La cultura garantista

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Offline Zanzalf

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La cultura garantista
« il: 11 Set 2015, 13:55 »
Prendo spunto dal caso Scattone. La mia riflessione è che quando qualcuno ha scontato la pena è libero. Allo stesso modo in cui penso che se uno non è stato condannato sia innocente.

Però su Scattone pesa una condanna extra-giudiziale. Una condanna mediatica. E in base a questa deve rinunciare al lavoro.
A me non piace per nulla.

Un articolo del Corriere di oggi riparla della vicenda nel suo insieme

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Il caso Marta Russo, la finestra dell’orrore e una sentenza irrisolta
Pressioni e falle dell’inchiesta Così si è arrivati alla condanna per omicidio colposo
di Goffredo Buccini

La finestra di Marta, ormai, quasi si confonde tra le altre, anonime, del primo piano, sul retro di Giurisprudenza. La vecchia serranda di legno marrone abbassata a metà, le doghe ingrigite della tenda, il condizionatore spostato sotto il davanzale rispetto alle foto di diciott’anni fa. Da quella finestra, alle 11 e 42 del 9 maggio 1997, partì il proiettile calibro 22 che stroncò la vita di Marta Russo, a quindici metri di distanza, lì in mezzo al vialetto, dove è stata piantata una magnolia dai genitori. E a quella finestra è rimasta incatenata la vita del colpevole, Giovanni Scattone, ben oltre la condanna definitiva a 5 anni e 4 mesi. Nell’aula 6 del dipartimento di Filosofia del diritto, da dove Scattone, secondo la sentenza, ha sparato, ora ci tengono i seminari. Chiedo: non fa impressione? «Ma lei quanti crede che lo sappiano?», mi risponde sorridendo Andrea, classe 1988, quarta elementare diciott’anni fa, sbucando dalla porta del collettivo studentesco: «Lo sappiamo io e pochi altri».
Delitto e processo sono rimasti imprigionati come Scattone, appesi a quella finestra dell’orrore, dentro una bolla di non detto che a quel tempo la gente ha tuttavia percepito, è diventata narrazione popolare ed è stata la dannazione successiva dell’ex assistente della Sapienza, la sua pena accessoria e impronunciabile che ancora oggi lo costringe a rinunciare a una cattedra. Andrea ha appena due anni meno di Scattone allora, ma pare un ragazzo, come molti di una generazione consegnata dalla precarietà a un’infinita adolescenza. Fisico da rugby, barbetta, garantismo tenace: «L’hanno condannato per omicidio colposo, no?, mica è un pedofilo. Mica gli hanno dato interdizioni. Io dico, basta, rispettiamo le sentenze: perché non dovrebbe insegnare?».

Ma il punto sta proprio là, per molti: nel percorso della sentenza e nel non detto. Per capirlo occorre un esempio astratto: se il professor X, né ubriaco né drogato, ammazza un passante con la macchina in un malaugurato incidente stradale e viene condannato per omicidio colposo, a quanti salterebbe in mente di impedirgli poi di tornare in cattedra? E allora dov’è la differenza con la condanna per omicidio colposo inflitta a Scattone? Proviamo a dirlo senza girarci attorno, scusandoci in premessa perché le sentenze, come ci ricorda Andrea, si rispettano.
A quel colpo partito per sbaglio, maneggiando incautamente una pistola poi mai più ritrovata, senza immaginare che fosse carica, col braccio teso fuori dal davanzale della maledetta finestra, beh, non ci hanno mai creduto in tanti. Men che meno la pubblica accusa che, al tempo, ha insistito a chiedere 18 anni per omicidio volontario, costruendo un’ipotesi di scuola. Si chiama dolo eventuale: Scattone e il suo amico inseparabile, Salvatore Ferraro, secondo alcuni vera mente della coppia, sedotti da Nietzsche e dal superomismo decidono per gioco, sfregio o chissà quale bizza della mente l’azzardo di quello sparo tra la folla di studenti che passa sotto la finestra, ben consapevoli di poter colpire qualcuno e accettando l’evento (da qui il dolo).
E’ una tesi sostenibile? Forse sì, forse no, ma è l’unica, in totale assenza di qualunque altro movente. Mancano troppe cose nella pessima inchiesta che, sotto l’enorme pressione dell’opinione pubblica, la Procura di Roma mette in piedi allora.

