie osservazioni.

1) mi pare curioso che se a uccidere sono i capitalisti questo è un fenomeno storico se invece sono i socialisti è una peculiarità ideologica.
Mi sembra che sia tu (o meglio l'anticomunismo) ad assegnare le caratteristiche ideologiche e derivarne poi le conseguenze.

Critica che ci sta, ma non credo fondata. Io assumo che una connotazione storica degli stati comunisti sia stata proprio quella del "terrore", mentre fenomeni antidemocratici, dispotici e criminosi intervenuti nei regimi democratici (su cui il giudizio etico è, ovviamente, senza perdono) non siano stati ieri, e non siano oggi, sistemici ma, anzi, vietati dalle stesse leggi  che compongono l'ordinamento giuridico di riferimento. Comunque, le nostre posizioni sono tanto chiare quanto differenti, capisco che non c'è possibilità di conciliazione.

2) che la repressione dei moti socialisti si inasprì con la rivoluzione russa mi sembra un aggravante.
La rivoluzione russa non fu un colpo di stato, su questo sono pronto ad aprire un confronto approfondito di natura storica. Vado anche ad un altro punto successivo: la rivoluzione non è un colpo di stato, non capisci come si possa prefigurare un approdo democratico perché interpreti male il concetto di "rivoluzione" e "lotta rivoluzionaria".
Rivoluzione non è prendere il potere con le armi, i bolscevichi non presero il potere con le armi. I bolscevichi difesero il potere conquistato dai soviet con le armi (manco nella famosa presa del palazzo d'inverno si sparò più che qualche colpo). C'è una bella differenza.
Rivoluzione è il cambio radicale dell'ordine economico, politico e sociale. Non può mai avvenire grazie alla violenza, al massimo la violenza l'accompagna. Dico che è impossibile perché puoi cambiare un regime politico con la violenza (colpo di stato) ma i regimi sociali ed economici sono fatti di relazioni umane, se non ci sono gli esseri umani in carne e ossa a dirigersi in quella direzione non c'è modo di costringerli. Per questo dico che l'UNICO modo per realizzare la rivoluzione comunista è quello democratico.
Finché si pensa alla rivoluzione come all'assalto dei palazzi del potere da parte di fazioni popolari fucili in pugno non si capirà una virgola della politica marxista, mistificata più o meno quanto l'economia marxista.

Chiaro il tuo pensiero. Però mi sembra molto legato a una visione mitica, un po' garibaldina, anzi "blanquista". La rivoluzione nasce inevitabilmente dalla violenza e, inevitabilmente, ripiega sul terrore: per dirla con le parole di uno scrittore che tu forse non ami, un potere rivoluzionario è per definizione un potere tirannico. Detto questo, io sempre avuto difficoltà a capire per quale misterioso percorso certi spiriti liberi e anarcoidi, come te, possano confluire verso un'ideologia che alla tirannia della classe dominate sostituisce la tirannia, ben più ferrea e implacabile, dello stato.

3) Dici che l'internamento degli italiani e dei giapponesi non è frutto di un regime, ma di una guerra.
Ok, lo capisco. Ma allora perché non usi lo stesso metro con Lenin???? Guarda che le UNICHE scelte antidemocratiche che prese furono proprio in ambito di guerra.
Restano discutibili, ma l'ambito è assolutamente quello. Come già ti ho fatto notare, non c'è equità nel giudizio tra i due fronti in rapporto a contesti analoghi. per l'occidente che si sia in guerra vale, per i socialisti no.

4) Quali sarebbero i massacri leninisti???? Io la storia russa la conosco piuttosto bene (se parliamo di quegli anni proprio al dettaglio) e non ho memoria di massacri attuati né direttamente né indirettamente da Lenin.
L'unico fatto storico segnato da esecuzioni sommarie fu Kronstadt (1921). Ma, pur essendo io convinto che si sia trattato di un grave errore, va doverosamente aggiunto che quei soldati sarebbero stati fucilati in QUALSIASI esercito di QUALSIASI paese.
Tuttavia può essermi sfuggito, figuriamoci, quindi ti invito a esplicitare di quali massacri è responsabile Lenin.

Io ho creduto di capire che il modello di rivoluzione concepito da Lenin prenda le mosse dal grande (e a lui prossimo) antecedente della Comune. Lenin decise di "non farsi fregare" allo stesso modo: ergo, ammazziamoli subito tutti, i controrivoluzionari e borghesi. La sua operazione politica è stata, sin dall'inizio intrisa di violenza. Secondo Vasilij Grossman già negli anni di Lenin la violenza aveva cessato «di essere uno strumento per diventare l' oggetto di un' adorazione quasi mistica e religiosa».
Mel'gunov, che magari era di parte e aveva ragioni personali per essere incazzato, scrive Nel Terrore rosso che si era in presenza di «un sistema di metodica attuazione della violenza e dell' arbitrio dell' apoteosi senza remore dell' omicidio inteso come strumento di dominio, alla quale apoteosi non era ancora mai arrivato nessun potere al mondo. Non si tratta di eccessi per i quali si può cercare questa o quella spiegazione nella particolare psicosi indotta dalla guerra civile... L' atrocità morale del terrore, la sua azione disgregante sulla psiche umana, consistono più che nei singoli omicidi in sé, o nel loro numero più o meno consistente, proprio nel suo essere elevato a sistema».
Quanto, nello specifico, alle operazioni di sterminio, non mi riferivo solo all'abietto, e particolarmente vigliacco, massacro di quegli stessi marinai eroi della rivoluzione, a ma a sistematici episodi documentati in modo molto preciso da numerosi storici.
Tanto è vero che, mi pare di capire, la linea di lettura prevalente oggi tenda ad assimilare la concezione di base dell'azione politica dei due tiranni che guidarono l'Unione Sovietica tra il 1917 e il 1953.
Bada, non ti cito Luciano Pellicani, ti rimando a Andrea Graziosi, che parla il russo, ha studiato per vent'anni archivi di ogni tipo con documenti in linga originale e che da giovane ha aderito a autonomia operaia. E che tutt'oggi credo sia ancora "intimamente" comunista.
«Stalin apprese da Lenin la gestione spietata del potere, l'uso elastico dei precetti ideologici a seconda delle circostanze. Leninismo e stalinismo possono essere definiti tirannie, ancorché diverse. Il culto della violenza fu tale fin dall' inizio. Già nel 1906 Lenin scriveva che per la presa del potere si doveva procedere a una guerra rivoluzionaria «disperata, sanguinosa, di sterminio». Alla fine del 1916, pochi mesi prima della rivoluzione d' Ottobre, Lenin era sostanzialmente un isolato. I contatti con il partito in Russia glieli teneva la moglie, Nadezda Krupskaja, nella cui agenda si trovavano solo ventisei indirizzi, sedici dei quali appartenevano a militanti non più attivi e, dei restanti dieci, sette erano a Pietrogrado, a Mosca o al confino e tre nel restante impero russo. Subito dopo la rivoluzione, alla fine del 1917, Lenin confuse l' arretramento in cui versava il Paese a causa della guerra con una nuova fase economica che prefigurava il futuro, si compiacque del fatto che la necessità economica avesse «condotto la Russia ad uno scambio in natura» e sostenne che «in questo si trova il germe dell' economia socialista». I problemi si fecero presto assai complicati. L' uso della forza servì per così risolverli in tempi rapidi. Riprendendo una citazione di Marx su Pietro il Grande, Lenin nel 1918 invitò i bolscevichi a impiegare contro gli avversari della rivoluzione «metodi barbari». Sempre contro quei nemici furono mossi reparti detti «di sterminio», esortati a reprimere «senza pietà». Accanto alle uccisioni, «vi fu il ricorso sistematico alla presa di ostaggi, inclusi donne e bambini, e alla loro esecuzione; alla deportazione, prima di elementi ostili come i proprietari terrieri e i loro famigliari, poi di famiglie contadine e anche di interi villaggi». Nel maggio del 1918, c'è il primo spostamento forzato di popolazione dell' era sovietica, a danno degli abitanti di quattro villaggi cosacchi. Su ordine di Lenin, vi furono in quel periodo «impiccagioni e torture di massa», esecuzioni all' impronta per punire l' uccisione di un comunista (la cui vita «valeva» da dodici a cinquanta vite contadine), per castigare i villaggi «covi» delle rivolte o del «banditismo» (nei decreti si giunse a minacciare la fucilazione di tutti i maschi tra i diciotto e i cinquant' anni), bombardamenti aerei e distruzione non solo di questi covi, ma anche di interi villaggi colpevoli di essersi dedicati al «libero commercio». Questa offensiva viene definita da un dirigente, in una lettera dell' epoca al Comitato centrale, «una politica di sterminio di massa senza alcuna discriminazione». Le prime repressioni «preventivo-categoriali», come la «decosacchizzazione» nel 1919, avvengono ai tempi di Lenin, e pure l'uso della carestia del 1921-22 per liquidare i nemici, accompagnata dalla deportazione degli intellettuali e dalla repressione dei religiosi, «insegnò qualcosa a Stalin». Anche se «il salto di qualità e di scala da lui (Stalin) operato dopo il 1928 è innegabile». Appresa la lezione applicata da Lenin ai cosacchi, Stalin, negli anni Trenta, fece deportare i cittadini sovietici di origine coreana, «colpevoli» di vivere ai confini con la Manciuria, ciò che - secondo lui - avrebbe favorito l'infiltrazione di spie giapponesi. Duecentomila di questi coreani furono spostati in Asia centrale e trentamila morirono durante il viaggio, «pagando un prezzo altissimo alla metodica, e lucidamente paranoica, sospettosità del despota». Ma torniamo agli anni che precedettero l'ascesa di Stalin. Quando, ai tempi della guerra civile, il generale Judenic marciò su Pietrogrado, Lenin scrisse che era «diabolicamente importante massacrarlo». Nell' agosto del 1921, per liquidare la rivolta di Tambov, il generale bolscevico Tukhacevskij ricorse a gas asfissianti per eliminare i ribelli rifugiati nei boschi. Sempre a Tambov, Antonov-Ovseenko, l'eroe dell'Ottobre, fece fucilare decine di ostaggi nelle piazze principali dei paesi per convincere gli abitanti a denunciare i rivoltosi e le loro famiglie. Nella fase finale della guerra civile, nacque un «culto della violenza» che trovò seguaci in rappresentanti locali del regime leninista, i quali sostenevano che era «giunta l' ora di abbandonare le pretese umanitarie» ed esortavano all' applicazione di «misure durissime, inumane». E, come traccia del culto della violenza diffuso tra i bolscevichi, vedi un passo del romanzo L'Armata a cavallo di Isaac Babel'  (citato da Graziosi), in cui vi è la descrizione compiaciuta di come si impara a schiacciare sotto i piedi con gusto la testa di un'oca. In Crimea, ultimo baluardo dei militari «bianchi» avversari della rivoluzione, gli uomini di Lenin chiedono ai giovani ufficiali di presentarsi, promettendo loro la libertà in cambio di una semplice registrazione, dopodiché li uccidono uno ad uno con i metodi descritti ne La scheggia di Vladimir Jakovlevic Zazubrin: esecuzioni individuali di centinaia di persone compiute da boia professionisti. Vengono così massacrate circa dodicimila persone. Lo stesso sistema che sarà poi adottato da Stalin nel 1937-38 e ancora, dopo la spartizione della Polonia, con gli ufficiali polacchi a Katyn.

