L'Italia e la ricerca scientifica

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Offline vaz

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Re:L'Italia e la ricerca scientifica
« Risposta #20 il: 26 Gen 2016, 12:51 »
In ambito di ricerca biomedica il first author è colui che compie exps e redige il paper, l'ultimo è quello che ha  vinto il grant che ha permesso la pubblicazione. ;)
Re:L'Italia e la ricerca scientifica
« Risposta #21 il: 26 Gen 2016, 12:54 »
In ambito di ricerca biomedica il first author è colui che compie exps e redige il paper, l'ultimo è quello che ha  vinto il grant che ha permesso la pubblicazione. ;)

Ok, ti do una notizia in esclusiva, tienti forte: esistono campi di ricerca al di fuori di quello bio-medico! ;)

Offline vaz

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55768
Re:L'Italia e la ricerca scientifica
« Risposta #22 il: 26 Gen 2016, 12:55 »
Eh vabbè ma collegandoci alla polemica sul nome della Cattaneo nei paper si parlava di ricerca biomedica.

Offline cartesio

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Re:L'Italia e la ricerca scientifica
« Risposta #23 il: 26 Gen 2016, 13:00 »

Offline cartesio

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22818
Re:L'Italia e la ricerca scientifica
« Risposta #24 il: 26 Gen 2016, 13:15 »

E cosa dire di un Paese che persegue un modello di sviluppo improvvisato, investe un misero 1,2% del Pil in ricerca e sviluppo e impiega 4,6 ricercatori per mille occupati? Per inciso, le medie Ue sono circa il doppio.

Bisognerebbe vedere come il restante 98,8% dl bilancio dello Stato venga speso, in Italia ed in altri paesi con cui ci confrontiamo. Quale sarà la cifra abnorme che ci divide dalla parte migliore dell'UE?

http://www.rgs.mef.gov.it/VERSIONE-I/Attivit--i/Bilancio_di_previsione/Bilancio_semplificato/Gennaio-2015/

Nel 2015 lo Stato italiano ha un bilancio di 803 miliardi di euro.
Di cui più di 87 di interessi sul debito (BOT, BTP, CCT ecc.).
Fa quasi l'11% del bilancio, solo in interessi passivi.
Una percentuale abnorme in Europa. 

Offline vaz

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Re:L'Italia e la ricerca scientifica
« Risposta #25 il: 26 Gen 2016, 13:20 »

Offline carib

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Re:L'Italia e la ricerca scientifica
« Risposta #26 il: 26 Gen 2016, 14:02 »
Bisognerebbe vedere come il restante 98,8% dl bilancio dello Stato venga speso, in Italia ed in altri paesi con cui ci confrontiamo. Quale sarà la cifra abnorme che ci divide dalla parte migliore dell'UE?

http://www.rgs.mef.gov.it/VERSIONE-I/Attivit--i/Bilancio_di_previsione/Bilancio_semplificato/Gennaio-2015/

Nel 2015 lo Stato italiano ha un bilancio di 803 miliardi di euro.
Di cui più di 87 di interessi sul debito (BOT, BTP, CCT ecc.).
Fa quasi l'11% del bilancio, solo in interessi passivi.
Una percentuale abnorme in Europa.
Uhm... non penso che siano gli interessi sul debito a distrarre la politica dal tema degli investimenti in ricerca. Io penso che sia una questione di ignoranza conclamata, di miopia intellettuale, di idiòzia diffusa, di frustrazione culturale. In questo la penso come Galileo: «Le novità possono mettere a repentaglio le Repubbliche e gli Stati, e allora chi ha il potere, che è ignorante, diventa giudice e piega gli intelligenti».
Re:L'Italia e la ricerca scientifica
« Risposta #27 il: 26 Gen 2016, 14:53 »
Uhm... non penso che siano gli interessi sul debito a distrarre la politica dal tema degli investimenti in ricerca. Io penso che sia una questione di ignoranza conclamata, di miopia intellettuale, di idiòzia diffusa, di frustrazione culturale. In questo la penso come Galileo: «Le novità possono mettere a repentaglio le Repubbliche e gli Stati, e allora chi ha il potere, che è ignorante, diventa giudice e piega gli intelligenti».

