Una riflessione letta su fb che ho trovato interessante.
"Il post che segue è molto lungo.
Ma visto che parecchie volte mi è capitato di dover rispondere a persone che mi scrivono, in relazione alle mie recenti posizioni sugli attacchi terroristici in Europa: "ma tu che faresti? Le tue sono sempre e solo parole (blablabla, sinistra buonista ecc)", ho pensato di rispondere una volta per tutte.
Scusate, in meno righe di così non ce l'ho fatta.
Spero che risulti comunque interessante.
Poco fa leggevo dal sito del Fatto Quotidiano circa i fatti di Saint-Etienne-du-Rouvray, vicino Rouen, in cui due uomini sono entrati in una chiesa ed hanno sgozzato un anziano prete: "Uno di loro gridava "Daesh" (acronimo arabo per Stato islamico)".
E questo, oltre al fatto che sia arrivata, puntuale, la solita rivendicazione dell'Isis (che ormai rivendica pure i video di Er Faina e le interviste di Barbara D'Urso) starebbe a significare che il collegamento col terrorismo sia ormai praticamente accertato.
Peccato che il termine "Daesh", in realtà, sia assolutamente disprezzato dai seguaci di Abu Bakr al-Baghdadi, tanto che si parla di punizioni corporali per chi lo utilizza pubblicamente.
Un terrorista che avesse realmente fatto parte dell'Isis non avrebbe MAI potuto gridare "Daesh", insomma, essendo un nome ritenuto estremamente offensivo che, in Francia, viene comunemente usato dai media per riferirsi all'Isis.
Ma andiamo avanti.
L'attentatore terrorista "forse Isis" che avrebbe ucciso in Germania una donna "a colpi di machete" (che poi dove cazzo vivi, che giri con un machete? Nella giungla amazzonica?) era, in realtà, un siriano che lavorava da più di un anno in un ristorante turco, si era innamorato di una collega polacca e, visto che non era corrisposto, l'ha uccisa con un coltellaccio da cucina (che nei titoli dei giornali italiani è magicamente diventato un machete).
Crimine passionale, quindi?
No. Lui era siriano, perciò è "terrorismo".
Altrimenti il titolo sarebbe stato: "Lite tra immigrati, lui uccide lei" e #ciaone.
Forse qualcuno avrebbe parlato di "femminicidio", ma niente di più.
Muhammad Riad, poi, era un diciassettenne che è salito su un treno armato di ascia ed ha ferito 5 persone.
La sua idea era quella di vendicare un amico morto qualche giorno prima in Afghanistan.
Non esattamente il prototipo dell'attacco terroristico organizzato, insomma.
Il killer di Monaco, invece, se ne strasbatteva dell'Isis, della religione e di tutto.
I suoi idoli erano i bianchissimi Breivik e i ragazzi della strage di Columbine, negli USA.
Si sentiva bullizzato, ha avuto un crollo psicotico e il resto lo sapete.
Quello che si è fatto saltare in aria ieri, ad Ansbach, aveva già tentato il suicidio due volte, era stato ricoverato in un ospedale psichiatrico ed era stato arrestato diverse volte per reati legati alla droga.
Però aveva un video sul telefonino in cui giurava fedeltà ad Al Baghdadi.
E gli inquirenti dicono che "forse non era estraneo al fondamentalismo" (che tradotto significa: "non abbiamo prove che avesse contatti con i terroristi, se non un video che si era girato da solo 'sto matto, ma oh, può essere tutto").
Ed in effetti può essere tutto.
Ma finora, negli ultimi attentati, compreso quello di Nizza, è indubbio che il minimo comun denominatore non sia l'Isis, ma la pazzia, la depressione, il conflitto sociale.
Enrico Mentana, però, il nuovo guru della "sinistra responsabile" (anche perché risponde male e fa le battute ai leghisti che intervengono, YEEEEE VAI CHICCO!!) ci fa sapere che è ridicolo imputare i recenti attentati allo stato depressivo o ad altro, anziché all'Isis.
Ok.
Quindi è l'isis che "plagia" le menti fragili spingendo i mediorientali che vivono in Europa al martirio?
Può essere, ma non si vedrebbe DOVE e, soprattutto, QUANDO farebbe questo.
La maggior parte di questi soggetti non andava in moschea e non frequentava siti fondamentalisti.
E, per convincere una persona ad uccidersi in nome di un Dio in cui non credeva fino al giorno prima, ce ne vuole di tempo e di "condizionamento psicologico".