Del resto, mi risulta che i Gulag nacquero e divennero subito operativi proprio ai tempi di Lenin. Già nel 1920, la regione di Archangel’sk ospitava numerosi lager e i bolscevichi avevano creato sull’isola principale un campo di prigionia, per soggetti catturati durante la guerra civile. Nel 1923, invece, nacque il lager a regime speciale delle Solovki (SLON): Lenin muore l'anno dopo
.



5) rileggi bene sul maccartismo, l'ho paragonato a strategie di controllo di altri regimi dell'Est, NON allo stalinismo che, come specificato già un paio di volte, è tragicamente peculiare sul piano della repressione interna.

Si, avevo capito. Secondo me, sistemi e strategie di controllo in Buglaria, Romani, DDR sono state ben altra roba. Il maccartismo è durato  6/7 anni e il prode sentatore è stato alfine rimosso da una commisione parlamentare d'inchiesta. Non credo siano fenomeni concettualmente paragonabili. Ma neanche eventi assimilabili su un piano storico e politico.   :beer:

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Re:9 novembre 1989: rinasce la libertà a Berlino Est.
« Risposta #30 il: 17 Nov 2019, 09:16 »
Carissimo, non sto ignorando la tua risposta, tuttavia nella seconda parte della settimana, per motivi che non sto qui a spiegarti, non dispongo di una tastiera e risponderti dal telefono ad un post del genere è troppo anche per me  :beer:

Ma sappi che per risponderti in modo più accurato e senza sbavature ho ripreso i testi di grossman e graziosi che non toccavo dai tempi dell'università (ovviamente per ritrovarne le incoerenze, figuriamoci)  :beer:
Re:9 novembre 1989: rinasce la libertà a Berlino Est.
« Risposta #31 il: 17 Nov 2019, 10:50 »
Carissimo, non sto ignorando la tua risposta, tuttavia nella seconda parte della settimana, per motivi che non sto qui a spiegarti, non dispongo di una tastiera e risponderti dal telefono ad un post del genere è troppo anche per me  :beer:

Ma sappi che per risponderti in modo più accurato e senza sbavature ho ripreso i testi di grossman e graziosi che non toccavo dai tempi dell'università (ovviamente per ritrovarne le incoerenze, figuriamoci)  :beer:

Aahahahahah!!!  :chap: :chap:  :chap: :chap:

Guarda che tra poco ricomincia il campionato, sbrighete!!!🤣🤣🤣🤣

Offline FatDanny

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Re:9 novembre 1989: rinasce la libertà a Berlino Est.
« Risposta #32 il: 18 Nov 2019, 15:38 »
In ordine:

1) anche nei regimi a socialismo reale i fenomeni antidemocratici, dispotici e criminosi erano formalmente vietati.
Pensa che il temutissimo Berija, una delle figure più spregevoli degli anni staliniani, si preoccupava nel 1953 di emanare circolari che " disponevano il divieto di qualsiasi misura di pressione fisica e psicologica sui prigionieri, sottolineandone il diritto alla dignità e denunciando le grossolane violazioni della legalità commesse"! (Andrea Graziosi, Guerra e Rivoluzione, Il Mulino 2001)
Se vedi le varie costituzioni sovietiche sono in larga parte più garantiste ed eque di quelle occidentali, ma non ne farei mai un argomento di merito. Occorre andare alle condizioni materiali più che alle enunciazioni formali.
Però se questo è vero non è possibile che si usino due pesi e due misure. Non si può quindi attribuire alla componente ideologica del comunismo quel che allora andrebbe attribuito anche alle democrazie liberali. Oppure in ambedue i casi li si inquadra in fattori contingenti e non ideologici.
Discorso a parte invece per il nazifascismo che faceva di questi elementi coercitivi valori ideologici fondanti.

2) La rivoluzione non nasce inevitabilmente dalla violenza in una visione marxista (mentre invece è proprio la tua una visione blanquista, poiché Blanqui teorizzava proprio il colpo di stato come forma di presa del potere rivoluzionario).
L'ideologia marxista prevede il ricorso alla violenza a difesa del processo, non come strumento per affermarlo. Perché nella misura in cui la storia è una lotta tra classi per il potere, nessuna classe al potere è disposta a cederlo senza difenderlo.
Un potere rivoluzionario è necessariamente un potere dittatoriale (termine più rigoroso di "tirannico")? Potrei anche essere d'accordo, è esattamente il motivo per cui Marx parlava di "dittatura del proletariato". Ma attenzione, non significa essere d'accordo con il partito unico al potere.
Significa semplicemente che cambia il soggetto-guida di un regime politico, dalla borghesia al proletariato. Per dirla con una fotografia sicuramente banale, ma chiara: significa passare da un parlamento fatto di notai, avvocati, imprenditori e dottori a uno composto essenzialmente di lavoratori medi. QUESTO SIGNIFICA passaggio dalla dittatura della borghesia a quella del proletariato, il cambio della COMPOSIZIONE DEL POTERE, non che un partito autoelettosi guida del popolo prende il potere.
Tu pensa che il comunismo si differenzierebbe dal socialismo esattamente perché nella fase comunista dovrebbe venire a cadere anche questa "dittatura" in una società liberata dalle classi.
Quindi, questo si può dire senza dubbio alcuno, la società comunista è notevolmente meno dittatoriale della società socialista, che è ancora caratterizzata dalle forme storiche dei precedenti regimi.
Ecco perché spiriti libertari come me fanno riferimento al marxismo. Perché il marxismo è questo.
E attenzione, non è una visione "mistica", anzi è una visione dotata di un minimo di rigorosità storica.
Lo vediamo al punto 3