mettiamo un momento da parte l'aspetto culturale, siamo pratici: per me, immettere molti (altri) soldi dello stato nel sistema enti+universita' oggi ha poco senso perche'
(a) non c'e' modo di spendere quei soldi in ricerca vera senza avere una dispersione enorme in cose che non c'entrano nulla e servono solo a tenere su l'impianto come e' oggi. servirebbe una riforma profondissima che pero' nessuno dall'interno vuole davvero; prima o poi la si fara' ma ora e' troppo presto, le resistenze interne sono ancora troppo forti.
(b) al momento le leggi sul bilancio dello stato impediscono qualunque "espansione" e renderebbero quindi difficile spendere quei soldi in modo sensato (cioe' per personale stabile o facilities, invece che per personale temporaneo, materiale di consumo e cose del genere). devono cambiare dei vincoli di spesa che non riguardano solo la ricerca ma tutto l'apparato dello stato (tranne la politica, ma vabbe').
Questi sono due dei motivi per cui, qualche tempo fa, e' nato l'IIT. Poi:
(c) i ricercatori migliori hanno bene o male accesso a fondi di altra natura oggi come oggi, e dei soldi statali gliene frega il giusto (sarebbe bello avere un minimo su cui poter contare in periodi di magra in cui non entra un grant, ovviamente, ma il mondo e' cambiato rispetto a quando c'erano solo i fondi pubblici, in italia e in europa aggiungerei, diventando un po' piu' simile a come e' negli usa, solo un po'...).
(d) il cnr di soldi ne ha tanti, anzi tantissimi. vengono dai progetti obiettivo. le regioni del sud ricevono una quantita' di denaro notevolissima per la ricerca. ti posto un esempio a caso: http://www.ponrec.it/open-data/progetti/scheda-progetto?ProgettoID=5362. ti garantisco che 14.5 milioni erogati per un solo progetto sono tantissimi e ci si fanno tantissime cose.
anche l'IIT ha tanti soldi: guarda cosa fanno, i centri che aprono, ecc. chi sta a secco e' l'universita', ma se l'obiettivo e' spostare la ricerca dalle universita' nei centri dedicati (come, per dire, e' grosso modo in Francia) allora tutto sommato ci puo' stare la situazione attuale come transiente. se interessa la ricerca che ti frega dove si fa? io per dire sono uno che crede che universita' e ricerca non debbano per forza andare a braccetto (altro topic).
Questa situazione a mio avviso e' chiarissima al governo, alle commissioni e alle varie agenzie che si occupano di ricerca & co e anche alla cattaneo perche' lei e' stata in mezzo a tutto questo. Di ogni scelta (tipo: fare l'IIT) si puo' discutere se sia giusta o meno ma dire che la ricerca non viene finanziata per un problema culturale e' troppo generico.

questo se parliamo di ricerca, per essere ancora piu' precisi ricerca scientifica (non economia, non humanities: per questi campi non saprei se il problema si pone nelle stesse proporzioni). se parliamo di archeologia e' un altro topic secondo me. se parliamo di universita', pure. se parliamo del futuro dei precari, allora dobbiamo chiederci cosa serve per aprire prospettive ora assenti, e serve come minimo (i) lo sblocco del turnover (che ripeto non riguarda solo la ricerca), (ii) nuovi posti (ma che posti? come? con che regole? anche qui bisognerebbe specificare meglio e se le regole le devono fare quelli che hanno distrutto l'universita' allora beh, aspetta un attimo...), e (iii) riforma complessiva dell'universita' e degli enti, cosa che come dicevo nessuno vuole davvero al momento.

non sto dicendo che va tutto bene. sto dicendo che se domani il governo desse il doppio dei soldi a enti+universita' non ci sarebbe ancora nessuna garanzia che, non dico tutti, ma la meta' di quei soldi saranno usati in modo tale da non contribuire a far scrivere alla cattaneo un altro articolo cosi' fra 10 anni. perche' quell'articolo poteva uscire pari pari 3 anni fa o 5 anni fa o anche 10 o 15 anni fa, senza cambiare una virgola. e questa e' la cosa che a me, che faccio parte di questo sistema, fa piu' incazzare. pubblicita'.

