How dare you?

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Offline FatDanny

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Re:How dare you?
« Risposta #400 il: 04 Dic 2019, 07:42 »
Come volevasi dimostrare il problema non è il carbone

https://www.repubblica.it/ambiente/2019/12/04/news/emissioni_co2_2019-242541129/

UnDodicesimo

UnDodicesimo

Re:How dare you?
« Risposta #401 il: 04 Dic 2019, 17:17 »
Infatti il problema sta nel fabbisogno di energia.

Offline FatDanny

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Re:How dare you?
« Risposta #402 il: 17 Dic 2019, 23:54 »
"After all, the climate crisis is not just about the environment. It is a crisis of human rights, of justice, and of political will. Colonial, racist, and patriarchal systems of oppression have created and fueled it. We need to dismantle them all. Our political leaders can no longer shirk their responsibilities."

A quanto pare anche Greta pensa non sia solo una questione di carbonio.  8)
Aggiungere questa dichiarazione a quanto disse all'ONU sulla "favola della crescita" e famo sto bingo va.

 :)

Offline Lativm88

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Re:How dare you?
« Risposta #403 il: 18 Dic 2019, 14:49 »
Sì vabbè cambiamento climatico.

L'altro giorno a Bologna nevicava.

Offline cartesio

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Re:How dare you?
« Risposta #404 il: 22 Dic 2019, 14:48 »

Offline FatDanny

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Re:How dare you?
« Risposta #405 il: 22 Dic 2019, 16:16 »
Re:How dare you?
« Risposta #406 il: 20 Giu 2020, 22:36 »
38° in Siberia, oggi. La più alta temperatura mai registrata. E arriva dopo mesi di lockdown nei quali mi incantavo a guardare gli animali riconquistare spazi impensabili.
Sotto con l'apocalisse, mortacci de noi.
Re:How dare you?
« Risposta #407 il: 23 Giu 2020, 17:50 »
38° in Siberia, oggi. La più alta temperatura mai registrata. E arriva dopo mesi di lockdown nei quali mi incantavo a guardare gli animali riconquistare spazi impensabili.
Sotto con l'apocalisse, mortacci de noi.

I 38° gradi di Verkhoyansk balzano all'occhio, ma il problema risiede soprattutto nella persistenza di queste ondate di calore sulla Siberia. Per dire, l'ultimo inverno russo è stato abbondantemente sopramedia

https://www.ncdc.noaa.gov/sotc/global/202001

Questo è gennaio 2020, poi puoi andare avanti e indietro nel tempo. Direi un bel disastro.
Re:How dare you?
« Risposta #408 il: 25 Giu 2020, 21:41 »
I 38° gradi di Verkhoyansk balzano all'occhio, ma il problema risiede soprattutto nella persistenza di queste ondate di calore sulla Siberia. Per dire, l'ultimo inverno russo è stato abbondantemente sopramedia

https://www.ncdc.noaa.gov/sotc/global/202001

Questo è gennaio 2020, poi puoi andare avanti e indietro nel tempo. Direi un bel disastro.
Sì, purtroppo lo so. Seguo la tragedia del permafrost ormai da un po' di tempo.

Offline Biafra

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Re:How dare you?
« Risposta #409 il: 25 Giu 2020, 22:07 »
Sì, purtroppo lo so. Seguo la tragedia del permafrost ormai da un po' di tempo.

"A French study in 2014 took a 30,000 year-old virus frozen within permafrost, and warmed it back up in the lab. It promptly came back to life, 300 centuries later."

https://www.bbc.com/future/article/20190612-the-poisons-released-by-melting-arctic-ice

http://www.bbc.co.uk/earth/story/20170504-there-are-diseases-hidden-in-ice-and-they-are-waking-up

:roll:

Offline FatDanny

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Re:How dare you?
« Risposta #410 il: 10 Set 2020, 12:34 »

Offline cartesio

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Re:How dare you?
« Risposta #411 il: 10 Set 2020, 21:12 »
Ma no, sarà la rivoluzioneh proletariah.