I testi sono tutti alquanto ballerini e vengono sollecitati a parlare con metodi non sempre amichevoli (famoso resta il video-choc di un interrogatorio dell’accusatrice chiave, Gabriella Alletto). Le perizie sono così contrastanti da lasciare aperta l’ipotesi alternativa di un colpo partito da un’altra finestra, in un bagno dell’istituto di Statistica, un piano sotto Giurisprudenza, e sotto Scattone e Ferraro (contro il quale, giova ricordarlo, resterà in piedi solo il favoreggiamento). Ciò nonostante, certo, si potrebbero condannare Scattone e Ferraro per l’omicidio odioso di una ragazzina che tutti vediamo figlia nostra. Oppure assolverli, perché mancano prove sicure. I giudici, che sono pur sempre umani, non se la sentono di prendere nessuna delle due strade più estreme e imboccano il vicolo stretto della condanna «dimezzata», con la tesi assai faticosa di uno sparo per errore. In fondo, una soluzione all’italiana che porta con sé italianissimi paradossi.
Comprensibilmente la famiglia di Marta, sentendosi risarcita solo in piccola parte, continua a stare addosso al colpevole, anno dopo anno, chiedendone almeno contrizione e pentimento: ma Scattone continua a proclamarsi innocente, dunque, non può chiedere perdono.
Come capita sovente in Italia, dove non arriva la giustizia arrivano l’ostracismo e la disumanizzazione del reo. La logica di molti genitori in queste ore («non voglio che un assassino faccia lezione a mio figlio») scavalca del tutto la sentenza e torna a pescare in quell’abisso di non detto dove guardiamo smarriti. L’idea stessa della riabilitazione implica un’etichetta che Scattone rifiuta. E’ un perfetto rompicapo etico e giudiziario. Nel quale, tuttavia, non bisogna dimenticare le vere vittime, i familiari di Marta, unici detentori di un diritto, per così dire, all’eterno rancore. Noi possiamo solo sperare che trovino pace. E, per quanti ci riescono, provare a restituire un’ipotesi di umanità anche a chi (forse) l’umanità se l’è negata un giorno giocando a fare Dio affacciato alla finestra. Il caso

La finestra di Marta, ormai, quasi si confonde tra le altre, anonime, del primo piano, sul retro di Giurisprudenza. La vecchia serranda di legno marrone abbassata a metà, le doghe ingrigite della tenda, il condizionatore spostato sotto il davanzale rispetto alle foto di diciott’anni fa. Da quella finestra, alle 11 e 42 del 9 maggio 1997, partì il proiettile calibro 22 che stroncò la vita di Marta Russo, a quindici metri di distanza, lì in mezzo al vialetto, dove è stata piantata una magnolia dai genitori. E a quella finestra è rimasta incatenata la vita del colpevole, Giovanni Scattone, ben oltre la condanna definitiva a 5 anni e 4 mesi. Nell’aula 6 del dipartimento di Filosofia del diritto, da dove Scattone, secondo la sentenza, ha sparato, ora ci tengono i seminari. Chiedo: non fa impressione? «Ma lei quanti crede che lo sappiano?», mi risponde sorridendo Andrea, classe 1988, quarta elementare diciott’anni fa, sbucando dalla porta del collettivo studentesco: «Lo sappiamo io e pochi altri».
Delitto e processo sono rimasti imprigionati come Scattone, appesi a quella finestra dell’orrore, dentro una bolla di non detto che a quel tempo la gente ha tuttavia percepito, è diventata narrazione popolare ed è stata la dannazione successiva dell’ex assistente della Sapienza, la sua pena accessoria e impronunciabile che ancora oggi lo costringe a rinunciare a una cattedra. Andrea ha appena due anni meno di Scattone allora, ma pare un ragazzo, come molti di una generazione consegnata dalla precarietà a un’infinita adolescenza. Fisico da rugby, barbetta, garantismo tenace: «L’hanno condannato per omicidio colposo, no?, mica è un pedofilo. Mica gli hanno dato interdizioni. Io dico, basta, rispettiamo le sentenze: perché non dovrebbe insegnare?».