3) Il testo da te ripreso non è di Graziosi, il cui lavoro per quanto criticabile (come quello di tutti) è rigoroso, ma dal sito Museo [degli orrori] del Comunismo, che estrapola dal testo di Graziosi quello che gli fa più comodo e, cosa particolarmente odiosa quando parliamo di saggi, facendo uno spezzatino di citazioni volta a fargli dire quel che si vuole.
Basta fare un giro su quel sito per vedere che è una roba priva di credibilità, pura propaganda anticomunista, che anche sulle Foibe scrive cose prive di qualsiasi autenticità e rigore storico.
la solita solfa di derivazione neofascista che rimuove come le foibe furono un fenomeno iniziato dall'ESERCITO ITALIANO FASCISTA ai danni degli slavi.
Senza pensare di convincerti di alcunché ti consiglio di affidarti a fonti più credibili, altrimenti mi sembra naturale che sviluppi questo odio per il comunismo, ma quello a soffrire di mistificazioni diventi tu.
Lo dico in totale amicizia e privo di qualsiasi vena polemica: il comunismo non è stato quello che si legge in sitacci come quelli. Te lo garantisco da storico, prima ancora che da marxista.

Mi sono accorto della cosa perché la "Storia dell'Unione Sovietica" di Graziosi, in particolare "L'URSS di Lenin e Stalin" è stato il testo base che utilizzai all'epoca nei miei studi storici in materia (perché, nonostante quel che pensa qualcuno qui sopra, io svolgo le mie ricerche con rigore e non in un mio mondo ideologico parallelo).
Come testi base di campo opposto utilizzai invece "la Rivoluzione russa" e "la rivoluzione tradita" di Trotzkji.
Non elenco la miriade di monografie successive, ti dico solo che la ricerca era volta ad approfondire il dibattito Stato-Mercato aperto da Liberman-Nemcinov-Trapeznikov con "Piano e Profitto nell'economia sovietica" nel congresso del 1962.
E leggendo la tua risposta, nonostante io conosca le critiche a Lenin di Graziosi, non mi ritrovavo in un testo così poco rigoroso, così gonfio di livore e privo di equilibrio. Tuttavia per correttezza ho ricontrollato prima di partire in quarta senza essere certo dei miei timori.
Ti giro come Graziosi descrive DAVVERO il processo generale della rivoluzione russa e la sua involuzione nel testo citato (per andare nei vari dettagli citati dal tuo testo mi servirebbero dieci post e ve li evito), nota le differenze non per dare credibilità al comunismo ma per toglierla al sito di cui sopra. Da pag. 172:

"L'analisi più profonda delle mutazioni politiche ed economiche scatenate dall'impatto di guerra-rivoluzione-ideologia e guerra civile sul peculiare terrreno storico preparato dallo zarismo fu probabilmente quella elaborata da Sorokin. Rifacendosi anche lui a Spencer e riprendendo, come Mises, la categoria di "socialismo di guerra", egli sostenne che la guerra aveva causato ovunque una deformazione complessiva dello stato, della società e dell'esistenza umana.
Il socialismo di guerra, fenomeno generale come il "bolscevismo mondiale" di Martov, non poteva quindi essere ridotto a mero fatto economico. Si trattava piuttosto di un fenomeno sociale complessivo e quindi anche politico, prodotto da guerra, fame, e impoverimento, e caratterizzato da un rafforzamento della tendenza generale verso l'assolutismo, dispotismo e aumento del controllo statale, vale a dire verso un "dispotismo di stato interventista" che poteva manifestarsi, e di fatto si manifestava, con diverse vesti ideologiche. In Russia, quello che a molti era apparso e appariva come un originale esperimento politico ed economico, non era altro che il più estremo esempio di dispotismo statale, integrato e nutrito da un'economia coatta particolarmente estesa che ne assicurava la sopravvivenza. Tanto il primo che la seconda erano giudicati i prodotti della sequenza guerra-rivoluzione-guerra civile che aveva avuto in Russia durata e intensità maggiori di quelle di analoghi fenomeni in Europa Occidentale, provocandovi perciò l'emergere di una società socialista militare, caratterizzata dall'illimitata estensione dell'intervento statale in ogni sfera dell'esistenza umana, che aveva drasticamente ridotto gli spazi del comportamento autonomo individuale e collettivo.
"

Confronta questo testo con quanto finora detto da me e troverai molte più analogie (da parte di un autore molto distante oggi dalle mie convinzioni) che rispetto al suddetto sitaccio.
Non perché siamo in accordo, ma perché Graziosi è uno storico autorevole, io uno che ha studiato storia contemporanea in modo rigoroso e quello è un sitaccio di disinformazione anticomunista travestito da sito di denuncia.

NON PUOI considerare, per fare un esempio, quanto accaduto a Kronstadt fuori da un contesto di guerra.
Perché in QUALSIASI esercito occidentale un ammutinamento di quel tipo, in piena fase di guerra, avrebbe portato alla fucilazione di tutti i rivoltosi. In QUALSIASI caro mio.
In quello americano, in quello italiano, in quello francese. Sarebbero stati fucilati ovunque. E in diversi eserciti occidentali lo sarebbero tutt'oggi (sicuramente in quello USA o in quello tedesco) perché in guerra vale la legge marziale.
Quindi derivare una causa ideologica o dispotica da un evento come quello è storicamente errato.
Non è solo "poco rigoroso", è proprio sbagliato. E dimostra che ad essere accecato dall'ideologia è proprio chi lo fa. Bada bene, te lo dice chi, sul piano politico, si sente solidale con i fucilati di Kronstadt!!!

Ma torno a dirti che lo stesso Lenin all'epoca parlava del socialismo reale in costruzione come di "CAPITALISMO DI STATO".
Ovvio che io da Marxista (o anche comunista, in questa discussione ha senso riappropriarsi di tale identità che politicamente non userei oggi) non posso essere certo fautore di questo.
Ma semplicemente perché questo grande leviatano statale NON C'ENTRA NIENTE COL COMUNISMO.
Fu il prodotto storico di una serie di contingenze che si combinarono all'ideologia leninista producendo errori ed orrori. In Russia come in Cina.
Ma fare del marxismo e del comunismo l'origine di questi orrori è una panzana storica propagandata per evitare che il rischio di una liberazione autorganizzata della povera gente torni a rappresentare una minaccia storica concreta.
Il Marxismo è un ideale che va in tutt'altra direzione, a chiarissime lettere, ed è la ragione per cui io mi definisco marxista.

E la differenza con i nazifascismi sta in gran parte qui: i nazifascismi teorizzarono apertamente gli orrori poi provocati, il comunismo no. E nel '900, per colpa di chi si è appropriato del termine a fini di potere personale e burocratico, si è finito per chiamare comunismo una roba che niente aveva a che fare con esso. Non un po', proprio niente, basti pensare che il comunismo mira ad abolire lo Stato e viene oggi definito comunista chi vuole che lo Stato sia tutto.

Offline FatDanny

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Re:9 novembre 1989: rinasce la libertà a Berlino Est.
« Risposta #33 il: 18 Nov 2019, 16:55 »
Tanto per dire:

...fenomeni antidemocratici, dispotici e criminosi intervenuti nei regimi democratici (su cui il giudizio etico è, ovviamente, senza perdono) non siano stati ieri, e non siano oggi, sistemici...