Offline carib

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Re:L'Italia e la ricerca scientifica
« Risposta #28 il: 26 Gen 2016, 15:51 »
Non riesco a mettere da parte l'aspetto culturale.
In assenza di una cultura scientifica diffusa (nell'opinione pubblica e di riflesso nella classe politica) è impensabile ipotizzare la dovuta attenzione delle istituzioni - in termini di investimenti e leggi eque e sensate - nei confronti del mondo della ricerca.
La cultura scientifica - che si porta appresso il senso critico e l'esigenza di crescita civile e democratica di una popolazione - è stata sradicata dalla scuola pubblica italiana. IMHO bisogna ripartire da qui, con un'azione strutturale, in profondità.
A proposito della Cattaneo, da quando è senatrice, sta tentando in tutti i modi di coinvolgere i colleghi del senato proprio in un progetto di legge dia maggior vigore all'insegnamento della scienza, in particolare della storia della scienza, sin dalla scuola elementare. Mi sembra una cosa più che sensata, dati gli scenari.
Re:L'Italia e la ricerca scientifica
« Risposta #29 il: 26 Gen 2016, 17:06 »
Non riesco a mettere da parte l'aspetto culturale.
In assenza di una cultura scientifica diffusa (nell'opinione pubblica e di riflesso nella classe politica) è impensabile ipotizzare la dovuta attenzione delle istituzioni - in termini di investimenti e leggi eque e sensate - nei confronti del mondo della ricerca.
La cultura scientifica - che si porta appresso il senso critico e l'esigenza di crescita civile e democratica di una popolazione - è stata sradicata dalla scuola pubblica italiana. IMHO bisogna ripartire da qui, con un'azione strutturale, in profondità.
A proposito della Cattaneo, da quando è senatrice, sta tentando in tutti i modi di coinvolgere i colleghi del senato proprio in un progetto di legge dia maggior vigore all'insegnamento della scienza, in particolare della storia della scienza, sin dalla scuola elementare. Mi sembra una cosa più che sensata, dati gli scenari.

sul fatto che in italia manchi cultura scientifica sono d'accordo, e' drammaticamente vero. pero' il problema a cui fai riferimento tu e' molto piu' vasto della ricerca, riguarda l'arte, i musei, le biblioteche, il cinema, la tecnologia, la rete (la connessione in italia fa davvero schifo), appunto la scuola. capirai... e quando finiamo? io mi limitavo alla ricerca. a ogni modo concordo, le iniziative della cattaneo sono sensatissime in quest'ottica generale.

a ogni modo non credere che in altri paesi ci sia una cultura scientifica diffusa. io ho lavorato in germania, francia e usa e a mio avviso le cose non sono sostanzialmente migliori che da noi. la differenza principale e' con gli usa. li' tutti capiscono l'importanza di investire in r&d perche' sossoldi. e il sistema e' organizzato in modo funzionale a quello. la cultura non c'entra, non e' proprio un fattore. quando tutti capiscono che r&d sossoldi allora tutti capiscono che conviene investire in r&d. secondo me i soldi sono un argomento piu' convincente della cultura, ma so di essere in minoranza... a ogni modo qui in europa il modello usa e' impensabile senza snaturarlo. e' impensabile in germania dove ci sono industrie, figuriamoci da noi.

Offline cartesio

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Re:L'Italia e la ricerca scientifica
« Risposta #30 il: 02 Feb 2016, 14:23 »
Da http://www.roars.it/online/wp-content/uploads/2015/11/MozioneSA24.11.15.pdf

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA MOZIONE SU VQR E SCATTI STIPENDIALI DEI DOCENTI
Il Rettore informa che dal Direttore del DISFOR è giunta la richiesta di porre all’ordine del giorno della seduta odierna la seguente mozione, sulla quale chiede a codesto Senato di pronunciarsi:

“Il Senato Accademico
Preso atto che:
- nell’ultimo decennio il finanziamento pubblico del sistema della ricerca e dell’alta formazione è stato ridotto in tutte le voci, risorse per i progetti ricerca di rilevante interesse nazionale, FFO e risorse per il diritto allo studio; - a seguito del blocco del turn-over il numero dei docenti di ruolo è diminuito del 20%, con preoccupante innalzamento della loro età media. Nel solo Ateneo Genovese la diminuzione è stata di 326 unità dal 31/12/2007 ad oggi, solo in piccola parte compensata dal reclutamento di ricercatori a tempo determinato, ad oggi 137 unità;
- negli stessi anni risulta sia stato inserito nei ruoli solo il 3% dei lavoratori precari delle Università, stimati in circa 50.000 unità, che in questi anni hanno contribuito all’erogazione dell’offerta formativa e delle attività di ricerca; - è di conseguenza diminuito considerevolmente il rapporto docenti/studenti e aumentato il carico didattico dei docenti, rendendo più difficile lo svolgimento dell’attività didattica e costringendo anche ad un aumento dei corsi a numero programmato, riducendo di fatto l’offerta formativa;
- tutte le politiche recenti riguardo all’Università dimostrano scarsa considerazione nei confronti della docenza universitaria, dimostrata dal reiterato blocco delle progressioni stipendiali, con un danno economico particolarmente rilevante soprattutto per i giovani docenti alle fase iniziali della carriera e per il personale tecnico-amministrativo, bibliotecario e sociosanitario;
Ricordato che:
la docenza universitaria rimane la sola categoria del personale non contrattualizzato del pubblico impiego sottoposta a tale blocco, venuto meno per le altre categorie dal gennaio 2015;
• il perdurare di tale situazione ha l’effetto, distorsivo e demotivante, di accreditare nell’opinione pubblica l’idea che la docenza universitaria rappresenti un costo pesante, al pari della ricerca, da ridimensionare nell’ottica di una spesa pubblica più efficiente; laddove al contrario il Paese può riprendere a crescere e recuperare posizioni nello scenario internazionale solo investendo con decisione nella cultura, nell’innovazione e nel capitale umano altamente qualificato, attività nelle quali l’Università svolge un ruolo primario;
tale blocco può spingere il personale più giovane e più qualificato a trasferirsi all’estero, dove più elevate sono le retribuzioni medie e le risorse a disposizione, per effetto della quota PIL destinata a università e ricerca, che vede invece l’Italia agli ultimissimi posti tra i paesi europei e industrializzati;

Offline vaz

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Re:L'Italia e la ricerca scientifica
« Risposta #31 il: 08 Feb 2016, 10:24 »
http://www.nature.com/nature/journal/v530/n7588/full/530033d.html

traduzione

Autore: Giorgio Parisi*

Chiediamo all’Unione Europea di spingere i governi nazionali a mantenere i fondi per la ricerca a un livello superiore a quello della pura sussistenza. Questo permetterebbe a tutti gli scienziati europei - e non solo a quelli britannici, tedeschi e scandinavi - di concorrere per i fondi di ricerca Horizon 2020.

In Europa i fondi di ricerca pubblici sono erogati sia dalla Commissione Europea che dai governi nazionali. La Commissione finanzia principalmente grandi progetti di collaborazione internazionali, spesso in aree di ricerca applicata, e i  governi nazionali finanziano invece  - oltre che i propri progetti strategici - programmi scientifici su scala più piccola, e operati “dal basso”.

Ma non tutti gli Stati membri fanno la loro parte. Per esempio l’Italia trascura gravemente la ricerca di base. Oramai da decenni il CNR non riesce a finanziare la ricerca di base,  operando in un regime di perenne carenza di risorse. I fondi per la ricerca sono stati ridotti al lumicino. I PRIN (progetti di ricerca di interesse nazionale) sono rimasti inattivi dal 2012, fatta eccezione per alcune piccole iniziative destinate a giovani ricercatori.

I fondi di quest’anno per i PRIN, 92 milioni di Euro per coprire tutte la aree di ricerca, sono troppo pochi e arrivano troppo tardi, specialmente se paragonati per esempio al bilancio annuale dell’Agenzia della Ricerca Scientifica Francese (corrispondente ai PRIN italiani) che si attesta su un miliardo di Euro l’anno. Nel periodo 2007-2013 l’Italia ha contribuito al settimo “Programma Quadro” europeo per la ricerca scientifica per un ammontare di 900 milioni l’anno, con un ritorno di soli 600 milioni. Insomma l’incapacità del Governo Italiano di alimentare  la ricerca di base ha causato una perdita di 300 milioni l’anno per la scienza italiana e  quindi per l’Italia.

Se si vuole evitare che la ricerca si sviluppi in modo distorto nei vari Paesi europei, le politiche nazionali devono essere coerenti tra di loro e garantire  una ripartizione equilibrata delle risorse.

*https://it.wikipedia.org/wiki/Giorgio_Parisi
Re:L'Italia e la ricerca scientifica
« Risposta #32 il: 08 Feb 2016, 13:15 »
Prendetela come una provocazione alla quale io per primo non credo. Ma forse è giunto il momento di chiedersi se l'università italiana non vada chiusa per manifesta inutilità.

Un Paese con il più basso numero di laureati (in proporzione) tra quelli UE e, dopo la Spagna, con il più alto numero di laureati disoccupati, può ancora permettersi il lusso di continuare a sfornare pochi laureati che poi vanno ad incrementare le fila dei disoccupati?