Mo' che c'entrano tecnologia e progresso? Io vedo nella sovrappopolazione il fattore principale dei cambiamenti su scala globale.
Re:How dare you?
« Risposta #412 il: 11 Set 2020, 01:09 »
Ma no, sarà la rivoluzioneh proletariah.

Mo' che c'entrano tecnologia e progresso? Io vedo nella sovrappopolazione il fattore principale dei cambiamenti su scala globale.

Il fattore demografico in questa storia ha il suo peso, ovviamente; "Il peso del numero" (semicit. Fernand Braudel), inoltre, è un elemento che aggrava la condizione di "sottosviluppo" di quello che un tempo era chiamato "Terzo Mondo", sebbene la parola "sviluppo" sia invisa a una buona fetta dell'ecologismo radicale (e in parte a ragione, anche se la discussione sarebbe lunga: vedi Serge Latouche). Quel "Terzo Mondo" che pagherebbe il prezzo più alto di un'eventuale (ma tuttora indecifrabile) catastrofe climatica.

Ma ridurre il problema del riscaldamento climatico (o la povertà del Sud globale) alla mera quantità della variabile demografica, significa privarsi della possibilità di analizzare i fattori storico-sociali alla base di questioni così complesse.

È un dibattito vecchissimo, ma tuttora irrisolto. Semplificando: Determinismo positivistico contro storicismo (idelista e marxista).

Negli anni '60 - l'alba dell'ecologismo di massa - il saggio "The Popolation Bomb", del biologo Paul Ehrlich, e le riflessioni dello scienziato Barry Commoner (che, semplificando al massimo, riduceva la "questione ambientale" ad un problema di arretratezza tecnologica dell'apparato industriale) venivano avversate proprio da coloro che, sull'onda del '68, criticavano il capitalismo considerato nella sua totalità: come base di relazioni sociali alienate e, contemporanemente, di un alienato rapporto tra la società, l'individuo e la natura.
Tra le tante voci di questo campo - marxisteggiante nell'immaginario collettivo, ma di un anarchismo multicolore nella sostanza - spicca quella del prete spretato Ivan Illich.

Detto che il cambiamento climatico e la questione ambientale (e le loro conseguenze) sono fenomeni cosí grandiosi e complessi che - purtroppo - la scienza del clima e la geomorfologia comprendono ancora troppo poco, pare comunque saggio agire collettivamente sulla base del cosiddetto "principio di precauzione", affidandoci alle informazioni di cui disponiamo e agli scenari che la modellistica piú avanzata ci permette di immaginare. Al limite - con una battuta - potremo dire di aver salvato vite dall'inquinamento.

Che fare, dunque? (cit.)

Agire - efficacemente, in nome di una diffusa giustizia sociale - su scala globale, si sta rivelando un'ingenua utopia; che i piú attenti osservatori avevano già smascherato in tempi non sospetti, mentre la maggior parte dei sapienti ripiega ora su posizioni che indicano in una vaga "speranza", nell'"amore tra i popoli", nella ecumenica "buona volontà" o - ancora peggio, perchè ancora più illusoria - nella sommossa globale delle moltitudini oppresse, la soluzione di un rischio che pare cosí grande da fare persino fatica a concepirlo.

La rivoluzione non ci porterà da nessuna parte, temo.
Anche perché ormai - piaccia o no - si agisce su scala globale e i contesti sociali "adatti" allo scoccare della scintilla rivoluzionaria e, soprattutto, ad una sua fortunata e compiuta realizzazione, si contano sulla dita di una mano. Ma poi: rivoluzione per cosa? Verso dove?

La soluzione gradualista è sempre da preferire, se ci sono le condizioni ("maturità" dei ribelli e "illuminismo" della reazione). Ma muoversi gradualmente, come? Per cosa? E verso dove?

Non piú lontano, ci porta il semplice cambiamento tecnologico, sulla cui natura - le idee geniali non cadono dal cielo - e i suoi effetti (benefici, ma complessi) ci sarebbe da discutere a lungo. Ma ancora: per cosa? E verso dove?

Tanti sono gli scenari, le questioni aperte e i problemi irrisolti.
Tanti gli interessi in ballo.
Tanti i protagonisti.