Ma il punto sta proprio là, per molti: nel percorso della sentenza e nel non detto. Per capirlo occorre un esempio astratto: se il professor X, né ubriaco né drogato, ammazza un passante con la macchina in un malaugurato incidente stradale e viene condannato per omicidio colposo, a quanti salterebbe in mente di impedirgli poi di tornare in cattedra? E allora dov’è la differenza con la condanna per omicidio colposo inflitta a Scattone? Proviamo a dirlo senza girarci attorno, scusandoci in premessa perché le sentenze, come ci ricorda Andrea, si rispettano.
A quel colpo partito per sbaglio, maneggiando incautamente una pistola poi mai più ritrovata, senza immaginare che fosse carica, col braccio teso fuori dal davanzale della maledetta finestra, beh, non ci hanno mai creduto in tanti. Men che meno la pubblica accusa che, al tempo, ha insistito a chiedere 18 anni per omicidio volontario, costruendo un’ipotesi di scuola. Si chiama dolo eventuale: Scattone e il suo amico inseparabile, Salvatore Ferraro, secondo alcuni vera mente della coppia, sedotti da Nietzsche e dal superomismo decidono per gioco, sfregio o chissà quale bizza della mente l’azzardo di quello sparo tra la folla di studenti che passa sotto la finestra, ben consapevoli di poter colpire qualcuno e accettando l’evento (da qui il dolo).
E’ una tesi sostenibile? Forse sì, forse no, ma è l’unica, in totale assenza di qualunque altro movente. Mancano troppe cose nella pessima inchiesta che, sotto l’enorme pressione dell’opinione pubblica, la Procura di Roma mette in piedi allora.

I testi sono tutti alquanto ballerini e vengono sollecitati a parlare con metodi non sempre amichevoli (famoso resta il video-choc di un interrogatorio dell’accusatrice chiave, Gabriella Alletto). Le perizie sono così contrastanti da lasciare aperta l’ipotesi alternativa di un colpo partito da un’altra finestra, in un bagno dell’istituto di Statistica, un piano sotto Giurisprudenza, e sotto Scattone e Ferraro (contro il quale, giova ricordarlo, resterà in piedi solo il favoreggiamento). Ciò nonostante, certo, si potrebbero condannare Scattone e Ferraro per l’omicidio odioso di una ragazzina che tutti vediamo figlia nostra. Oppure assolverli, perché mancano prove sicure. I giudici, che sono pur sempre umani, non se la sentono di prendere nessuna delle due strade più estreme e imboccano il vicolo stretto della condanna «dimezzata», con la tesi assai faticosa di uno sparo per errore. In fondo, una soluzione all’italiana che porta con sé italianissimi paradossi.

Comprensibilmente la famiglia di Marta, sentendosi risarcita solo in piccola parte, continua a stare addosso al colpevole, anno dopo anno, chiedendone almeno contrizione e pentimento: ma Scattone continua a proclamarsi innocente, dunque, non può chiedere perdono.

Come capita sovente in Italia, dove non arriva la giustizia arrivano l’ostracismo e la disumanizzazione del reo. La logica di molti genitori in queste ore («non voglio che un assassino faccia lezione a mio figlio») scavalca del tutto la sentenza e torna a pescare in quell’abisso di non detto dove guardiamo smarriti. L’idea stessa della riabilitazione implica un’etichetta che Scattone rifiuta. E’ un perfetto rompicapo etico e giudiziario. Nel quale, tuttavia, non bisogna dimenticare le vere vittime, i familiari di Marta, unici detentori di un diritto, per così dire, all’eterno rancore. Noi possiamo solo sperare che trovino pace. E, per quanti ci riescono, provare a restituire un’ipotesi di umanità anche a chi (forse) l’umanità se l’è negata un giorno giocando a fare Dio affacciato alla finestra.

http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_settembre_11/caso-marta-russo-finestra-dell-orrore-sentenza-irrisolta-fb7be0e0-5846-11e5-8460-7c6ee4ec1a13.shtml


