Stamattina procedo come sempre verso l’ufficio mio avvolto nei miei pensieri. Ascolto la rassegna stampa di radio radicale, il mio caffè mattutino, tra le polemiche della politica e le prospettive di imminente ricchezza prodotte dall’alleggerimento fiscale contenute nella legge di stabilità. Intanto compare sul mio smartphone un messaggio di un amico laziale che mi pone l’interrogativo angoscioso (e irresolubile per certi versi) della posizione di Keita sul 4231 di mister Pioli. Sono domande a cui è difficile rispondere così, sic et simpliciter.
Insomma, con la mente affaticata da questi pensieri, fermo al semaforo in attesa di un verde che dia un rilancio anche simbolico al mio futuro prossimo, il mio sguardo si posa sul marciapiede di una piazzetta dove procede solitaria una donna di evidenti origini orientali. La donna è avvolta in un abito con i colori molto accesi, dal rosa all’arancio, non bruttissimo, che la copre completamente, lasciandole soltanto una fessura per gli occhi. Potrebbe sembrare un burqa, ma manca la griglia al posto della fessura, in ogni caso la donna non si può vedere in volto. Rimango sorpreso per una immagine così estrema a cui non ero ancora abituato, soprattutto nel mio quartiere. Mentre la seguo attraversare la strada la vedo incrociare un’altra donna anche lei avvolta in uno scialle color crema che le copre completamente la testa anche se si vede chiaramente il viso, ovviamente orientale. Tutto questo nel mezzo di un gruppo di persone, uomini e donne, occidentali e italiani. Una immagine che non mi ha lasciato indifferente tanto è vero che mi ha spinto ad aprire questa riflessione con chi lo vorrà.
Sono di sinistra, anche internazionalista, mi è sempre piaciuto e mi ha sempre emozionato l’incontro con un’altra persona proveniente da mondi vicini e lontani, comunque diversi dal mio, perché sono convinto e lo sarò per sempre che è un occasione di scambio e di arricchimento, mio personale come suo. Tuttavia, da sinistra e con il mio spiriti progressista, vocato al cambiamento, cresciuto in un paese di forti tradizioni cattoliche ma che ha vissuto le battaglie civili per la liberazione della donna, dal divorzio all’aborto, come anche le rivoluzioni del costume – la liberazione sessuale su tuttw -, questa scena non mi può lasciare indifferente. Faccio fatica ad accettare tutto questo in nome del relativismo culturale. Non so se posso accettarlo: anzi, forse no, non voglio accettarlo. Non sto qui ad invocare leggi che impongano certi costumi, aborro la prospettiva di vedere un vigile urbano intimare l’alt a una pakistana imponendogli di scoprirsi il capo. Mi basta sapere che il nostro paese, con la sua tradizione millenaria di civiltà e di accoglienza, saprà “emendare” questa condizione di donna, sicuramente minoritaria e deteriore, semplicemente vivendo qui da noi e con noi.