Ma soprattutto: é la scala spaziale a rendere complicata la soluzione dei cosiddetti 'rischi globali", come sono quelli climatici ed ambientali.
Come agire su scala globale, visto che disponiamo di strumenti la cui legittimazione politica ed ideologica, essenzialmente, é ancora fortemente legata agli stati nazionali?

Senza un serio - collettivo, condiviso - studio storico-sociale e filosofico di cosa siano il capitalismo e la "globalizzazione", e dei rapporti di questi con l'istituzione dello stato-nazione; senza tutto ciò, credo che sperare di comprendere ed affrontare il problema del rapporto tra il "genere umano" e la "natura" sia uno sforzo vano e (nell'ingenuità delle proposte che si avanzano) nel lungo periodo persino pericoloso.

Sui risultati degli scienziati naturali sono molto fiducioso.
Su quelli degli scienziati sociali, decisamente meno.
Senza l'apporto degli uni e degli altri, non si va lontano.

Purtroppo non mancano solo gli strumenti. Ma - a giudicare dal ripetersi di dibattiti che paiono nuovi nella forma, ma ripetitivi nella sostanza - purtroppo sembrano mancare anche le idee.








Offline FatDanny

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Re:How dare you?
« Risposta #413 il: 11 Set 2020, 08:22 »
Ma no, sarà la rivoluzioneh proletariah.

Mo' che c'entrano tecnologia e progresso? Io vedo nella sovrappopolazione il fattore principale dei cambiamenti su scala globale.

non so se sarà la rivoluzioneh proletariah, ma di sicuro sarà il superamento del capitalismo.
Perché il capitalismo, per la sua stessa logica interna, è causa principale del problema e rende semplicemente impossibile la soluzione per le sue necessità di crescita costante di scala e di rapporto di sfruttamento della natura tendente ad uno squilibrio crescente.
Tecnologia e progresso c'entrano nella misura in cui si ritiene che attraverso questi si possa combinare capitalismo e sostenibilità ambientale. La qual cosa è semplicemente una cazzata immonda.

Solo una società in cui determinati fattori sono pianificati può salvare l'ambiente.
Sarà il comunismo? Boh, sicuramente non nella forma storica che abbiamo conosciuto.
Ma una cosa è certa al 120%: non sarà il capitalismo. Se il modello resterà l'attuale semplicemente arriveremo alla distruzione e all'autodistruzione a cui ci avviciniamo a grandi falcate.

PS. Malthus era un nazista, le sue teorie demografiche sono immonde cazzate volte unicamente a giustificare la gerarchia sociale, non è la pressione demografica a devastare gli habitat ma il suo sfruttamento intensivo volto alle economie di scala.
La terra in questo momento, con i campi coltivati in questo momento, potrebbe sfamare anche più dell'attuale popolazione mondiale, sono i criteri di produzione e distribuzione a sballare tutto.
Re:How dare you?
« Risposta #414 il: 11 Set 2020, 10:15 »
Il fattore demografico in questa storia ha il suo peso, ovviamente; (...)


Avevo editato il messaggio, con delle correzioni, ma questa mattina non le leggo più qui. Le ripropongo in corsivo.

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Il fattore demografico in questa storia ha il suo peso, ovviamente; "Il peso del numero" (semicit. Fernand Braudel), inoltre, è un elemento che aggrava la condizione di "sottosviluppo" di quello che un tempo era chiamato "Terzo Mondo", sebbene la parola "sviluppo" sia invisa a una buona fetta dell'ecologismo radicale (e in parte a ragione, anche se la discussione sarebbe lunga: vedi Serge Latouche). Quel "Terzo Mondo" che pagherebbe il prezzo più alto di un'eventuale (ma tuttora indecifrabile) catastrofe climatica.

Ma, ridurre il problema del riscaldamento climatico (o la povertà del Sud globale) alla mera quantità della variabile demografica, significa privarsi della possibilità di analizzare i fattori storico-sociali alla base di questioni così complesse.

È un dibattito vecchissimo, ma tuttora irrisolto. Semplificando: Determinismo positivista contro storicismo (idelista e marxista).