Offline Buckley

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Re:La cultura garantista
« Risposta #1 il: 11 Set 2015, 14:10 »
Indubbiamente e' come dici tu, ma siamo in Italia, e dunque il forte sospetto che il barone (o baronetto) sia stato salvato a discapito di ogni giustizia rimane. Rispettare le sentenze e' molto difficile se guardi a tutti gli esempi di mala giustizia pervenuti ad oggi. Tuttavia bisognerebbe provarci. A me il dubbio della loro colpevolezza rimane, ma l'ostracismo mediatico si sa come funziona e insinua dubbi persino nel piu' garantista degli esseri umani.
Re:La cultura garantista
« Risposta #2 il: 11 Set 2015, 14:16 »
Su questo tema ha scritto, spesso e bene, anche Mario Calabresi.
In relazione alla sua storia personale e familiare.
Eterno rancore delle vittime é giusto e giustificato, ma lo stato di diritto é altra cosa.

Offline FatDanny

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Re:La cultura garantista
« Risposta #3 il: 11 Set 2015, 14:24 »
Sono d'accordo con Zanzalf sul principio generale, ossia che una volta scontata la pena questa non possa trasformarsi in qualcosa di eterno che pende sulla tua testa.
Allo stesso tempo alcuni crimini e alcuni mestieri dovrebbero risultare incompatibili (e così è infatti).
E non per un giustizialismo sfrenato di cui sicuramente non mi si può accusare, ma perché viene a mancare la necessaria serenità da tutte le parti in causa (istituzioni scolastiche, genitori, colleghi, persona stessa).
Molti uffici pubblici non possono essere ricoperti in caso di condanna definitiva, tra cui l'insegnamento.

Il vero problema del caso Scattone è che la condanna è stata per omicidio colposo, ma a questa ricostruzione non crede nessuno. Se si ritiene Scattone innocente si crede che il colpevole sia un altro, se lo si ritiene colpevole non si crede alla versione del colpo partito per sbaglio (che in effetti, fa un po' ridere).

Giustamente si dice: si, ma la condanna effettiva è quella e quindi a quella ci si dovrebbe attenere.
Peccato che il potere della forma (che si tratti di Legge o di Diritti) sia insito nella sua sostanza.
Per cui se tutti ritengono quell'omicidio volontario la corte può essersi espressa come le pare formalmente, la sostanza resterà quella a prescindere da qualsiasi pronunciamento.
E ovviamente i media nella formazione di questa opinione c'entrano molto.
Re:La cultura garantista
« Risposta #4 il: 11 Set 2015, 14:30 »
Giustamente si dice: si, ma la condanna effettiva è quella e quindi a quella ci si dovrebbe attenere.
Peccato che il potere della forma (che si tratti di Legge o di Diritti) sia insito nella sua sostanza.
Per cui se tutti ritengono quell'omicidio volontario la corte può essersi espressa come le pare formalmente, la sostanza resterà quella a prescindere da qualsiasi pronunciamento.
E ovviamente i media nella formazione di questa opinione c'entrano molto.

Ma infatti é quello il problema.
Nell'attesa della soluzione definitiva a tutti i problemi del mondo, attenersi al principio della legge mi sembra un giusto compromesso. Anche un umano compromesso.
Senno é telecrazia.
E a noi ci fa schifo la telecrazia.

Offline Zanzalf

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11963
Re:La cultura garantista
« Risposta #5 il: 11 Set 2015, 14:51 »
Nello specifico io credo all'omicidio colposo. Era la distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente.

Io credo che stessero giocando, sapendo che era pericoloso, ma convinti di poter controllare.

E questa è, la forma più grave, di omicidio colposo.

Offline FatDanny

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39316
Re:La cultura garantista
« Risposta #6 il: 11 Set 2015, 15:28 »
si IB, però al di là della telecrazia esistono anche sentenze in cui la sostanza non è sufficiente a sorreggere la forma e questo non necessariamente dipende dal potere mediatico, ma proprio da questa carenza.

