La settimana scorsa sono stato al convegno dell'Anusca, Associazione Nazionale Ufficiali di Stato Civile e Anagrafe, che rappresenta oltre 5mila dei 7.900 Comuni Italiani.
L'argomento delle richieste di cittadinanza da parte di discendenti di italiani all'estero è stato uno dei più trattati.
Sta mettendo in difficoltà molti comuni che non riescono a mandare avanti l'attività corrente a meno di mettere in standby un gran numero di queste richieste.
Richieste che ci stanno creando anche qualche problema con gli altri Paesi europei che si ritrovano un numero elevato di persone legalmente cittadini europei ma che sono in tutto e per tutto equiparabili a immigrati clandestini per quel che riguarda la conoscenza delle lingue, delle norme e le coperture economiche.
Racconto solo un aneddoto riportato da un Comune:
una persona residente in Sudamerica che ha rintracciato un probabile avo in una persona nata in Italia nel 1803, ben prima della nascita dell'Italia come nazione. Però questa persona morì nella seconda metà del 1861, pochi mesi dopo la proclamazione del Regno d'Italia, cosa che darebbe al richiedente il diritto alla cittadinanza.
Casi come questo, ma anche meno eclatanti stanno mettendo in ginocchio gli uffici comunali, pensate alle difficoltà a risalire alla documentazione dell'epoca, non sempre ancora esistente.
Si sta ragionando sul mettere dei paletti, tipo fermarsi a tre generazioni. Che non sarebbe certo poco! Consideriamo che io sono del 1968 e mio nonno, due generazioni quindi, era del 1903. Un mio coetaneo all'estero può stare tranquillamente in situazioni analoghe alla mia. E diventare cittadino europeo senza troppo difficoltà, a differenza di persone che da anni vivono in Italia, lavorano in Italia, pagano le tasse in Italia, hanno figli nati in Italia.