Secondo te roba del genere non è sistemica?

https://video.repubblica.it/mondo/londra-julian-assange-incontra-la-giornalista-stefania-maurizi-spiati-nell-ambasciata-dell-ecuador/348186/348772?ref=RHPPLF-BH-I241315260-C4-P9-S1.4-T1

La denuncia del già citato Snowden ci dice esattamente il contrario: il controllo antidemocratico dei cittadini è perpetrato sistematicamente dai governi occidentali.
Snowden ha rischiato e rischia il carcere proprio per aver denunciato alla stampa questa verità che tu oggi vorresti negare, per affermare, astrattamente, che il comunismo è comunque ideologicamente diverso da questo punto di vista.
Anche se la realtà mi sembra dire il contrario
 ;)
Re:9 novembre 1989: rinasce la libertà a Berlino Est.
« Risposta #34 il: 22 Giu 2020, 22:28 »
In ordine:

1) anche nei regimi a socialismo reale i fenomeni antidemocratici, dispotici e criminosi erano formalmente vietati.
Pensa che il temutissimo Berija, una delle figure più spregevoli degli anni staliniani, si preoccupava nel 1953 di emanare circolari che " disponevano il divieto di qualsiasi misura di pressione fisica e psicologica sui prigionieri, sottolineandone il diritto alla dignità e denunciando le grossolane violazioni della legalità commesse"! (Andrea Graziosi, Guerra e Rivoluzione, Il Mulino 2001)
Se vedi le varie costituzioni sovietiche sono in larga parte più garantiste ed eque di quelle occidentali, ma non ne farei mai un argomento di merito. Occorre andare alle condizioni materiali più che alle enunciazioni formali.
Però se questo è vero non è possibile che si usino due pesi e due misure. Non si può quindi attribuire alla componente ideologica del comunismo quel che allora andrebbe attribuito anche alle democrazie liberali. Oppure in ambedue i casi li si inquadra in fattori contingenti e non ideologici.
Discorso a parte invece per il nazifascismo che faceva di questi elementi coercitivi valori ideologici fondanti.

2) La rivoluzione non nasce inevitabilmente dalla violenza in una visione marxista (mentre invece è proprio la tua una visione blanquista, poiché Blanqui teorizzava proprio il colpo di stato come forma di presa del potere rivoluzionario).
L'ideologia marxista prevede il ricorso alla violenza a difesa del processo, non come strumento per affermarlo. Perché nella misura in cui la storia è una lotta tra classi per il potere, nessuna classe al potere è disposta a cederlo senza difenderlo.
Un potere rivoluzionario è necessariamente un potere dittatoriale (termine più rigoroso di "tirannico")? Potrei anche essere d'accordo, è esattamente il motivo per cui Marx parlava di "dittatura del proletariato". Ma attenzione, non significa essere d'accordo con il partito unico al potere.
Significa semplicemente che cambia il soggetto-guida di un regime politico, dalla borghesia al proletariato. Per dirla con una fotografia sicuramente banale, ma chiara: significa passare da un parlamento fatto di notai, avvocati, imprenditori e dottori a uno composto essenzialmente di lavoratori medi. QUESTO SIGNIFICA passaggio dalla dittatura della borghesia a quella del proletariato, il cambio della COMPOSIZIONE DEL POTERE, non che un partito autoelettosi guida del popolo prende il potere.
Tu pensa che il comunismo si differenzierebbe dal socialismo esattamente perché nella fase comunista dovrebbe venire a cadere anche questa "dittatura" in una società liberata dalle classi.
Quindi, questo si può dire senza dubbio alcuno, la società comunista è notevolmente meno dittatoriale della società socialista, che è ancora caratterizzata dalle forme storiche dei precedenti regimi.
Ecco perché spiriti libertari come me fanno riferimento al marxismo. Perché il marxismo è questo.
E attenzione, non è una visione "mistica", anzi è una visione dotata di un minimo di rigorosità storica.
Lo vediamo al punto 3

3) Il testo da te ripreso non è di Graziosi, il cui lavoro per quanto criticabile (come quello di tutti) è rigoroso, ma dal sito Museo [degli orrori] del Comunismo, che estrapola dal testo di Graziosi quello che gli fa più comodo e, cosa particolarmente odiosa quando parliamo di saggi, facendo uno spezzatino di citazioni volta a fargli dire quel che si vuole.
Basta fare un giro su quel sito per vedere che è una roba priva di credibilità, pura propaganda anticomunista, che anche sulle Foibe scrive cose prive di qualsiasi autenticità e rigore storico.
la solita solfa di derivazione neofascista che rimuove come le foibe furono un fenomeno iniziato dall'ESERCITO ITALIANO FASCISTA ai danni degli slavi.
Senza pensare di convincerti di alcunché ti consiglio di affidarti a fonti più credibili, altrimenti mi sembra naturale che sviluppi questo odio per il comunismo, ma quello a soffrire di mistificazioni diventi tu.
Lo dico in totale amicizia e privo di qualsiasi vena polemica: il comunismo non è stato quello che si legge in sitacci come quelli. Te lo garantisco da storico, prima ancora che da marxista.

Mi sono accorto della cosa perché la "Storia dell'Unione Sovietica" di Graziosi, in particolare "L'URSS di Lenin e Stalin" è stato il testo base che utilizzai all'epoca nei miei studi storici in materia (perché, nonostante quel che pensa qualcuno qui sopra, io svolgo le mie ricerche con rigore e non in un mio mondo ideologico parallelo).
Come testi base di campo opposto utilizzai invece "la Rivoluzione russa" e "la rivoluzione tradita" di Trotzkji.
Non elenco la miriade di monografie successive, ti dico solo che la ricerca era volta ad approfondire il dibattito Stato-Mercato aperto da Liberman-Nemcinov-Trapeznikov con "Piano e Profitto nell'economia sovietica" nel congresso del 1962.
E leggendo la tua risposta, nonostante io conosca le critiche a Lenin di Graziosi, non mi ritrovavo in un testo così poco rigoroso, così gonfio di livore e privo di equilibrio. Tuttavia per correttezza ho ricontrollato prima di partire in quarta senza essere certo dei miei timori.
Ti giro come Graziosi descrive DAVVERO il processo generale della rivoluzione russa e la sua involuzione nel testo citato (per andare nei vari dettagli citati dal tuo testo mi servirebbero dieci post e ve li evito), nota le differenze non per dare credibilità al comunismo ma per toglierla al sito di cui sopra. Da pag. 172:

"L'analisi più profonda delle mutazioni politiche ed economiche scatenate dall'impatto di guerra-rivoluzione-ideologia e guerra civile sul peculiare terrreno storico preparato dallo zarismo fu probabilmente quella elaborata da Sorokin. Rifacendosi anche lui a Spencer e riprendendo, come Mises, la categoria di "socialismo di guerra", egli sostenne che la guerra aveva causato ovunque una deformazione complessiva dello stato, della società e dell'esistenza umana.
Il socialismo di guerra, fenomeno generale come il "bolscevismo mondiale" di Martov, non poteva quindi essere ridotto a mero fatto economico. Si trattava piuttosto di un fenomeno sociale complessivo e quindi anche politico, prodotto da guerra, fame, e impoverimento, e caratterizzato da un rafforzamento della tendenza generale verso l'assolutismo, dispotismo e aumento del controllo statale, vale a dire verso un "dispotismo di stato interventista" che poteva manifestarsi, e di fatto si manifestava, con diverse vesti ideologiche. In Russia, quello che a molti era apparso e appariva come un originale esperimento politico ed economico, non era altro che il più estremo esempio di dispotismo statale, integrato e nutrito da un'economia coatta particolarmente estesa che ne assicurava la sopravvivenza. Tanto il primo che la seconda erano giudicati i prodotti della sequenza guerra-rivoluzione-guerra civile che aveva avuto in Russia durata e intensità maggiori di quelle di analoghi fenomeni in Europa Occidentale, provocandovi perciò l'emergere di una società socialista militare, caratterizzata dall'illimitata estensione dell'intervento statale in ogni sfera dell'esistenza umana, che aveva drasticamente ridotto gli spazi del comportamento autonomo individuale e collettivo.
"

Confronta questo testo con quanto finora detto da me e troverai molte più analogie (da parte di un autore molto distante oggi dalle mie convinzioni) che rispetto al suddetto sitaccio.
Non perché siamo in accordo, ma perché Graziosi è uno storico autorevole, io uno che ha studiato storia contemporanea in modo rigoroso e quello è un sitaccio di disinformazione anticomunista travestito da sito di denuncia.