Pensiamo al caso Dreyfus. Pensiamo ai tanti anarchici ammazzati dopo processi fuffa ad inizio '900 (in cui venivano accusati delle cose più svariate e bislacche).
Se non vogliamo arrivare così lontano pensiamo a tanti processi che hanno unicamente certificato la Legge del più forte.

Personalmente non mi appassiono al caso Scattone nel suo specifico, ma allo stesso tempo il semplice principio della Legge mi sta molto stretto.
Se accettassi quanto affermi dovrei dirti che Sacco e Vanzetti erano colpevoli perchè così è stato detto dal tribunale che li ha condannati, che Pinelli è caduto per sbaglio e così per tante altre verità che restano tali solo sul piano giudiziario.
Ma esiste una realtà che può essere letta sulla base dei fatti e di cui la sentenza rappresenta una lettura particolare, un particolare punto di vista (più o meno vicino al nostro, dipende dai propri valori).

Per me la magistratura resta un organo di parte, che difende principalmente una parte e in quanto tale mi ci rapporto. E resta tale sia quando condanna i No Tav che quando condanna Berlusconi, non è che cambia nel frattempo la sua natura.
Resta un organo di parte non per una presa di posizione ideologica, ma semplicemente guardando le statistiche sulle carceri e i reati puniti al loro interno (vai a vedere quanti sono carcerati per corruzione e quanti per semplice furto; vai a vedere come passa il tempo in carcere Cuffaro e come lo passa il semplice Mohammed).

No, non mi convince.
Comprendo il principio che affermi, è la base della convivenza pacifica, della pace sociale.
Astrattamente è un criterio che condivido, in concreto no.
Ed è infatti esattamente sull'impossibilità di convenire concretamente su questo principio qui e ora che in giovane età ho capito che il mio posto non poteva essere all'interno di questo regime.

Il quale se perde la sua Neutralità, perde assieme ad essa la sua Giustizia.
Re:La cultura garantista
« Risposta #7 il: 11 Set 2015, 15:45 »
Per me la magistratura resta un organo di parte, che difende principalmente una parte e in quanto tale mi ci rapporto. E resta tale sia quando condanna i No Tav che quando condanna Berlusconi, non è che cambia nel frattempo la sua natura.
Resta un organo di parte non per una presa di posizione ideologica, ma semplicemente guardando le statistiche sulle carceri e i reati puniti al loro interno (vai a vedere quanti sono carcerati per corruzione e quanti per semplice furto; vai a vedere come passa il tempo in carcere Cuffaro e come lo passa il semplice Mohammed).

Pero', caro FD, a lungo andare, ricondurre tutto ai "massimi sistemi" confonde il dibattito e riduce la questione.
Ok, o é guerra civile permanente, l'uno contro l'altro, tu contro tutti, o, a un certo punto troviamo un compromesso.
Che sia fallace, che sia imperfetta, la giustizia degli uomini, lo so benissimo.
Da più di duemila anni, il compromesso più efficace é quello delle leggi. Espressione della maggioranza, espressione della forza della maggioranza, di una classe egemone, sono d'accordo. Imperfetto, appunto, ma al momento é il migliore che esista. Il più condiviso.
Pero' alcuni principi, se non altro quelli che portano alla difesa dei diritti inalienabili dell'imputato, io direi di conservarli.
Gli esempi che tu mi fai sono proprio esempi in cui questi diritti, diritti forti, assenti nella legge naturale, frutto di convenzioni umane, sono proprio esempi in cui questi diritti sono stati violati o non rispettati.
A mio avviso, espressioni di uno stato debole che non é riuscito a farli rispettare. Anche contro la maggioranza.
Dal Dreyfuss condannato attraverso prove manipolate fino a Pinelli che vola aldilà della finestra della questura passando per le testimonianze contraddittorie del processo a Sacco e Vanzetti.
Uno stato che rispetta questi diritti é uno stato umano, molto umano.

Offline FatDanny

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Re:La cultura garantista
« Risposta #8 il: 11 Set 2015, 15:51 »
Sono assolutamente d'accordo, è il motivo per cui mi ritengo garantista.
Anche con Scattone, non solo con i "Vanzetti".
Perché dietro ogni Scattone si nasconde potenzialmente un Vanzetti.