Negli anni '60 - l'alba dell'ecologismo di massa - il saggio "The Population Bomb", del biologo Paul Ehrlich, e le riflessioni dello scienziato Barry Commoner (che, semplificando al massimo, riduceva la "questione ambientale" ad un problema di arretratezza tecnologica dell'apparato industriale) venivano avversate proprio da coloro che, sull'onda del '68, criticavano il capitalismo considerato nella sua totalità: come base di relazioni sociali alienate e, contemporanemente, di un alienato rapporto tra la società, l'individuo e la natura.
Tra le tante voci di questo campo - marxisteggiante nell'immaginario collettivo, ma di un anarchismo multicolore nella sostanza - spicca quella del prete spretato Ivan Illich.

Detto che il cambiamento climatico e la questione ambientale (e le loro conseguenze) sono fenomeni cosí grandiosi e complessi che - purtroppo - la scienza del clima e la geomorfologia comprendono ancora troppo poco, pare comunque saggio agire collettivamente sulla base del cosiddetto "principio di precauzione", affidandoci alle informazioni di cui disponiamo e agli scenari che la modellistica piú avanzata ci permette di immaginare. Al limite - con una battuta - potremo dire di aver salvato vite dall'inquinamento.

Che fare, dunque? (cit.)

Agire - efficacemente, in nome di una diffusa giustizia sociale - su scala globale, si sta rivelando un'ingenua utopia; che i piú attenti osservatori avevano già smascherato in tempi non sospetti, mentre la maggior parte dei sapienti ripiega ora su posizioni che indicano in una vaga "speranza", nell'"amore tra i popoli", nella ecumenica "buona volontà" o - ancora peggio, perchè ancora più illusoria - nella sommossa globale delle moltitudini oppresse, la soluzione di rischi che paiono cosí grandi e complessi da fare persino fatica a concepirne un rimedio possibile (non solo la questione ambientale, ma anche le crescenti disuguaglianze
sociali, i flussi migratori incontrollabili che generano inquietanti reazioni xenofobe su scala mondiale, lo scorazzare indisturbato di capitali speculativi che accrescono i problemi strutturali della finanza pubblica, la crisi di legittimità della politica e dello Stato, etc, etc: tutti problemi solo all'apparenza separati, ma in realtà interconnessi e i cui legami profondi andrebbero esplorati in profondità).


La rivoluzione e il semplice tumulto sociale non ci porteranno da nessuna parte, temo.
Anche perché ormai - piaccia o no - si agisce su scala globale e i contesti sociali "adatti" allo scoccare della scintilla rivoluzionaria e, soprattutto, ad una sua fortunata e compiuta realizzazione, non si contano più nemmeno sulla dita di una mano. Ma poi: rivoluzione per cosa? Verso dove?

La soluzione gradualista è sempre da preferire, se ci sono le condizioni ("maturità" dei ribelli e "illuminismo" della reazione), anche se in una prospettiva storica di lungo periodo, ci si rende conto di come questa sia sempre stata l'eccezione, piuttosto che la regola, delle forme di cambiamento sociale. Ma muoversi gradualmente, come? Per cosa? E verso dove?

Non piú lontano ci porta il semplice cambiamento tecnologico, sulla cui natura - le idee geniali non cadono dal cielo, pur non riducibili completamente alla sociologia  - e i suoi effetti (benefici, ma complessi) ci sarebbe da discutere a lungo. Ma ancora: per cosa? E verso dove?

Tanti sono gli scenari, le questioni aperte e i problemi irrisolti.
Tanti gli interessi in ballo.
Tanti i protagonisti.

Ma soprattutto: é la scala spaziale a rendere complicata la soluzione dei cosiddetti 'rischi globali", come sono quelli climatici ed ambientali.
Come agire su scala globale, visto che disponiamo di strumenti la cui legittimazione politica ed ideologica, essenzialmente, é ancora fortemente legata agli stati nazionali?