Sulla ricerca scientifica, come sopra visto, siamo un fanalino di coda. Rotto.

Tanto vale studiare e ricercare all'estero. E senza università e ricerca, ci eviteremmo le figure di merda di una Gelmini che sta ancora a cercare i neutrini nel tunnel della depressione cosmica che attanaglia codesto Paese.

Non lo so. Pensiamoci.

Offline cartesio

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Re:L'Italia e la ricerca scientifica
« Risposta #33 il: 08 Feb 2016, 16:15 »
Prendetela come una provocazione alla quale io per primo non credo. Ma forse è giunto il momento di chiedersi se l'università italiana non vada chiusa per manifesta inutilità.


Partendo da premesse false.... 

L'Università italiana non è affatto inutile. In rete ho trovato questo articolo che aiuta ad interpretare i dati che occasionalmente vengono propinati ai lettori.

http://www.corriere.it/scuola/universita/15_novembre_25/ocse-italia-laureati-ultima-educaton-glance-universita-eac49a02-9357-11e5-a439-66ba94eb775e.shtml

Estraggo una frase che mi sembra rilevante.

Poveri di laureati in genere, siamo ricchi di 25-34enni con un titolo equivalente al master (laurea specialistica). Due dati collegati. Se i laureati sono così pochi è anche perché da noi l’equivalente del bachelor (la laurea triennale) è considerato di fatto solo come un gradino intermedio in vista della laurea magistrale. Mentre i percorsi professionalizzanti come gli Its restano percentualmente marginali.

Offline vaz

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Re:L'Italia e la ricerca scientifica
« Risposta #34 il: 16 Feb 2016, 11:15 »

Offline vaz

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Re:L'Italia e la ricerca scientifica
« Risposta #35 il: 16 Feb 2016, 14:41 »

Offline vagabond

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Re:L'Italia e la ricerca scientifica
« Risposta #36 il: 16 Feb 2016, 15:17 »
Partiamo dal presupposto che la preparazione data dal sistema scolastico italiano è una delle migliori al mondo, IMHO. Le eccellenze sono dovute anche a ciò. Quello che sta accadendo negli ultimi anni, sempre in IMHO, è che le strutture per la ricerca, in qualsiasi ambito, sono ormai obsolete.

I nostri "campus" universitari impallidiscono di fronte alle strutture imponenti e moderne degli altri paesi, favorendo un'esportazione della "materia prima" che sono ricercatori o persone vogliose di inventare qualcosa.

Se non si investe in primis sulle strutture non si potrà mai intervenire nel recupero della "materia prima".

Parlo per il mio campo, e per quello su cui ho visto annaspare mia sorella, costretta ad emigrare in Israele prima ed ora in Germania.

Inoltre tutti puntano sulla ricerca, ma quante ali vengono tarpate a giovani promettentissimi che non hanno alle spalle le risorse di emigrare e quindi accettano lavori di qualsiasi genere pur di portare a casa la pagnotta? Anche questo è un gravissimo problema per lo sviluppo del nostro paese.

In conclusione se non si investe alla base, non si può puntare in alto. In Italia noto questo atteggiamento di guardare la foglia perdendosi la bellezza dell'albero.

Offline vaz

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Re:L'Italia e la ricerca scientifica
« Risposta #37 il: 18 Feb 2016, 10:06 »

Offline carib

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Re:L'Italia e la ricerca scientifica
« Risposta #38 il: 27 Feb 2016, 16:31 »
Repubblica 27.2.16
Il dibattito sulla denuncia della Cattaneo

Ci troviamo davanti a un clamoroso atto di sfiducia verso la ricerca pubblica da parte del governo
Perché il piano del dopo-Expo è la strada sbagliata della scienza
di Giovanni Bignami

Presidente dell’Istituto nazionale di Astrofisica fino al 2015, è membro dell’Accademia dei Lincei