Questo e non un generico buonismo mi rende garantista (e proprio qui si capisce il motivo per cui lo sono molto meno con un Berlusconi, che questo problema non ce l'ha grazie alla sua posizione sociale).
Ma allora il garantismo che giustamente chiedi di applicare non è quello dato dalla legge, ma quello dato dalla consapevolezza di come si articola il rapporto giuridico, che hai spiegato così bene in questo ultimo post.

Offline Rorschach

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Re:La cultura garantista
« Risposta #9 il: 11 Set 2015, 15:52 »
Chi ha scontato la pena comminata deve essere ritenuto immacolato.
Coerentemente non ho mai capito perché le amnistie spesso non contemplino alcuni tipi di reato: se mi hanno dato 30 anni per omicidio e ne ho scontati 28, allora la mia colpa 'rimanente' dev'essere allineata a chi commette un reato da 2 anni (estrema semplificazione).
Re:La cultura garantista
« Risposta #10 il: 11 Set 2015, 16:01 »
Sono assolutamente d'accordo, è il motivo per cui mi ritengo garantista.
Anche con Scattone, non solo con i "Vanzetti".
Perché dietro ogni Scattone si nasconde potenzialmente un Vanzetti.

Questo e non un generico buonismo mi rende garantista (e proprio qui si capisce il motivo per cui lo sono molto meno con un Berlusconi, che questo problema non ce l'ha grazie alla sua posizione sociale).
Ma allora il garantismo che giustamente chiedi di applicare non è quello dato dalla legge, ma quello dato dalla consapevolezza di come si articola il rapporto giuridico, che hai spiegato così bene in questo ultimo post.

Pensa che mentre scrivevo non pensavo a Vanzetti, a Pinelli o a Dreyfuss, ma pensavo a Franco Freda.
Perché le convinzioni e i principi più lontani dall'umana natura devono anche riuscire a sopravvivere di fronte alle più forti contraddizioni. Oggi, ora, giudizialmente sappiamo che Freda é responsabile della strage di Piazza Fontana, ma é suo diritto inalienabile a non essere processato due volte per lo stesso reato.
E' più forte, e più giusto (convenzionalmente inteso), uno stato che lascia Freda libero di continuare la sua misera vita da esaltato piuttosto che uno stato che soprassiede alla difesa dei suoi diritti inalienabili e lo processa una seconda volta.
Ecco a cosa pensavo.
Uno stato che deve chiedere ai genitori di Marta Russo se Scattone puo' o meno esercitare la sua professione é uno stato debole, quindi ingiusto. Perché non é il loro ruolo.

Offline Maxilotte

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Re:La cultura garantista
« Risposta #11 il: 11 Set 2015, 16:22 »
OT e peraltro, non so se ricordate il video dell'interrogatorio dell'alletto (quello ripreso da una telecamera messa da chissà chi nella stanza del procuratore ormanni), principale teste a carico di Scattone. Diciamo che su quella sentenza ci sarebbe tantissimo da dire. ma siamo OT.

Offline laziAle82

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La cultura garantista
« Risposta #12 il: 11 Set 2015, 16:32 »
Scattone insegna da dieci anni. Questo (falso) problema non è esistito fino a che non è diventato di ruolo. Qualcuno si è preso la briga di sentire cosa ne pensano i suoi ex ed attuali studenti?

Indecoroso quello che sta accadendo.

Offline TomYorke

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Re:La cultura garantista
« Risposta #13 il: 11 Set 2015, 16:56 »
Scattone insegna da dieci anni. Questo (falso) problema non è esistito fino a che non è diventato di ruolo. Qualcuno si è preso la briga di sentire cosa ne pensano i suoi ex ed attuali studenti?

Indecoroso quello che sta accadendo.

Veramente ogni anno si riapre questo dibattito pubblico, da dieci anni.
Nessuno ha obbligato Scattone a rifiutare la cattedra. Poteva farlo proprio come lo ha fatto in questi dieci anni.