Senza un serio - collettivo, condiviso - studio storico-sociale e filosofico di cosa siano il capitalismo e la "globalizzazione", e dei rapporti di questi con l'istituzione dello stato-nazione; senza tutto ciò, credo che sperare di comprendere ed affrontare il problema del rapporto tra il "genere umano" e la "natura" sia uno sforzo vano e (nell'ingenuità delle proposte che si avanzano) nel lungo periodo persino pericoloso.

Sui risultati degli scienziati naturali sono molto fiducioso.
Su quelli degli scienziati sociali e della stragrande maggioranza della riflessione filososfica contemporanea, decisamente meno.
Senza l'apporto degli uni e degli altri, però, non si va lontano.

Purtroppo non mancano solo gli strumenti. Ma - a giudicare dal ripetersi di dibattiti che paiono nuovi nella forma, ma ripetitivi nella sostanza - purtroppo sembrano mancare anche le idee.

Offline cartesio

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Re:How dare you?
« Risposta #415 il: 11 Set 2020, 23:45 »
non so se sarà la rivoluzioneh proletariah,

Citare la rivoluzioneh proletariah era proporre un assurdo a fronte di un altro assurdo. Il progressoh e la tecnologiah ci sono sempre stati ma non hanno portato - fino a pochi decenni fa - ad un processo di impoverimento dell'ambiente paragonabile a quello attuale.

Per me il nuovo elemento responsabile di questo processo, è la sovrappopolazione.


Citazione
ma di sicuro sarà il superamento del capitalismo.

Troppa sicumera. Forse hai scritto male e formulato come sufficiente quello che pensi essere necessario.


Citazione
PS. Malthus era un nazista

Perché? Non conosco un granché le sue teorie, se mi fai un riassuntino magari capisco.

Offline FatDanny

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Re:How dare you?
« Risposta #416 il: 12 Set 2020, 09:01 »
Il progresso e la tecnologia hanno oggi un ruolo storico e ideologico preciso che non c'era affatto in passato, sorgendo con l'illuminismo. Quindi dire che ci sono sempre stati è ignorare questo fondamentale passaggio avvenuto dal 1700 in poi.

Malthus sosteneva che la sovrappopolazione era la causa delle carestie e delle successive crisi demografiche perché la popolazione cresceva geometricamente mentre la produttività della terra cresceva aritmeticamente.
Per questo la miseria era un connotato non solo ineliminabile ma anche augurabile come fattore di controllo della popolazione (se sei povero non riprodurti o morirai di fame te e i tuoi figli).
Una società di ricchezza generalizzata avrebbe portato secondo lui ad un'ingestibile esplosione demografica, quindi non era augurabile. Le sue teorie si iscrivono durante la definizione delle poor law in Inghilterra volte a togliere ai contadini, dopo la terra (enclosures), anche i benefici assistenziali (tramite le chiese) e la possibilità di vagabondaggio e elemosina. In parole povere unione tra privazione della terra, carità e sussidi per costringerli al lavoro salariato.
Il modello economico capitalista si fonda su questa costrizione, in tutto il globo, non solo in inghilterra, ma è un pezzo del passato che edulcoriamo sistematicamente, si studia ma di sfuggita, come se da sempre gli uomini per campare avessero bisogno di altri pronti a comprare la loro forza lavoro e non fosse stato invece un sistemico atto d'imperio per affermare un dominio stringente dei pochi sui molti (si, sto dicendo che sotto una monarchia feudale i singoli per certi versi erano più liberi, senza per questo sostenere che tocca tornare ai vassalli).

Le teorie malthusiane sono state fondamento di buona parte delle teorie economiche liberali, secondo cui il circolo vizioso, dato per vero, poteva essere rotto grazie alle economie di scala.

Alcuni vizi della teoria malthusiana: per sua stessa ammissione l'affermazione che la produttività della terra cresce in termini aritmetici è priva di riscontro empirico (cioè non ha mai provato che quanto sosteneva avesse riscontro reale, eppure tanti hanno considerato scientifica la sua teoria). Tiene conto solo dell'estensione del terreno coltivato e non delle tecniche utilizzate.