NON PUOI considerare, per fare un esempio, quanto accaduto a Kronstadt fuori da un contesto di guerra.
Perché in QUALSIASI esercito occidentale un ammutinamento di quel tipo, in piena fase di guerra, avrebbe portato alla fucilazione di tutti i rivoltosi. In QUALSIASI caro mio.
In quello americano, in quello italiano, in quello francese. Sarebbero stati fucilati ovunque. E in diversi eserciti occidentali lo sarebbero tutt'oggi (sicuramente in quello USA o in quello tedesco) perché in guerra vale la legge marziale.
Quindi derivare una causa ideologica o dispotica da un evento come quello è storicamente errato.
Non è solo "poco rigoroso", è proprio sbagliato. E dimostra che ad essere accecato dall'ideologia è proprio chi lo fa. Bada bene, te lo dice chi, sul piano politico, si sente solidale con i fucilati di Kronstadt!!!

Ma torno a dirti che lo stesso Lenin all'epoca parlava del socialismo reale in costruzione come di "CAPITALISMO DI STATO".
Ovvio che io da Marxista (o anche comunista, in questa discussione ha senso riappropriarsi di tale identità che politicamente non userei oggi) non posso essere certo fautore di questo.
Ma semplicemente perché questo grande leviatano statale NON C'ENTRA NIENTE COL COMUNISMO.
Fu il prodotto storico di una serie di contingenze che si combinarono all'ideologia leninista producendo errori ed orrori. In Russia come in Cina.
Ma fare del marxismo e del comunismo l'origine di questi orrori è una panzana storica propagandata per evitare che il rischio di una liberazione autorganizzata della povera gente torni a rappresentare una minaccia storica concreta.
Il Marxismo è un ideale che va in tutt'altra direzione, a chiarissime lettere, ed è la ragione per cui io mi definisco marxista.

E la differenza con i nazifascismi sta in gran parte qui: i nazifascismi teorizzarono apertamente gli orrori poi provocati, il comunismo no. E nel '900, per colpa di chi si è appropriato del termine a fini di potere personale e burocratico, si è finito per chiamare comunismo una roba che niente aveva a che fare con esso. Non un po', proprio niente, basti pensare che il comunismo mira ad abolire lo Stato e viene oggi definito comunista chi vuole che lo Stato sia tutto.

Fat, mi ero perso questo interessantissimo post. Ti ringrazio molto per il tempo e l'attenzione al particolare che ci hai dedicato e perdonami se non avevo risposto.

Ora, mi sono riletto la nostra discussione un po' rapidamente e mi pare che noi abbiamo due urgenze contrapposte.

La tua, se ho ben capito, è quella di dimostrare l'erroneità storica della lettura (frutto di una interpretazione storicamente manipolata) che assegna all'ideologia comunista l'intrinseca vocazione all'assolutismo, alla violenza, all'autorerenzialità.

La mia - attrenzione: quella da cui sono partito in questa discussione - circa la natura immediatamente violenta, dittatoriale e sanguinaria della rivoluzione voluta, promossa e perseguita da Lenin. Che è pervenuta esattamente alla necessarie conseguenze della "visione" del processo marxiano attinta da Lenin.

Per rafforzare questa mia affermazione avevo citato un testo di un ex militante di estrema sinistra, il prof. Graziosi. Ovviamente, senza la presunzione di farti una lezione di storia sul comunismo, che rappresenta il tuo sommo territorio di elezione, non il mio.

Ora, cominciando proprio da quest'ultimo aspetto, ti rinvio a pag. 151 del libro di Graziosi, dove si legge "nacque così un culto della violenza che trovò seguaci in rappresentanti locali del regime, i quali sostenevano che "era giunta l'ora di abbaaonbdonare le prertese umanitarie che ci sostano molto caro, che ci scavano la fossa" [....] in qersto culto, di cui torviamo le tracce nell'Armata a cavallo di Babel [....]" eccetera

Graziosi, poi, riporta in tutta la prima parte del libro (fino a pag. 215) una ampia selezione delle efferatezze commesse, con lucida volontà e determinazione, da quel mostro di Lenin.

Racconta le istruzioni date per procedere agli stermini di massa dei contadini, che egli vedeva contrapposti, come classe in nuce contrapposta a quella operaia e dunque controrivoluzionari. Nell'estate del 1918, Lenin avvia la compagna per estorcere ai villaggi il grano che i contadini avrebbero dovuto vendere al governo per un prezzo fisso irrealisticamente basso. Le istruzioni sono note "impiccate senza ombra di dubbio coss'chè la gente possa vedere non meno di cento kulaki conosciuti... fatelo in modo le che la gente per centinaria di verste possa vedere, tremare, sapere, gridare: stranno strangolando e strangoleranno a morte i vampiri kulaki".


Sul tema della persecuzione religiosa, ti ricodo che Lenin teorizza: “La religione è una delle forme dell'oppressione spirituale” , infatti “La religione predica l'umiltà e la rassegnazione nella vita terrena a coloro che trascorrono tutta l'esistenza nel lavoro e nella miseria, consolandoli con la speranza di una ricompensa celeste; invece, a coloro che vivono del lavoro altrui la religione insegna la carità in questo mondo, offrendo così una facile giustificazione alla loro esistenza di sfruttatori”; quindi “La religione dev'essere dichiarata un affare privato”.  (Socialismo e religione)

Queste le istruzioni impartite a Molotov (pag. 159 L'Urss di Lenin e Stalin): "è precisaamente ora, e solo ora, quando nelle regioni in preda alla carestia la gente mangia carne umana, e centinaia se mnon migliaia di corpi giacciono sulle strade, che possiamo (e quindi dobbiamo) portare avanti la confisca dei valori posseduti dalla chiesa, con la più selvaggia e spietata energia, non fermandoci dinanzi ad alcuna resistenza. Più grande sarà il numero di preti e borghesi reazionari che riusciremo a giustiziare per questo motivo, meglio sarà. Dobbiamo insegnare ora a questa gente una lezione tale che non osino nemmeno pensare a qualunque resistenza per alcuni decenni".

Del resto, ancora Graziosi, in un passaggio un po' rapido (pag. 51) ipotizza il tributo di Lenin ai costrutti blanquisti.

Detto questo, mi pare che la sentenza definitiva su Lenin e sul comunismo leninsta si debba scrivere partendo da un punto: "l’emancipazione della classe lavoratrice deve essere opera dei lavoratori stessi". Converrai, uno dei cardini del pensiero di Marx

Esattamente la tesi negata, nel concreto della storia, dal rivoluzionario (vero) Lenin, che si pone un obiettivo politico, non filosofico: "per il passaggio dal regime borghese a quello socialista, per la dittatura del proletariato, la Repubblica dei Soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini non soltanto è una forma di istituzione democratica di tipo più elevato (in confronto a una comune repubblica borghese che abbia un’Assemblea costituente come coronamento), ma è anche l’unica forma capace di assicurare il passaggio al socialismo nel modo meno doloroso [....] la coscienza rivoluzionaria può essere apportata alla classe operaia solo dall’esterno”.

Da chi, precisamente?

Ecco l'epifania del dogmatismo, dell'illuminato (dal marxismo-comunismo) in grado di rimodellare la natura umana, "infinitramente malleabile"  e di condurla sino al compimento della sua tratettoria storica per come ipotizzata da Marx e Engels.

"Lenin è un artista che ha lavorato gli uomini come altrti artisti lavorano il marmo e i metalli. Ma gli uomini sono più duri del macigno e meno malleabili del ferro. Il capolavore non c'è L'artitsta ga fallito. Il Compito era superiore alla sue forza". (la frase è di Mussolini, non ti incazzare, ma ci ha preso. Era il 1920).

Questa realtà ha costretto i regimi comunisti a ricorrere alla violenza come metodo abituale di governo: o vogliamo negare questo dato storico?

Lenin intendeva proprio questo quando definirva la dittatura del proletariato "un potere non limitato da nulla, da nessuna legge, non condizionato da alcuna regola, che si base sulla coercizione".