Offline laziAle82

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11715
Re:La cultura garantista
« Risposta #14 il: 11 Set 2015, 17:52 »

Veramente ogni anno si riapre questo dibattito pubblico, da dieci anni.
Nessuno ha obbligato Scattone a rifiutare la cattedra. Poteva farlo proprio come lo ha fatto in questi dieci anni.

Io credo che nessuno conosca le pressioni (o anche le minacce) che possa aver ricevuto. Io di certo non mi sarei dimessa ma decidere per altri è sempre semplice.

Offline Tarallo

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Re:La cultura garantista
« Risposta #15 il: 11 Set 2015, 17:57 »
Fat, è concretamente che devi accettare il principio di Italic, e astrattamente il tuo.
Può far male ma non c'è altra via.

Offline FatDanny

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39316
Re:La cultura garantista
« Risposta #16 il: 11 Set 2015, 20:25 »
Fat, è concretamente che devi accettare il principio di Italic, e astrattamente il tuo.
Può far male ma non c'è altra via.

ma guarda non è un fatto emotivo, quanto una vera e propria scelta.
Accettare il principio di IB sarebbe di fatto accettare l'esistente e aspettare idealmente qualcosa di diverso.
Io invece agisco diversamente per affermare nella pratica un altro esistente rischiando, è chiaro, gli effetti della repressione.

Non perché mi fa male accettare quanto vedo attorno a me (non solo), ma sulla base di una riflessione lucida scelgo di percorrere un'altra strada che so portarmi a volte in quello che la controparte considera illecito (perché facenti riferimento a valori diversi e a volte opposti). Ma nella misura in cui queste pratiche producono attorno a loro consenso affermano una nuova legalità, prima de facto e poi de iure, percorso che d'altronde hanno attraversato tutti i diritti acquisiti.
Questa per me è la politica. Questa è la mia politica.

E proprio perché mi muovo borderline per affermare principi diversi, la controparte cercherà di definire i miei comportamenti all'esterno, sul piano dell'illegalità, per poi poter reprimere quegli stessi comportamenti.

Occupare uno stabile per necessità per la Legge vigente è illecito.
Riallacciare le utenze staccate per una legge infima che oggi permette che l'acqua ti venga tolta perché non paghi l'affitto è illecito.
E potrei andare avanti a lungo.

Ma proprio da questo deriva la mia cultura garantista.
Proprio perché il potere non definisce un limite statico, ma lo muove alla sua bisogna, è essenziale che si venga garantiti il più possibile dinanzi a questo.
Non è un garantismo astratto, quasi asettico, in cui ogni essere umano è visto come un corpo senza contesto.
e infatti per me il garantismo non è universale esattamente come non lo sono alcune tutele sociali.
Il garantismo verso un agnelli è folle. Non perché lui non abbia diritti inalienabili, chiunque ne ha, ma perché lui quei diritti ce li ha già stra-garantiti cento volte più che ciascuno di noi. Esattamente perché, come dicevo a IB, quella magistratura, quelle leggi e quelle pene non sono neutre.
E la prova è nei fatti più che in mille parole e teorie.

Quindi il mio è un garantismo partigiano, come d'altronde in modo celato lo è anche quello della controparte (che infatti massacra il povero cristo che fa una rapina ed è ultragarantista col senatore di turno).
La differenza è che lo esplicito e me ne faccio carico, non faccio finta che la legge sia uguale per tutti.

Offline anderz

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Re:La cultura garantista
« Risposta #17 il: 11 Set 2015, 20:33 »
È la condanna a non essere stata equa. 5 anni e 4 mesi per una cosa di quel tipo, boh.

Offline Zanzalf

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Re:La cultura garantista
« Risposta #18 il: 11 Set 2015, 20:38 »
È la condanna a non essere stata equa. 5 anni e 4 mesi per una cosa di quel tipo, boh.

Mi sembra fosse la massima per omicidio colposo.

Offline anderz

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8271
Re:La cultura garantista
« Risposta #19 il: 11 Set 2015, 21:11 »
Mi sembra fosse la massima per omicidio colposo.

E' che mi sembra l'unico caso al mondo di omicidio colposo con queste dinamiche. Magari mi sbaglio io.
 

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