Piu in generale attribuire il problema alla sovrappopolazione pecca di astoricitá, ossia manca di cogliere il rapporto specifico, storico, tra popolazione e risorse. Il consumo di risorse cambia in termini storici e anche in termini sincronici non è uguale per tutti.
È lo specifico rapporto di consumo capitalista ad essere il problema, non un inesistente rapporto innato.
Non è la sovrappopolazione a spingere il consumo di risorse naturali a manetta, ma un sistema economico che va in crisi se non le consuma a manetta.
Tanto che questo stesso sistema butta una marea di cose che produce proprio perché i suoi meccanismi rendono preferibile produrre e buttare che non produrre.
Per questo il capitalismo non è in grado in alcun modo di superare le contraddizioni ecologiche, non è nella sua natura, si comporta come nel mondo organico si comporterebbe un cancro: non tende ad un equilibrio metabolico con il suo organismo generale, tende a prendersi tutto e a portare squilibri mortali.

Per questo solo un nuovo rapporto storico, per certi versi pianificato e razionale, può portare a questo risultato.
Di sicuro non il socialismo reale, che era altrettanto produttivista (e in questo svela la sua natura di capitalismo di stato lontano anni luce dal socialismo), ma altrettanto di sicuro la soluzione è oltre il capitalismo.
O l'autodistruzione, a noi la scelta.
Re:How dare you?
« Risposta #417 il: 13 Set 2020, 01:18 »
L'utopismo tecnologico è l'unica utopia possibile (e orizzonte di salvezza possibile) di una società che - come denunciava già Max Weber all'inizio del '900 - sembra destinata alla prigione burocratica, tecnica e disantropomorfizzata della cosiddetta "gabbia d'acciaio".

Le conclusioni di Max Weber - pur partendo da presupposti diversi e le diverse apparenze - sono parenti stretti del dispotismo tecnologico immaginato da Heidegger (signore assoluto dell'esistenzialismo fenomenologico oggi dominante: vedi il postmodernismo) che tanta presa ha avuto ed ha su una larga fetta della sociologia e filosofia occidentale del passato e contemporanea, sia a destra", al "centro" che a "sinistra".

In sostanza: il genere umano ormai è un appendice amorfa dell'apparato tecnico che ha creato, ma che ora lo domina.

Queste due posizioni (Weber e Heidegger) sono a loro volta "uguali e contrarie" al determinismo neo-positivista, tecnologico e naturale, che dà sostanza alla maggioranza del pensiero sociale, filosofico ed ecologico contemporaneo.
Dal determinismo neo-positivista alle filosofie (ideologie) liberali e utilitariste proprie della (fu) borghesia - di cui resta solo lo status economico, non quello "Culturale" - il passo è breve: capitalismo e scienza vanno a braccetto, in maniera organica, dalla fine dell'Ottocento (al gruppo poi si unì il cosiddetto "comunismo storico novecentesco", con le sue ambiguità di fondo e contraddizioni irrisolte; ma questa è un'altra storia).

Riassumendo:
- utopismo tecnologico
- esistenzialismo fenomenologico (l'io è l'Altro: globalizzazione senza limiti)
- determinismo tecnologico ed ecologico (tra cui, anche l'enfasi sul rapporto pop./risorse; la natura vittima di un' "Umanità astratta" e de-storicizzata).
- utilitarismo capitalistico e idealismo liberale (crescita a tasso composto, spirale infinita di profitti: globalizzazione e colonizzazione senza limiti dello spazio e del cyberspazio sociale ed economico).
----------------->
Teoria dello Sviluppo sostenibile, con una spruzzata di "Dottrina sociale della Chiesa" (un progressismo conservatore, in linea con i tempi. Ma ad avercelo un pensiero laico che miri alla "totalità" e soprattutto alla "profonda ricerca di senso" di quello teologico!).

Utopismo, esistenzialismo "de-storicizzato" e determinismi vari: dunque, nessuna apertura ad una critica storico/sociale/filosofica del mondo in cui viviamo da (oltre...) 300 anni, ovvero la realtà sociale ed economica del capitalismo.
L' esperienza storica di lungo periodo ci dimostra che stiamo percorrendo un vicolo cieco.