NON si può far finta di niente. E neanche cadere nella trappola cerchiobottista di presentare i favorevoli e i contrari, toccando inevitabili conflitti di interesse. Il problema politico e di merito creato dalla proposta/ imposizione “Human Technopole” per il post-Expo, attaccata da Elena Cattaneo, è tanto grosso quanto semplice e comprensibile a tutti. Riassumiamo i fatti. Alla periferia di Milano esiste un’area, già usata per Expo, che potrebbe essere destinata alla ricerca.
A Roma e Milano se ne parla da tempo: non mancano idee e attori scientifici, ma naturalmente ci vuole “la grana”. Come spesso in questi casi, i grandi attori industriali, a parole sempre favorevoli alla ricerca, si sfilano uno dopo l’altro: intervenga il denaro pubblico, poi, magari, vedremo… Dopo una presentazione al Piccolo Teatro, dove tutto era già deciso, il 25 novembre scorso ecco il Decreto del Presidente del Consiglio, ora convertito in legge: «È attribuito all’Istituto Italiano di Tecnologia (IiT) un primo contributo dell’importo di 80 milioni di euro per l’anno 2015 per la realizzazione di un progetto scientifico e di ricerca, sentiti gli enti territoriali e le principali istituzioni scientifiche interessate, da attuarsi anche utilizzando parte delle aree in uso a Expo S.p.a. ove necessario previo loro adattamento. IiT elabora un progetto esecutivo che è approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze». Chiaro, no? Brilla per la sua assenza quel Ministero con la U(niversità) e la R(icerca) nell’acronimo, come scriveva ieri il ministro Giannini. Come ex-presidente di due Enti pubblici di ricerca, mi chiedo perché non si sia pensato al Miur. Forse non lo si usa perché ha troppa burocrazia, almeno secondo la spietata analisi del ministro, a capo dello stesso Miur.
E poi, da subito, e sempre in assenza di un programma chiaro, ecco l’impegno pubblico a voce di 150 milioni all’anno per dieci anni (ma per il 2016 già sicuri altri 98,6 milioni), naturalmente oltre ai 100 milioni/anno del normale contributo statale allo IiT, noto per i brillanti risultati in robotica, più che in oncologia. Sono soldi pubblici pari a un decimo del Fondo ordinario per tutti gli Enti di Ricerca del Miur, soldi dati senza nessuna selezione (Corte dei Conti, dove sei ?) a un Ente di diritto privato. Quale senza dubbio è lo IiT, come dimostrato, per esempio, dalla permanenza a Direttore Scientifico ed Amministratore Delegato della stessa persona dal 2005, qualcosa di inimmaginabile nel pubblico. Il prof. Cingolani sarebbe evaporato dopo al massimo due mandati di 4 anni, come per gli Enti di ricerca, o uno da sei anni, come per i Rettori delle Università.
Concludendo con i fatti, i soldi pubblici dati allo IiT verranno poi da questo distribuiti ad attori locali e non (tra essi anche una vinicola trentina, pare). Sono tutti già nominati esplicitamente, prima di cominciare. Naturalmente, alcuni di loro sono tra i favorevoli al progetto, guarda caso. Ma lo IiT ha forse nel suo statuto la funzione di Agenzia per la ricerca? Ovviamente no, soprattutto trattandosi di soldi pubblici. Punto facilmente aggirabile usando quel «elabora un progetto…approvato dal PCdM e dal Mef».
Il paziente lettore ha capito che, fuor di metafora, ci troviamo davanti a un clamoroso atto di sfiducia nei confronti della ricerca pubblica da parte del governo che ne è responsabile, Miur o non Miur. È qualcosa di paradossale, di totalmente ingiustificato e tanto più grave quando, invece, l’iniziativa “Salviamo la Ricerca” lanciata da Giorgio Parisi ha raccolto più di 50mila firme (paziente lettore, firma anche tu!). E, indipendentemente, il “Gruppo 2003”, composto dagli scienziati italiani più citati nel mondo, ha proposto la formazione di una vera Agenzia (indipendente ma pubblica) per la Ricerca.
Sarebbe la strada giusta, che la comunità scientifica italiana, la peggio trattata in Europa dal proprio governo, chiede di imboccare. Sommessamente, la riproponiamo qui ancora una volta: ci sarà un motivo se tutti grandi paesi, in Europa e nel mondo, ne hanno una. Possiamo costruirla con il contributo di tutti, ricercatori e governo, per una volta senza barriere, forzature o imposizioni.