Scusa, di meglio non riesco a scrivere e tra poco mi prendo pure un cazziatone a casa. Insomma, il senso del mio intervento è questo: io non avrei la minima esitazione a rimuovere qualsiasi dedica toponomastica in ricordo di Lenin. Quale che fosse la sua personale percezione dell'ideale migliore per l'umanità, ha commesso crimini senza perdono e ha concorso in modo decisivo a creare un regime tenebroso, liberticida e sanguinario.
Inoltre, aspetto per me molto importante, noto una diffusa indulgenza nei suoi confronti e non ne capisco il motivo. Si manca di rispetto a troppe persone rimaste senza storia, senza volto, senza memoria delle loro sofferenze, delle loro violenze, delle loro ignobili ingiustizie sopportate. Troppe - milioni - le vittime collaterali, dirette e indirette, della sua parabola storica per poterlo legittimamente traportare in un luogo astratto di studio e riflessione per le generazioni future  (come, invece, è ovviamente opportuno se non necessario fare con Marx e Engels).

Non rileggo, invio e ti saluto con un abbraccio e un forza Lazio.



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Re:9 novembre 1989: rinasce la libertà a Berlino Est.
« Risposta #35 il: 24 Giu 2020, 16:26 »
Io ci sto a fare un discorso rigoroso sul tema però Giorgiò pretendo lo stesso rigore che ci metto io.
Ti ho già detto che il museo degli orrori del comunismo è un sito farlocco privo di qualsiasi rigore storico e tu continui a farvi riferimento come se parlassimo di una fonte affidabile.

Un esempio chiaro in tal senso: mi trovi la fonte storica da cui hai tratto la dichiarazione di Lenin sulla dittatura del proletariato "un potere non limitato da nulla, da nessuna legge, non condizionato da alcuna regola, che si base sulla coercizione".
Perché nella mia biblioteca l'opera di Lenin c'è in termini quasi integrali e non ho memoria di questa affermazione e anche cercando trovo UNA sola fonte, la suddetta non attendibile.
Vogliamo davvero affrontare una discussione storica affidandoci a siti inattendibili (questo esempio ad ulteriore prova)?

Guarda, davvero non mi interessa farti cambiare idea sul comunismo, però se la tua idea in merito te la fai con fonti di questo tipo lo credo bene che lo vedi come male assoluto. Peccato che stai dando credibilità a una roba sul livello dei no vax e dei terrapiattisti. Né più né meno.

Vera invece è la seconda citazione ""per il passaggio dal regime borghese a quello socialista, per la dittatura del proletariato, la Repubblica dei Soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini non soltanto è una forma di istituzione democratica di tipo più elevato (in confronto a una comune repubblica borghese che abbia un’Assemblea costituente come coronamento), ma è anche l’unica forma capace di assicurare il passaggio al socialismo nel modo meno doloroso [....] la coscienza rivoluzionaria può essere apportata alla classe operaia solo dall’esterno” ma ti sembra proporre una dittatura???
Scrive la repubblica dei soviet non il partito bolscevico. Questa citazione la condivido in modo convinto.
E' decisamente più democratica una repubblica sovietica che una qualsiasi democrazia liberale che ti/vi piace tanto. Spero di non dover spiegare la differenza tra soviet (ossia "assemblea") e partito bolscevico. I Soviet erano assemblee di base territoriali, di fabbrica o di azienda agricola. Porli al centro del potere è l'esatto opposto del monopartitismo o dell'assolutismo, per ragioni quasi autoevidenti, ma se non lo sono lo specifico.
Se invece vogliamo discutere del perché questa affermazione non si è realizzata ci sto, c'è tanto da dire.

Finisco sull'ultimo passaggio, quello della coscienza dall'esterno, non è originale di Lenin ma deriva in realtà dal SOCIALISTA Kautzky. E significa semplicemente che un progetto politico rivoluzionario ha bisogno di uno studio e di una strategia tale che non può essere lasciato allo spontaneismo, va organizzato (in tal senso dall'esterno). Trovare le parole prima della frase per credere.
Ovviamente sono contrario all'idea (blanquista) di una rivoluzione per mano di un gruppo di illuminati, anche perché si tratterebbe di una rivoluzione unicamente politica.
Marx, ricordiamolo, era un teorico della rivoluzione SOCIALE.
Partiamo da questa importantissima differenza, che forse ci fa uscire dal fraintendimento: se il centro è la rivoluzione SOCIALE tutti i processi in stile "colpo di Stato" o di presa del potere di un pugno di esseri umani è in aperta contraddizione con il principio cardine del marxismo.
Perché una rivoluzione sociale presuppone che il rovesciamento sia ad opera di un soggetto sociale, quindi un processo di massa e non solo una rivoluzione politica di chi occupa gli  scranni del potere.

Magico? Esoterico?     :o  :o  :o

Qui si parla di verifiche sperimentali, dell'esperienza storica osservata nel XX secolo. Cosa fanno i partiti comunisti quando vanno al potere? Instaurano una dittatura.

Cosa conta la necessità teorica?

Immancabile.
Maleducazione da forum.

non c'è stata alcuna verifica sperimentale di comunismo.
Quello che si è visto sul piano dell'esperienza storica sono regimi antidemocratici caratterizzati dalla totale centralità dello Stato e della Nazione.
Tutti aspetti che con Marx e il comunismo c'entrano davvero poco.
Possiamo interrogarci sul perché si è avuta questa traiettoria, anzi ritengo doveroso farlo.

Ma quando si dice che abbiamo avuto verifica sperimentale del comunismo o delle tesi di marx si stanno dicendo fregnacce. Sul piano storico e politico. Fregnacce, niente più che fregnacce.

Il punto è che fin dall'inizio c'è stata l'ansia smodata di poter dire che Marx avesse fallito, vista la  pericolosità delle sue affermazioni per il potere vigente. Smodata.
Tu cartesio stai soltando replicando quell'ansia, pensando di avere accuratezza storica quando invece non ne hai alcuna.
Altrimenti sostituiresti alla foga il rigore e vedresti che nella deriva burocratica dei vari regimi del socialismo reale di marxista c'è ben poco, anzi in TUTTI questi esperimenti il disastro si è affermato con l'abbandono del marxismo a favore di valori politici reazionari (nazionalismo, autoritarismo, negazione della dialettica e del protagonismo sociale). Poiché questi valori sono antitetici al marxismo attribuirveli è veramente assurdo sul piano storico. Un no sense.
Re:9 novembre 1989: rinasce la libertà a Berlino Est.
« Risposta #36 il: 25 Giu 2020, 12:33 »
Io ci sto a fare un discorso rigoroso sul tema però Giorgiò pretendo lo stesso rigore che ci metto io.
Ti ho già detto che il museo degli orrori del comunismo è un sito farlocco privo di qualsiasi rigore storico e tu continui a farvi riferimento come se parlassimo di una fonte affidabile.

Un esempio chiaro in tal senso: mi trovi la fonte storica da cui hai tratto la dichiarazione di Lenin sulla dittatura del proletariato "un potere non limitato da nulla, da nessuna legge, non condizionato da alcuna regola, che si base sulla coercizione".
Perché nella mia biblioteca l'opera di Lenin c'è in termini quasi integrali e non ho memoria di questa affermazione e anche cercando trovo UNA sola fonte, la suddetta non attendibile.

Vogliamo davvero affrontare una discussione storica affidandoci a siti inattendibili (questo esempio ad ulteriore prova)?

Guarda, davvero non mi interessa farti cambiare idea sul comunismo, però se la tua idea in merito te la fai con fonti di questo tipo lo credo bene che lo vedi come male assoluto. Peccato che stai dando credibilità a una roba sul livello dei no vax e dei terrapiattisti. Né più né meno.

Vera invece è la seconda citazione ""per il passaggio dal regime borghese a quello socialista, per la dittatura del proletariato, la Repubblica dei Soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini non soltanto è una forma di istituzione democratica di tipo più elevato (in confronto a una comune repubblica borghese che abbia un’Assemblea costituente come coronamento), ma è anche l’unica forma capace di assicurare il passaggio al socialismo nel modo meno doloroso [....] la coscienza rivoluzionaria può essere apportata alla classe operaia solo dall’esterno” ma ti sembra proporre una dittatura???
Scrive la repubblica dei soviet non il partito bolscevico. Questa citazione la condivido in modo convinto.
E' decisamente più democratica una repubblica sovietica che una qualsiasi democrazia liberale che ti/vi piace tanto. Spero di non dover spiegare la differenza tra soviet (ossia "assemblea") e partito bolscevico. I Soviet erano assemblee di base territoriali, di fabbrica o di azienda agricola. Porli al centro del potere è l'esatto opposto del monopartitismo o dell'assolutismo, per ragioni quasi autoevidenti, ma se non lo sono lo specifico.
Se invece vogliamo discutere del perché questa affermazione non si è realizzata ci sto, c'è tanto da dire.