Boh, magari Mentana pensa che l'Isis sia in possesso di un'arma devastante capace di controllare le menti musulmane, ma io francamente la vedo difficile.
Allora? Di che vogliamo parlare?
Di depressione infettiva, come fanno quelli che perculano chiunque metta in dubbio il dogma "È STATO L'ISIS"?
No.
Io, ad esempio, inizierei a parlare di "Effetto Werther", come ha fatto qualche giorno fa Luna Gualano in un post estremamente interessante ed approfondito (molto più approfondito di quanto non faccia io in questa sede).
Di cosa si tratta?
L'Effetto Werther (che prende il nome dal "Giovane Werther" di Goethe), scoperto dal sociologo David Phillips, è un fenomeno psicologico sociale che, in buona sostanza, dice che la notizia di un suicidio pubblicata dai mezzi di comunicazione di massa provoca nella società una catena di altri suicidi.
Lo stesso Phillips ha anche studiato che la stessa cosa avviene anche nel caso di suicidi/omicidi, e che solitamente gli autori di questi gesti tendono ad identificarsi in persone simili a loro stessi (i mediorientali "in cerca di una rivincita sociale" si uccidono/uccidono, io mi sento un emarginato e sono mediorientale = io sono uno di loro, come spiega anche Cialdini per quanto riguarda il meccanismo detto di "Riprova sociale").
Phillips dimostrò anche che il fenomeno imititativo coinvolge non solamente la categoria degli "esecutori materiali," ma riguarda anche le tipologie di crimini e di vittime.
Naturalmente, un fenomeno del genere, in un contesto di emarginazione o di fragilità emotiva (o addirittura di crollo psicotico, di rifiuto di sé stessi, o in presenza di abuso di droghe) tende a diffondersi maggiormente (avendo meno da perdere, è più facile pensare che uccidere gente a caso ed uccidersi sia una soluzione), ma non è detto che debba essere per forza così: di questi fenomeni di emulazione si parlò anche abbondantemente dopo la strage di Columbine, negli Stati Uniti, ad esempio.
Con questo sto dicendo che non esiste il terrorismo fondamentalista, in Europa?
Assolutamente no.
La strage al Bataclan, ad esempio, fu un attacco dell'Isis.
Ci sono i contatti tra gli attentatori ed il gruppo terrorista, c'è la matrice militare e c'è la pianificazione dell'assalto: si è trattato di un attentato orchestrato, non di un siriano che uccide una tizia che non gliel'ha data con un coltello da cucina.
Ma seguitare a procedere per categorie mentali ed associare arbitrariamente ognuno dei recenti atti criminali al fondamentalismo, visto che erano coinvolte delle persone di origine mediorientale, è evidentemente sbagliato.
Perché stiamo guardando dalla parte opposta a quella dove risiede il problema e preferiamo non cogliere tutti quei dati di fatto che indicherebbero altro, pur di non dover riconsiderare da zero il nostro impianto teorico.
O forse preferiamo guardare dall'altra parte perché spesso siamo stati noi ad averli emarginati, accusati, scansati, bullizzati.
Oppure è l'idea di qualcosa di ancor più imprevedibile ed indefinito dell'Isis a farci paura.
Fate voi.
Soluzioni?
Una soluzione sarebbe quella di NON DARE certe notizie, per arrestare l'effetto domino, ma ovviamente è impossibile e sarebbe sbagliato per tutta una serie di ovvi motivi.
Quella più realistica, invece, sarebbe di evitare di associare al fondamentalismo islamico qualsiasi atto criminale compiuto da persone di religione musulmana o, semplicemente, mediorientali, anche quando non il terrorismo c'entra nulla.
Sarebbe un inizio.
Perché quello che ho scritto non è affatto consolatorio: non è "meglio" che non sia stato l'Isis, in certi casi.
In realtà quella a cui stiamo assistendo è la più grande vittoria dell'Isis, finora.
Stanno usando il sensazionalismo dei nostri media contro noi stessi.
Stanno reclutando un esercito di svitati da lontano, senza neanche averli mai contattati, usando la nostra rete di informazione.
Il razzismo e la cecità di chi parla di "Islam" a sproposito, la voglia di "fare notizia col terrorismo" dei nostri media, la nostra paura immotivata del "diverso" sono le armi più potenti che hanno a disposizione.
E le stanno usando con la nostra complicità"
Emiliano Rubbi.