Offline carib

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Re:L'Italia e la ricerca scientifica
« Risposta #39 il: 28 Feb 2016, 23:38 »
Ricerca, Gianotti: l'Italia sta perdendo generazioni di scienziati
Così il direttore generale del Cern sul "drammatico precariato"


Roma, 25 feb. (askanews) - "Nel campo in cui lavoro, la fisica fondamentale, gli italiani non sono secondi a nessuno. In Italia ci sono anche istituti che funzionano, come l'Istituto nazionale di fisica nucleare che partecipa a progetti internazionali di altissimo livello insieme ad alcune università, trascinando in queste imprese anche l'industria. E questo è un esempio virtuoso di come la ricerca dovrebbe funzionare. Quello che in Italia è drammatico è il precariato, il fatto che i nostri giovani non abbiano speranze a lungo termine nel nostro Paese e quindi siano costretti a emigrare. E' un peccato perché quando si perdono delle generazioni di scienziati, ricucire una tradizione che dura ormai da decenni diventa difficile". A dirlo Fabiola Gianotti, direttore generale del Cern di Ginevra, impegnata in Giappone ma che ha voluto comunque dare il suo contributo all'iniziativa "Salviamo la ricerca italiana", dibattito organizzato nell'Aula Amaldi del Dipartimento di Fisica dell'Università di Roma La Sapienza sulla scia dell'eco suscitata dalla lettera pubblicata su "Nature" dal fisico Giorgio Parisi per denunciare gli scarsi investimenti dell'Italia nel settore della ricerca e diventata poi una petizione lanciata da 69 scienziati, tra cui lo stesso Parisi, che in pochi giorni ha raccolto oltre 40mila firme.

L'Italia, ha detto Parisi aprendo l'incontro in un'Aula affollatissima, "non è un Paese accogliente per i ricercatori". Tra il 2005/2008 e il 2014, ha spiegato il fisico, le immatricolazioni di studenti sono scese del 20%, i docenti del 17%, i corsi di studio del 18% e il fondo per il finanziamento ordinario del 22,5%. "Gli studenti italiani vanno all'estero e gli stranieri non vengono in Italia". Un dato avvalorato dalle esperienze di diversi ricercatori che hanno raccontato le loro storie sia dal vivo che attraverso dei video inviati dai Paesi in cui attualmente svolgono la loro attività. Un'attività che diventa sempre più itinerante: ogni 3-4 anni si è costretti a spostarsi in un altro Paese a caccia di nuovi finanziamenti.

La performance dei ricercatori italiani è più che buona, ha spiegato Arianna Montorsi del Politecnico di Torino illustrando alcuni dati sulla ricerca in Europa, il problema è che sono pochi rispetto alla popolazione, al di sotto della media europea: sul totale Ue dei ricercatori, il 20,5% è rappresentato da tedeschi, il 17% da britannici, il 13% da francesi, l'8% da spagnoli e il 6% da italiani. L'Italia poi non riesce a recuperare quello che investe nei programmi di ricerca europei: nel Settimo programma quadro 2007-2013 il nostro Paese, ha detto Montorsi, ha perso circa il 30% rispetto all'investimento e per Horizon 2020 si stimano perdite per 3-5 miliardi di euro in 7 anni. "Esiste un vuoto politico e strategico che va colmato. C'è bisogno di interventi strutturali per rendere il sistema competitivo" e non perdere risorse.

Diverse le testimonianze di ricercatori che hanno potuto portare avanti il loro lavoro grazie ai finanziamenti ERC (European Research Council) attraverso ad esempio gli Starting Grant. Come Roberto Navigli professore del Dipartimento di informatica della Sapienza che grazie a quel finanziamento da 1,3 milioni di euro per 5 anni ha creato BabelNet, una rete semantica multilingue, riuscendo ad attirare nel progetto anche menti straniere. O Sabrina Sabatini, del Dipartimento di Biologia, che grazie ai fondi ERC ha potuto lavorare a un progetto sulle cellule staminali vegetali e che, però, ora è in cerca di nuovi finanziamenti o, ancora, Francesco Ricci (Dipartimento di Chimica di Tor Vergata) che potrà continuare a fare ricerca per 2-3 anni grazie ai fondi Erc. I 92 milioni di euro del bando Prin che finanzia la ricerca di base, lanciato alla fine dell'anno scorso, sono - dice - "un importo ridicolo" visto che interessa tutte le discipline. Forse, come ha osservato Piero Angela - che di divulgazione scientifica se ne intende - per la ricerca "c'è anche un problema di comunicazione". L'importanza della ricerca di base "è poco recepita dai governi" e in generale "la ricerca è poco popolare". Forse è anche su questo fronte che bisogna agire per far capire che la ricerca riguarda tutti, è il futuro di un Paese.
 

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