Finisco sull'ultimo passaggio, quello della coscienza dall'esterno, non è originale di Lenin ma deriva in realtà dal SOCIALISTA Kautzky. E significa semplicemente che un progetto politico rivoluzionario ha bisogno di uno studio e di una strategia tale che non può essere lasciato allo spontaneismo, va organizzato (in tal senso dall'esterno). Trovare le parole prima della frase per credere.
Ovviamente sono contrario all'idea (blanquista) di una rivoluzione per mano di un gruppo di illuminati, anche perché si tratterebbe di una rivoluzione unicamente politica.
Marx, ricordiamolo, era un teorico della rivoluzione SOCIALE.
Partiamo da questa importantissima differenza, che forse ci fa uscire dal fraintendimento: se il centro è la rivoluzione SOCIALE tutti i processi in stile "colpo di Stato" o di presa del potere di un pugno di esseri umani è in aperta contraddizione con il principio cardine del marxismo.
Perché una rivoluzione sociale presuppone che il rovesciamento sia ad opera di un soggetto sociale, quindi un processo di massa e non solo una rivoluzione politica di chi occupa gli  scranni del potere.


Ti rispondo, così mi sfiammano le bolls per la sconfitta e per il muro del pianto lazialunto.

Io non consulto il sito che dici tu. Come per Graziosi, la citazione parte da un libro, non da un sito.

Quel virgolettato che non risconosci è tratto da R. Pipes, Communism,  Rizzoli, 2003 (trad. E. Banfi), pag. 202. Forse è il sito che tu indichi che ha citato Pipes, non il contrario. Per completezza, ti segnalo che l'indice analitico del volume, che è molto breve, non consente di chiarire in quale sede (lettera, discorso, dispaccio, istruzione, pamphlet, ecc.) Lenin ha formulato quella frase. Ma l'autore che la riporta non è un giornalista improvvisato studioso, ma uno storico del comunismo imprenscidibile (anche solo per criticarlo).

Quanto alla concezione elitaria del comunismo rivoluzionario di Lenin, penso ci siano pochi dubbi in base a quanto ho letto in argomento. La visione di Lenin era molto netta, proabilmente radicatasi sull'esperienza della comune di Parigi. Invece, non sono in grado di valutare la fondatezza del tributo che Lenin avrebbe pagato al "rinnegato" Kautsky, il quale - tra l'altro - accusava l'ex "allievo" di blanquismo e di tradimento dell'ideale, dopo la controversa vicenda dell'abolizione dell'assemblea costituente da parte di Lenin attraverso il cuneo del VCIK.

Detto questo, ribadisco il punto di partenza, ossia l'indulgenza - insopportabile, per me beninteso - verso il mito di Lenin eroe rivoluzionario. Il quale è stato un enorme paraculo sanguinario, che con il camuffamento della balla "potere ai soviet", ha in realtà introdotto il partito-unico, che ha immesso nel potere assoluto e antidemocratico per 70 anni.

La questione delle intersezioni genetiche del pensiero marxiano con le derive totalitariste mi affascina, francamente, molto meno. E' molto più urgente l'analisi delle esperienze marxiste-comuniste per registrarne, con la ricognizione della storia e l'esercizio, conseguente, di una illuminata memoria, le terrificanti impronte insanguinate lasciate nel solco della storia.

Offline FatDanny

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Re:9 novembre 1989: rinasce la libertà a Berlino Est.
« Risposta #37 il: 25 Giu 2020, 16:25 »
Richard Pipes imprescindibile?
Ti sembra normale far passare una citazione di Pipes per una citazione di Lenin?
E' rigoroso o anche solo corretto sul piano formale e metodologico?

La citazione di Pipes è assolutamente scorretta, a meno che non citi un documento, una registrazione, uno scritto, un articolo in cui Lenin avrebbe detto una cosa simile.
Citazione che non viene riportata in alcun libro, compendio, raccolta, niente di niente, nemmeno di altri storici, nemmeno di altri storici antisovietici.
L'ha trovata solo Pipes, purtroppo non possiamo sapere dove.
Ma in linea col personaggio che ha più i caratteri del fanatismo antisovietico che del rigore storico.
Uno talmente fanatico da essere contrario anche alle politiche di disgelo alla fine del secolo scorso perché "guai a fidarsi dei russi", era talmente accecato dalla sua foga da non rendersi conto della piega che la storia stava prendendo.
E tu me lo metti tra gli storici di riferimento imprescindibili.
vabbè ma, te ripeto, così è assolutamente normale farsi certe idee sul comunismo.
Sarebbe come dire ad un ragazzo che vuole approfondire la storia della Lazio di basarsi sui racconti di  galopeira, bruco conti e titti.
Quantomeno pondera sul piatto le due campane. Tu no, tu hai già scelto e per altro ti prendi pure i più infoiati a riferimento.
Cazzo io manco col nazismo so stato sbilanciato quanto mi risulti te dagli autori che tiri fuori.

Nel merito: la visione di Lenin prende a riferimento la Comune di Parigi.
Beh, direi di no, la comune di Parigi è l'esperimento più simile al marxismo della storia contemporanea. Molto più della stessa rivoluzione russa forse. Tanto che Marx deriva proprio da quell'esperienza non una visione di comunismo, ma una direzione per il comunismo.
Che io trovo altamente condivisibile, la Comune è un'esperienza di grande valore. Interessantissima.
Ma quali sarebbero le analogie tra la Comune di Parigi e uno stato autoritario iperstatalista? Perché a vedere i documenti della Comune prima che venisse sterminata (20mila morti trucidati ad armi già deposte, poi dici come mai la rivoluzione va difesa con le armi) dicono tutt'altro.

E si torna a quello che diceva Sobolev nell'altro topic: non si capisce perché queste impronte che tu fissi nella memoria umana affinché "non accada mai più" prendono una direzione sola e non accade la stessa cosa con le strade lastricate di sangue prodotte dal capitalismo, che non ne ha di meno.
Non si capisce per quali ragioni storiche in quei casi fai eccezioni perché "non è il sistema, è quello specifico" mentre invece col comunismo non è così.
Non regge il discorso della controprova perché come è esistito Stalin sono esistite le avventure coloniali inglesi, francesi, tedesche. E in quegli stessi stati, in quegli stessi anni, i poveracci venivano trucidati tanto quanto.
Il punto quindi è: quelle forme erano specifiche del marxismo o di altri fattori storici in gioco?

Io onestamente ti dico che il marxismo-leninismo, figlio di quel tempo, ha le sue responsabilità e non le nego. Ma farne delle PECULIARITA', beh questa è una bella cazzatona.
O meglio, palesa, come ti dissi tempo fa, due pesi e due misure a seconda del regime politico considerato.
Re:9 novembre 1989: rinasce la libertà a Berlino Est.
« Risposta #38 il: 25 Giu 2020, 17:27 »
Richard Pipes imprescindibile?
Ti sembra normale far passare una citazione di Pipes per una citazione di Lenin?
E' rigoroso o anche solo corretto sul piano formale e metodologico?

La citazione di Pipes è assolutamente scorretta, a meno che non citi un documento, una registrazione, uno scritto, un articolo in cui Lenin avrebbe detto una cosa simile.
Citazione che non viene riportata in alcun libro, compendio, raccolta, niente di niente, nemmeno di altri storici, nemmeno di altri storici antisovietici.
L'ha trovata solo Pipes, purtroppo non possiamo sapere dove.
Ma in linea col personaggio che ha più i caratteri del fanatismo antisovietico che del rigore storico.
Uno talmente fanatico da essere contrario anche alle politiche di disgelo alla fine del secolo scorso perché "guai a fidarsi dei russi", era talmente accecato dalla sua foga da non rendersi conto della piega che la storia stava prendendo.
E tu me lo metti tra gli storici di riferimento imprescindibili.
vabbè ma, te ripeto, così è assolutamente normale farsi certe idee sul comunismo.
Sarebbe come dire ad un ragazzo che vuole approfondire la storia della Lazio di basarsi sui racconti di  galopeira, bruco conti e titti.
Quantomeno pondera sul piatto le due campane. Tu no, tu hai già scelto e per altro ti prendi pure i più infoiati a riferimento.
Cazzo io manco col nazismo so stato sbilanciato quanto mi risulti te dagli autori che tiri fuori.