Finchè - come si legge sulla stragrande maggioranza dei libri universitari - si continuerà a considerare la globalizzazione come una mera appendice dell'innovazione tecnologica (no studio della totalità capitalistica, no studio della totalità sociale) e - come suggerisce SuperQuark - l'innovazione sarà considerata come il solo rimedio ai guasti della "tecnica" (altra cosa rispetto alla "sociale" tecnologia); finchè il dibattito non farà un passo indietro (riscoperta "storicizzata" dei classici del pensiero, non le citazioni di santini ideologici); finche tutto questo non avverrà,  il dibattito intellettuale e - di conseguenza - tutto il cosiddetto "Genere umano" faticheranno a fare significativi e concreti passi in avanti.


"Felice di essere smentito" (cit)  :=))

Offline Tarallo

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Re:How dare you?
« Risposta #418 il: 13 Set 2020, 07:43 »
Ci spieghi per quale processo all'università (e nei libri che ivi si usano) si utilizza solo questo approccio? Ed è vero dappertutto? Perché per me la chiave è lì. Il ciclo si chiude con Repubblica che fa l'articolone "Scoperto il batterio che mangia la plastica" o "Sedicenne vietnamita vince il grant per la migliore idea per risolvere il global warming". E il popolo continua a pensare che sarà la tecnologia a salvarci.

Offline FatDanny

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Re:How dare you?
« Risposta #419 il: 13 Set 2020, 09:28 »
Immanuel wallerstein, da cui FantaTare attinge a piene mani, ti avrebbe detto che è un effetto della progressiva specializzazione del sapere in branche separate. Cosa che ha un suo effetto sul sapere in generale, anche nelle scienze naturali, ma mostra i suoi limiti più pesanti nelle scienze sociali.
Ovviamente la specializzazione ha avuto i suoi vantaggi, come nei nostri topic sulla scienza che consigli a FantaTare di recuperare  ;) criticarla non significa essere contro, ma solo comprendere la realtà nella sua totalità contraddittoria.
La specializzazione ha portato un enorme grado di complessità sulle singole materie ma di mancarle completamente nella loro dinamica generale, che è stata in tal modo astoricizzata, ovvero naturalizzata.
Si è così affermato una sorta di innatismo di alcune tendenze che invece se considerato il lungo periodo e la totalità sociale si spiegano in termini assolutamente storici. E quindi in termini altrettanto storici possono essere superati.

Perché all'università si studiano in questo modo? Perché questa è la cappa ideologica capitalista. La sua efficacia è proprio quella di non imporsi dispoticamente, per decreto governativo come nel socialismo reale, ma di insinuarsi naturalizzando quel che invece è segnato storicamente.

Un esempio su tutti lo accennavo prima sull'accumulazione originaria, il rapporto di compravendita, il contratto.
Studiato nella sua specificità giuridica o economica è un rapporto tra pari. Il capitalista è libero di comprare lavoro, io di venderglielo. Io sono libero di comprare sul mercato i beni di consumo come di non comprarli.

È solo allargando l'analisi alla totalità sociale che questa libertà astratta scompare e lascia il posto ad un dominio brutale, in cui io sono costretto a vendere il mio lavoro e sono altrettanto costretto ad ottenere i beni utili alla mia riproduzione vitale pagandoli a causa di un processo storico secolare in cui qualcuno si è appropriato per decreto, così da un giorno all'altro, di quel che prima era comune. Di quello che era di tutti e fondamentale a fare campare tutti. Trecento anni fa, non migliaia di anni fa.
Così come la libertà e il potere emancipatore delle economie di mercato: possibile sul piano individuale (quello che ce la fa) ma impossibile a livello generale perché questo è evidente che implicherebbe un sovvertimento sociale (e politico).

La specializzazione dei saperi, le loro astrazioni empiriste, o le robinsonate come le chiamava Marx (ossia astrazioni di comportamenti umani presi come singoli, stile Robinson Crusoe), mentre approfondiscono e così sembrano svelare in realtà al contempo celano quelli che sono i rapporti strutturali.

La teoria dei sistemi-mondo (e dell'economia-mondo per stare al contemporaneo) prova ad afferrare proprio questo problema.
 

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