Per carità, Pipes è imprescindibile perche da estremista e divisivo quale è torna utile mettendo a nudo le questioni più impopolari; diventando così centrale per un dibattito anche solo per criticarlo, non perché sia "l'Autorità" di riferimento nel storiografia del comunismo.

Sull'altra quesionte, occhio: io non ho citato Pipes, ho riportato una sua citazione, bada bene tra virgolette, di quella frase di Lenin. Ovviamente, di fronte alla tua affermazione negativa (ossia, Lenin non ha espresso quel pensiero), io per replicare adeguatmente dovrei produrti la fonte diretta (tirando fuori lo scritto di Lenin o riferibile a Lenin), mentre ho soltanto la citazione - tra virgolette e, dunque, stipulativamente testuale - effettuata da Pipes. Di cui non ho letto l'opera integrale, non so se in altri testi rinnova la citazione documentandone la fonte.

Però, in linea di principio, visto che non stiamo scrivendo su riviste scientifiche, non mi sembra di essere stato sleale o improprio. E, francamente, mi sembra strano che Pipes si sia inventato una falsa citazione.

Venendo al sangue versato dal capitalismo nelle sue innumerevoli declinazioni storiche (dal colonialismo della compagnia delle Indie allo sfruttamente del lavoro minorile, nel 1800 come nel 2020) non troverai mai in me la minima indulgenza ma neppure il minimo dubbio circa l'intrinseca diseguaglianza che ne viene generata. Forse il tempo delle rivoluzioni non è finito, o forse si.
Ma, detto ciò, sei poi così sicuro che le critiche ai capitalismi siano, in generale, meno feroci che quelle ai comunismi?

Offline FatDanny

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Re:9 novembre 1989: rinasce la libertà a Berlino Est.
« Risposta #39 il: 26 Giu 2020, 10:42 »
Mi sono evidentemente spiegato male, non davo a te dello scorretto ma a Pipes.
il fatto che quella citazione non risulti in nessun'altra opera, testo, articolo, saggio marca parecchio male, soprattutto perché non parliamo di un autore, Lenin, con poche citazioni eheh.

Mi sembra altamente probabile che Pipes se la sia inventata o l'abbia colpevolmente parafrasata, di solito in questi casi è così. Nulla di sconvolgente, succede spesso, questo dovrebbe farti capire però quanto la fonte che citi sia tutt'altro che imprescindibile.
Si può rimanere nel campo della critica feroce senza inventarsi frasi tra virgolette.

Sull'ultima questione: infatti il tema non è la critica, ma vedere in un caso una peculiarità di un impianto teorico (il marxismo o il comunismo) nell'altro incidenti di percorso.

Ad ogni modo, tornando al leninismo credo anch'io che il concreto processo storico portò le organizzazioni politiche che facevano riferimento al marxismo ad assumere elementi blanquisti, a riprova di ciò il dibattito tra Rosa Luxemburg e Lenin in cui io sposo convintamente le tesi di Luxemburg.
Chiarisce molto bene cosa si intende per dittatura del proletariato nel marxismo e le ragioni storiche per cui il "comunismo di guerra", a torto o a ragione, se ne distanzia.
Faccio notare come spesso il dibattito interno al movimento comunista viene completamente abbattuto dai suoi detrattori, che finiscono volutamente per identificare il pensiero comunista come un moloch dispotico, quando la realtà è sempre stata tutt'altro.
Peccato che queste cose non  si studino. Non credo sia un caso:

Al posto dei corpi rappresentativi usciti da elezioni popolari generali, Lenin e Trotsky hanno installato i soviet in qualità di unica autentica rappresentanza delle masse lavoratrici. Ma col soffocamento della vita politica in tutto il paese anche la vita dei soviet non potrà sfuggire a una paralisi sempre più estesa. Senza elezioni generali, libertà di stampa e di riunione illimitata, libera lotta d’opinione in ogni pubblica istituzione, la vita si spegne, diventa apparente e in essa l’unico elemento attivo rimane la burocrazia. La vita pubblica si addormenta poco per volta, alcune dozzine di capipartito d’inesauribile energia e animati da un idealismo sconfinato dirigono e governano; tra questi la guida effettiva è poi in mano a una dozzina di teste superiori; e un’élite di operai viene di tempo in tempo convocata per battere le mani ai discorsi dei capi, votare unanimemente risoluzioni prefabbricate: in fondo dunque un predominio di cricche, una dittatura, certo; non la dittatura del proletariato, tuttavia, ma la dittatura di un pugno di politici, vale a dire dittatura nel senso borghese, nel senso del dominio giacobino (il rinvio dei congressi dei soviet da tre a sei mesi!). E poi ancora: una tale situazione è fatale che maturi un imbarbarimento della vita pubblica, attentati, fucilazione di ostaggi ecc. Ecco una legge superiore, obiettiva, alla quale alcun partito non è in grado di sfuggire. [...]

E’ compito storico del proletariato, una volta giunto al potere, creare al posto della democrazia borghese una democrazia socialista, non abolire ogni democrazia. Ma la democrazia socialista non comincia soltanto nella terra promessa, una volta costruite le infrastrutture  economiche socialiste, come dono natalizio bell’e fatto per il bravo popolo, che nel frattempo ha fedelmente sostenuto un pugno di dittatori socialisti. La democrazia socialista comincia contemporaneamente alla demolizione del dominio di classe e alla costruzione del socialismo. Essa comincia al momento della conquista del potere da parte del partito socialista. Essa non è null’altro che dittatura del proletariato.

Certo, dittatura! Ma questa dittatura consiste nel sistema di applicazione della democrazia, non nella sua abolizione. In energici e decisivi interventi sui diritti acquisiti e sui rapporti economici della società borghese senza i quali la trasformazione socialista non è realizzabile. Ma questa dittatura deve essere opera della classe, e non di una piccola minoranza di dirigenti in nome della classe, vale a dire deve uscire passo passo dall’attiva partecipazione delle masse, stare sotto la loro influenza diretta, sottostare al controllo di una completa pubblicità, emergere dalla crescente istruzione politica delle masse popolari.

Sicuramente anche i bolscevichi procederebbero esattamente in questi termini, se non soffrissero della spaventosa pressione della guerra mondiale, dell’occupazione tedesca e di tutte le abnormi difficoltà connesse, che non possono non sviare qualunque politica socialista pur traboccante delle migliori intenzioni e dei più bei principi. [...] Sarebbe pretendere il sovrumano da Lenin e compagni, attendersi ancora da loro in tali circostanze che sappiano creare per incanto la più bella democrazia, la più esemplare delle dittature proletarie e una fiorente economia socialista. Col loro deciso atteggiamento rivoluzionario, la loro esemplare energia e la loro scrupolosa fedeltà al socialismo internazionale essi hanno certamente fatto quanto in situazione così diabolicamente difficile era da fare. Il pericolo comincia là dove essi fanno di necessità virtù, fissano ormai teoricamente in tutto e per tutto la loro tattica forzata da queste fatali condizioni e pretendono di raccomandarla all’imitazione del [proletariato] internazionale come il modello della tattica socialista.

Come essi si pongono così in luce da se stessi senza assoluta necessità e pongono il loro effettivo e incontestabile merito storico sotto il moggio di errori determinati dalle necessità, rendono pure un cattivo servigio al socialismo internazionale, per amore e a cagione del quale hanno lottato e sofferto, quando pretendono immagazzinarvi in qualità di nuove conoscenze tutte le storture suggerite in Russia dalla necessità e dalla forza maggiore, e che in ultima analisi furono unicamente le ripercussioni della bancarotta del socialismo internazionale in questa guerra mondiale.


https://www.assemblea.emr.it/cittadinanza/per-approfondire/formazione-pdc/viaggio-visivo/lideologia-nazista-e-il-razzismo-fascista/la-germania-tra-nazionalismo-e-comunismo/la-rivoluzione-di-spartaco/approfondimenti/la-riflessione-di-rosa-luxemburg-sulla-rivoluzione-russa

 

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